Il cosiddetto lifelong learning, l’apprendimento permanente, racchiude «qualsiasi attività intrapresa dalle persone in modo formale, non formale, informale, nelle varie fasi della vita, al fine di migliorare le conoscenze, le capacità e le competenze, in una prospettiva personale, civica, sociale e occupazionale»[1]. Nella definizione appena citata, non si può non porre l’accento sulle due principali componenti: la prima, quella personale, legata alla crescita del sé e allo sviluppo delle proprie inclinazioni naturali; la seconda protesa verso l’esterno, estesa verso il mondo al di fuori, sia in termini relazionali, sia economici e produttivi.
Le previsioni Eurostat[2] indicano che, nel periodo di tempo tra il 2019 e il 2050, la fetta di popolazione compresa tra i 65 e i 74 anni aumenterà del 16.6%, mentre quella tra i 75 e 84 aumenterà del 56.4%, a discapito delle fasce inferiori di età. Questa variazione nella composizione della popolazione europea assume significati diversi a seconda delle domande che ci si pone e del punto di vista adottato. Se da un lato è un indicatore di un miglioramento globale delle condizioni di salute e di vita, dall’altro porta con sé fattori di complessità non da poco, economici e sociali.
Occorre quindi garantire un sistema che promuova il mantenimento di alti standard di qualità della vita ad ogni età, anche in quella della maturità, sempre meno vista come l’età del retirement, del tirarsi indietro, quanto quella dell’azione, della consapevolezza e della produttività. Questi ultimi aspetti, che spesso chi si occupa di scuola affronta quasi con timore, non possono non essere tenuti in considerazione. In Europa, infatti, tra il 2004 e il 2019 la percentuale di occupati con un’età maggiore di 55 anni è aumentata dall’11.9% al 20.2%. In particolare, l’aumento più significativo (+139% nel medesimo arco temporale) si è registrato tra persone con un’età compresa tra i 60 e i 64 anni[3]. Il contesto europeo ci dà un segnale forte: la popolazione sta invecchiando.
A fronte di questa trasformazione, dobbiamo chiederci come garantire a tutti una buona qualità della vita, e uno degli elementi centrali è proprio la capacità di continuare ad apprendere. Ma come reagiscono le nostre competenze – in particolare quelle legate alla literacy (lettura e comprensione) e alla numeracy (ragionamento numerico) – al passare del tempo? C’è una maggiore predisposizione all’apprendimento in età giovanile oppure esistono altri fattori concorrenti? Si può continuare ad apprendere anche nell’età della maturità ed essere quindi produttivo/a ed efficace nonostante un mondo del lavoro in costante cambiamento?
Sono proprio queste le domande che hanno guidato uno studio pubblicato sulla rivista «Science Advances» nel mese di marzo[4]. Gli autori hanno preso in esame uno studio longitudinale svolto in Germania sulla popolazione adulta. La coorte di partecipanti ha svolto alcuni test somministrati dal PIAAC (Programme for the International Assessment of Adult Competencies) all’interno di un progetto dell’OECD (Organization for Economic Co-operation and Development). Le prove erano rivolte alla rilevazione delle competenze in literacy e numeracy, significative in ambiti sociali e lavorativi.
Serve quindi a questo punto fare chiarezza sui due termini appena introdotti: il primo fa riferimento esplicitamente alla capacità di comprendere e fare uso della lingua scritta (non solo di testi, ma anche di immagini ed eventuali grafici a corollario) in diversi contesti e ambiti della vita umana[5]. Il secondo, invece, descrive le capacità che un individuo possiede per rispondere e gestire domande e richieste poste in circostanze che propongono immagini, numeri, simboli, formule, diagrammi, tabelle ecc[6]. Sviluppare e acquisire competenze in literacy e numeracy permette quindi di poter interagire in maniera efficace e consapevole nei diversi contesti di vita, dal mondo più privato delle relazioni sociali, a quello più esteso dell’ambito lavorativo e occupazionale.
Il lavoro su «Science Advances» prende in considerazione in particolare la Germania, poiché dei 39 paesi che hanno completato lo studio, solo il campione tedesco ha riassegnato i test dopo tre anni e mezzo e valutato la variazione del livello di competenza raggiunto dal singolo individuo: l’immagine non è quindi un fotogramma di una popolazione in un determinato istante, ma è un insieme di “prima e dopo” registrati. Inoltre, gli autori hanno altresì preso in considerazione i dati di contesto dei partecipanti, come sesso, lavoro, frequenza nell’utilizzo di competenze in numeracy e literacy ecc.
Dall’osservazione dello sviluppo delle competenze nel tempo, in un campione di più di tremila individui si assiste a un costante perfezionamento e ampliamento delle abilità in literacy fino ai 45 anni, mentre quelle in numeracy fino ai 40. Dopo, in entrambe si nota una diminuzione significativa, più importante nel caso nella numeracy, tendente alla stabilizzazione invece nella literacy.
Esistono fattori in grado di modificare questi andamenti? È possibile prevenire o contrastare il declino cognitivo legato alle due competenze?
Il principale elemento in grado di cambiare gli esiti è legato all’utilizzo costante o no di queste abilità, al training, se volessimo prendere in prestito un termine dallo sport. I dati mostrano che gli individui che mettono in pratica competenze di literacy in maniera frequente (definite come high rispetto al low reading usage) mostrano solamente un lieve declino cognitivo in questo settore, intorno ai 65 anni (il range dello studio termina proprio a 65 anni), mentre chi ha dichiarato un low reading usage, già intorno ai 35 anni sperimenta una diminuzione delle abilità di lettura e comprensione. Per quanto riguarda le competenze matematiche descritte dalla numeracy, si nota lo stesso trend negli high math usage, ma un declino ancora più anticipato (intorno ai 30 anni) per gli individui con un low math usage.
Simile è lo schema che emerge confrontando le popolazioni dei cosiddetti white collar vs blue collar employees: i primi, dedicati a lavori di ufficio a carattere impiegatizio, se confrontati con i lavoratori più dediti a mansioni manuali, mostrano un più lento declino nelle competenze di literacy e numeracy, differenza ragionevolmente legata allo svolgimento di attività in grado di sostenere la permanenza di queste competenze anche a lungo termine. In particolare, la forbice è più accentuata nel caso della literacy rispetto alla numeracy. Comparabile il trend anche quando si confrontano popolazioni che hanno raggiunto o no livelli di scolarizzazione oltre alla scuola secondaria di II grado (educazione terziaria).
Un punto a sé va fatto sul confronto tra la popolazione maschile e quella femminile. Per quanto concerne la literacy, le capacità evolvono, diventando in linea di massima sempre più solide ed efficaci negli uomini e nelle donne allo stesso modo fino ai quarant’anni, per poi rimanere pressoché stabili nei primi e diminuire in maniera lieve nelle seconde. Situazione molto diversa per quanto riguarda la numeracy: se negli uomini il trend è simile a quello descritto per la literacy, nelle donne le abilità numeriche iniziano a diminuire intorno ai trent’anni e continuano a declinare. In particolare, nella coorte di popolazione tra i 40 e i 65 anni, se in tutti i casi descritti (impiegati, manovali, con educazione terziaria, senza educazione terziaria) il training delle competenze in literacy e numeracy ne favorisce in maniera significativa lo sviluppo e il mantenimento, alle donne è richiesto un lavoro altamente specializzato in ambito numerico per non perdere le abilità acquisite.
I dati e le informazioni contestuali raccolti e analizzati in questo studio forniscono almeno un paio di indicazioni chiave. La prima è l’importanza della costante e ri-generativa messa in gioco di competenze trasversali, sia di lettura sia di calcolo, nel senso ampio del termine. L’unico fattore che spicca come significativamente discriminante è proprio l’azione individuale in questi due ambiti, che si lega a quello di cui si parlava all’inizio dell’articolo, ovvero l’importanza di progetti e di contesti che promuovano il lifelong learning, l’apprendimento permanente. La literacy (e la numeracy, se la includiamo nella prima come abilità che permette di leggere contenuti non solo testuali, ma anche numerici) è uno strumento potentissimo: saper interpretare un testo, comprendere indicazioni, istruzioni e sapersi muovere nell’ambito della comunicazione scritta – e orale – permette l’innesco di un processo di empowerment incredibilmente significativo, a volte anche in grado di assicurare la vita stessa, ad esempio, favorendo stili di vita sani. Un esempio è il progetto brasiliano “Alfabetizando com Saúde”[7], pensato e realizzato dal Curitiba City Council nel 2002. Il programma nasce dalla necessità di promuovere uno stile di vita migliore in termini di nutrizione, di movimento e di salute, nonché dalla comprensione di poter raggiungere questo obiettivo solo passando attraverso la consapevolezza personale dei singoli individui. Diversi studi condotti nell’area di Curitiba avevano evidenziato che bambini nati da madri con livelli assenti o minimi di educazione mostravano un rischio maggiore di essere ospedalizzati durante il loro primo anno di vita[8]. Il programma, partito nel 2002 con 167 partecipanti, principalmente donne, nel 2012 è arrivato a quota 10.000. Grazie a metodologie didattiche dal basso, coinvolgenti, legate a temi sentiti come la salute, il benessere e la nutrizione, i e le partecipanti non solo hanno imparato a leggere e scrivere, ma hanno visto la loro vita migliorare a trecentosessanta gradi: salute migliorata, minore utilizzo di farmaci e ha stimolato anche i partecipanti a muoversi maggiormente, contribuendo ulteriormente al loro benessere[9].
La seconda osservazione che si può estrapolare da questo studio è l’importanza che il sistema educativo, non solo scolastico, può avere nel gettare le basi per un apprendimento permanente. Nel caso del distretto di Curitiba, le metodologie didattiche e i contenuti del programma si sono adattati alle e ai suoi partecipanti, stimolando e promuovendone la partecipazione. Cruciale diventa quindi l’orientamento scolastico, in particolare nel suo «favorire […] lo sviluppo delle competenze necessarie per poter definire o ridefinire autonomamente obiettivi personali e professionali aderenti al contesto, elaborare o rielaborare un progetto di vita e sostenere le scelte relative»[10]. La capacità di ri-generare costantemente obiettivi e traguardi e di accogliere le conseguenze emotive di tali cambiamenti si sviluppa proprio nei processi orientativi che la scuola dovrebbe mettere in atto costantemente, non solo a livello dei moduli di orientamento previsti dalle Linee Guida. Come queste ultime affermano, «l’orientamento inizia, sin dalla scuola dell’infanzia e primaria, quale sostegno alla fiducia, all’autostima, all’impegno, alle motivazioni, al riconoscimento dei talenti e delle attitudini, favorendo anche il superamento delle difficoltà presenti nel processo di apprendimento»[11]. Si legge bene in queste righe come dalla fiducia in sé si aprano mille vie che, se adeguatamente supportate e incoraggiate, portano a una maggiore consapevolezza dei bisogni e rendono possibili scelte consapevoli per compiere azioni in grado di soddisfare tali necessità.
La conclusione cui si può arrivare è relativamente semplice: se fin dai primi cicli scolastici la scuola fosse in grado di sostenere e sostentare l’autostima, il senso di autoefficacia, il pensiero critico e a supportare in maniera concreta la motivazione all’apprendimento, gli studenti e le studentesse si potrebbero affacciare all’età adulta con un approccio proattivo, con una spinta verso la crescita personale e il costante desiderio di apprendere e di scoprire nuovi aspetti del mondo, sia attraverso la scelta di un mestiere, sia nel tempo libero. Di conseguenza, l’apprendimento permanente non avrebbe di fatto bisogno di essere promosso come oggetto a sé stante, perché sarebbe parte integrante di ciascuno di noi.
Come recita il detto: «write your purpose in pen, your path in pencil», ovvero «scrivi il tuo obiettivo a penna, ma il tuo percorso a matita». Da queste riflessioni possiamo chiaramente indicare come la motivazione al training costante delle competenze in literacy e numeracy non sia solo lo scopo o il purpose del sistema educativo, ma anche di quello formativo e lavorativo. In un mondo in costante evoluzione, l’apprendimento continuo non è un’opzione, ma una necessità. Sostenere lo sviluppo di competenze trasversali sin dall’infanzia significa investire in una società più consapevole, adattiva e resiliente.
Note
[1] Legge 28 giugno 2012, n. 92, art. 4, comma 51; Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita, Gazzetta Ufficiale n. 153 del 3 luglio 2012.
[2] Eurostat, Ageing Europe – Statistics on population developments, 2024.
[3] Eurostat, Ageing Europe – Statistics on working and moving into retirement, 2024.
[4] E.A. Hanushek, G. Schwerdt, S. Wiederhold, L. Woessmann, Age and cognitive skills: Use it or lose it, in «Science Advances», 5 marzo 2025.
[5] UNESCO, Literacy for all: Making a difference, UNESCO Publishing, Paris 2025.
[6] UNESCO, Education for All Global Monitoring Report – Literacy for Life, UNESCO Publishing, Paris 2006.
[7] UNESCO, Literacy and Women’s Empowerment. Stories of success and inspiration, UNESCO Publishing, Paris 2013.
[8] Ibidem.
[9] Ibidem.
[10] Ministero dell’Istruzione e del Merito, Linee guida per l’orientamento, Decreto Ministeriale 22 dicembre 2022, n. 238, derivanti dalla definizione condivisa nel 2012 tra Governo, Regioni ed Enti Locali, 2022.
[11] Ibidem.