Per chi ha frequentato una facoltà umanistica negli anni Novanta, il mondo degli studenti si divideva in due: quelli che alle superiori avevano avuto Il materiale e l’immaginario e quelli che non lo avevano avuto. Io appartenevo a questa seconda categoria, incerta se ciò fosse sinonimo di un’adolescenza più tranquillizzante, oppure occasione mancata di Aufklärung, perseverare in uno stato di minorità intellettuale, per dirla con Kant. Di certo, dell’opera di Ceserani-De Federicis, che già circolava in diverse versioni, se ne parlava, e molto, con ammirazione e timore reverenziale. Sono gli stessi sentimenti che ho avvertito ripetutamente, negli anni, quando, in occasioni professionali e non, ho incontrato insegnanti di lettere. Più volte mi sono sentita rivolgere la domanda: “Loescher? Il materiale e l’immaginario? Lo rifarete?”.
A molti, e anche a me, riproporre a distanza di anni un approccio così ricco, complesso e multidisciplinare, che anticipava in modo visionario il web, pareva sfida impervia. Fino a quando non ho conosciuto il sorriso amabile di Remo Ceserani, la limpidezza cristallina dei suoi appunti, la sua disponibilità al dialogo e anche all’ascolto, la sua capacità di vedere sempre l’insieme e con esso il dettaglio. Lidia De Federicis, purtroppo, l’ho conosciuta solo attraverso i suoi racconti, apprezzandone l’energia, la lungimiranza, la concretezza. Attraverso gli incontri mensili con Remo Ceserani, immancabilmente conditi di aneddoti e piacevole compagnia, ho capito che alla base del Matim, anche della versione nuova, non era eccesso, hýbris. Al contrario, il superamento dei confini disciplinari era, è, sforzo umile di far riemergere la comune radice razionale, umana, di tutti i linguaggi, di ricontestualizzare la letteratura all’interno delle altre esperienze. Così come la resistenza a ogni “antologizzazione”, allo spezzettamento dei testi, nasceva da un duplice moto di rispetto: verso ogni espressione letteraria, così come concepita originariamente, e verso la libertà di interpretazione, scelta, di ogni singolo lettore.
La mattina successiva al primo incontro in Casa editrice, nel novembre 2013, Remo Ceserani inviava via mail l’autointervista riportata, nella sua versione originale, in questo numero speciale. Nelle redazioni scolastiche è sempre oggetto di faticosa discussione definire l’“essenza” del libro, il modo in cui presentarlo all’esterno. Remo Ceserani aveva già chiara la presentazione del progetto quando ancora non aveva scritto nulla della nuova opera. All’epoca ero in attesa della mia secondogenita, e anch’io cercavo di tracciarne il profilo. Poi i libri, come i figli, via via che prendono forma, sono sempre diversi da come ce li si era figurati all’inizio, meno perfetti, ma probabilmente migliori. E così, nel corso dei lavori, attraverso una costante riflessione e un dialogo autore-redazione garbato, mai arrendevole, alcune cose del Matim sono cambiate. È rimasta ferma la volontà, sostenuta da Remo Ceserani prima e da Marina Polacco poi, di offrire una pluralità di itinerari, letture, connessioni. Perché l’incontro con la letteratura non sia fruizione passiva ma, sempre, un’opportunità di dialogo.