Tutto o quasi ha un “post” (c’è il postclassico, il postmoderno etc.) e anche la scuola dei Macchiaioli – movimento pittorico che ha segnato l’arte Italiana (e, in particolare, toscana) del secondo Ottocento – vanta un buon numero di pittori che sono comunemente detti post-macchiaioli.
Si tratta di artisti cresciuti sulla scia dei “mostri sacri” della Macchia, come Giovanni Fattori, Silvestro Lega e Telemaco Signorini, e che da un lato ne seguono l’esempio, mentre dall’altro vanno, come è ovvio, alla ricerca di suggestioni innovative. L’elemento principe che li accomuna è ancora una volta la Toscana come terra d’origine e d’azione; di particolare spicco è poi la “pattuglia” originaria di Livorno (la cosiddetta “scuola labronica”), città natale anche del grande Giovanni Fattori. Vi è però un’altra caratteristica che l’eredità della Macchia ha lasciato loro come marchio di fabbrica: la vocazione per il vero e per i soggetti tratti dalla vita quotidiana.
La mostra al Palazzo delle Paure di Lecco
Per chi volesse saperne di più è d’obbligo una sosta a Lecco, dove, fino al 19 giugno 2022, il centralissimo Palazzo delle Paure ospita La luce del vero. L’eredità della pittura macchiaiola. Da Fattori a Ghiglia, nuovo appuntamento del ciclo di esposizioni, iniziato nel 2019, che approfondisce la scena artistica italiana del XIX secolo. La mostra, curata da Simona Bartolena, prodotta e realizzata da ViDi – Visit Different, in collaborazione con il Comune di Lecco e il Sistema Museale Urbano Lecchese, esplora, attraverso novanta opere provenienti da collezioni pubbliche e private, proprio il tema della pittura post-macchiaiola, evidenziando come l’eredità dei maestri, scivolando verso il Novecento, sia andata contaminandosi con influssi d’altro genere, perché – come afferma la curatrice – «nell’area Toscana il ventaglio di linguaggi e di ricerche in questo periodo di transizione è particolarmente ricco e l’intreccio tra lo sguardo sul vero oggettivo dei Macchiaioli, l’impatto dell’impressionismo francese e le tentazioni simboliste si fa molto interessante».
Dalla Macchia verso il Novecento
Così in mostra, accanto a opere dei capiscuola (spicca, tra tutte, una bella Raccolta delle foglie di Fattori, del 1887), troviamo i dipinti di Ruggero Panerai, dei fratelli Francesco e Lugi Gioli, e della famiglia Tommasi, composta dai fratelli Angiolo e Ludovico e dal cugino Adolfo: in loro l’eredità paesaggistica della Macchia è di tutta evidenza, così come lo è nelle tavole di Giovanni Bartolena.
Ma l’arte non si ferma, al pari della Storia, e guarda a nuovi orizzonti, come – simbolicamente – sembra fare la protagonista del bellissimo, poetico, dipinto Contadine in Toscana di Francesco Gioli che è raffigurato nella locandina della mostra.
Infatti vediamo una sempre maggiore autonomia rispetto ai modelli in Llewelyn Lloyd, Ulvi Liegi, Plinio Nomellini, Renato Natali, Mario Puccini, Lorenzo Viani, Guglielmo Micheli, Oscar Ghiglia, pittori dalla tavolozza più vivace e dalle tentazioni più decisamente novecentesche. E proprio quest’ultimo – il livornese Oscar Ghiglia (a proposito: che bello il suo Calle su fondo rosso!) – è forse il “caso” più adatto a fotografare la complessità di questa esperienza. Sì, lui, quello che ci appare come più lontano dalle forme e dai colori di Fattori, ne era stato devoto allievo, nonché studioso appassionato, dato che pubblicò un’importante monografia sul maestro. Dunque, mentre l’amicizia con Amedeo Modigliani, Ardengo Soffici, Giovanni Prezzolini, Giuseppe Papini, Ugo Ojetti lo proiettava in un altro contesto culturale e cronologico, egli non si scordava che lui e gli altri “nani” (per così dire…) della sua epoca senza le solide spalle dei “giganti” della Macchia non avrebbero potuto mai iniziare il loro percorso di emancipazione dall’Ottocento, secolo nel quale erano nati ma che cominciavano a sentire un po’ stretto. Così come un po’ stretta sentivano l’eredità pittorica locale, come ho pensato davanti al bellissimo Fienaiolo di Mario Puccini, che appare un evidente omaggio a Van Gogh.
In bilico fra tradizione e innovazione, comunque, questi pittori appaiono non certo dei “minori”, come qualche volta vengono definiti, ma dei veri protagonisti del loro tempo, anche se – va detto per amore di verità – il livello qualitativo dei quadri esposti non è sempre uniforme, cosa però inevitabile davanti a una produzione tanto abbondante come quella che caratterizzò molti dei loro artefici.
La mostra lecchese rappresenta dunque un piacevole e istruttivo viaggio di un’Italia che, muovendo dalle Guerre d’Indipendenza, dovette affrontare sfide non meno impegnative come la Grande Guerra e l’avvento del Fascismo. Ma a questa “macro-storia” sembrano alludere quasi solo i “fattoriani” soldati a cavallo di Ruggero Panerai, perché sono invece i protagonisti della “micro-storia” (quelli che Manzoni avrebbe definito gli umili, e il più recente Verga i vinti) a illuminare le tele dell’esposizione lecchese: sono contadini, marinai, spaccapietre, etc. immersi in quei colori e in quella luce che solo la terra di Toscana sa davvero offrire. E non solo ai pittori.