Anche una minuscola isola dell’Egeo può raccontarci glorie e ferite della Storia con la “S” maiuscola.
Anche una minuscola isola dell’Egeo può raccontarci glorie e ferite della Storia con la “S” maiuscola.
Secondo i mitografi Astypalea era sorella di Europa e amante di Poseidone, dio del mare. E se oggi qualcuno visita l’omonima isola greca – nel bel mezzo dell’Egeo – che è la più occidentale del Dodecaneso (storicamente e politicamente) ma forse la più orientale delle Cicladi (geograficamente e architettonicamente), capisce il perché di questo legame: il mare è dappertutto, e ovunque tu guardi è blu, con l’increspatura bianca dovuta allo sferzare del meltemi…
Le vicende di Astypalea sono lunghe (non a caso il suo nome significa “città antica”) e interessanti, perché sono quelle di un “microcosmo” di Grecia insulare, e si intrecciano sia con la suggestione del mito sia con la durezza della Storia con la “S” maiuscola, i cui documenti più antichi sono conservati nel piccolo ma suggestivo Museo Archeologico locale di Pera Ghialos.
La tradizione la vuole sottoposta ai Cretesi del leggendario Minosse, ma con scarsa documentazione archeologica; documentazione che esiste invece per l’età micenea (le tombe di Armenochori), ma soprattutto per l’epoca successiva. L’isola divenne infatti un insediamento dorico, popolato da Greci provenienti da Megara ed Epidauro, e col tempo si organizzò come una vera e propria polis, con le autonome istituzioni politiche, attestate dall’epigrafia locale, e con strutture urbanistiche ormai note agli studiosi: un pritaneo, un’agorà, e alcuni templi, tra i quali spiccava forse quello di Asclepio, il dio guaritore che aveva il suo santuario maggiore nella non troppo lontana Kos.
La polis, dopo le Guerre Persiane (inizio V sec. a.C.), entrò quindi nella Lega Delio-Attica, fedele ad Atene, e rafforzò il suo ruolo strategico di porto commerciale. Ma i secoli passano in fretta e vediamo la nostra comunità transitare dall’influsso tolomaico, in età ellenistica, fino all’inesorabile ingresso nell’orbita romana (II sec. a.C.), che le valse nel 105 a.C. il titolo di civitas foederata; segno, questo, di una pur parziale ma prestigiosa indipendenza politica e amministrativa. Roma imperiale la governò quindi per secoli, come larga parte dell’ecumene di allora, e in età tardo imperiale anche Astypalea si cristianizzò, come attestano le numerose basiliche paleocristiane – con resti di pavimenti musivi – e le suggestive “Terme di Tallaras” del V sec. d.C. Come è ovvio, alla divisione dell’impero l’isola restò legata alla pars Orientis, e dunque fino al 1204 fu governata dai bizantini.
Ma cosa avvenne nel 1204? La fine della famosa Quarta Crociata, quella che – indetta da papa Innocenzo III nel 1198 – si risolse non tanto in una guerra contro i musulmani, ma contro i bizantini, finalizzata alla creazione di un impero latino d’Oriente. I padroni di questa parte dell’Egeo divennero dunque i Veneziani, e Marco Sanudo, onnipotente duca di Nasso, affidò Astypalea alla famiglia veneziana dei Querini, nella persona di Giovanni I. Il nome dell’isola fu presto “occidentalizzato” dai latini in Stampalia, e così la troviamo chiamata per secoli nelle mappe e nei portolani. Nome, quello di Stampalia, strettamente connesso alla famiglia che la governò per tre secoli, come attesta ancora oggi il magnifico palazzo veneziano “Querini-Stampalia”, sede dell’omonima fondazione.
Durante il governo dei Querini, Astypalea ebbe un’evidente decadenza politica, economica e demografica, anche perché la conformazione delle sue coste la resero per molto tempo base di pericolosi pirati: lo attesta il toponimo attuale Maltezana, che sta ad indicare una base di pirati maltesi. E di tanto in tanto i vicini Turchi riuscivano – pur se temporaneamente – a esercitare un reale controllo sull’isola, in barba ai rivali Veneziani. Solo nel 1413 Giovanni IV Querini, governatore anche di Tinos e Mikonos, la “rimpolpò” demograficamente con abitanti di queste isole e la difese col poderoso castello che domina l’isola intera, del quale ancora oggi restano – nella località detta Chora, attuale capitale – imponenti quanto pericolanti rovine.
Ma, dopo quella dei Veneziani, Astypalea subì altre due – più o meno lunghe – occupazioni. La prima fu quella plurisecolare dei Turchi, che dal 1537 la annetterono, come molte isole dell’Egeo, all’impero ottomano, cui la Grecia continentale era già stata sottomessa; ma non è questa la sede per trattare di questo argomento, perché siamo davanti a uno degli eventi più noti, discussi, controversi e dolorosi della storia d’Europa. E anche oggi parlarne con i Greci non è cosa facile… Così come non è sempre facile – per noi italiani – parlare della seconda dominazione che dobbiamo ricordare, cioè quella italiana sul Dodecaneso (e dunque anche su Astypalea) dal 1913 al 1945; quella, per intenderci, immortalata da Gabriele Salvatores nel suo celebre film Mediterraneo, con l’esempio dell’isola di Kastellorizo, collocata ancora più a est della nostra.
Bazzico la Grecia del 1980 e ho potuto discutere nel corso degli anni con persone, ormai sempre più anziane e meno numerose, che questa dominazione hanno subìto. Constato comunque che sono sempre meno i Greci isolani che la ricordano con favore (magari parlando di strade od opere pubbliche fatte costruire da Mussolini), e sempre più quelli che – col passare del tempo – hanno elaborato la consapevolezza della violenza culturale fatta ai loro danni, cercando di allontanarli dalla loro lingua e dalla loro religione. Certo noi italiani non siamo per loro come i Turchi, e abbiamo rispetto ai Greci una faccia, una razza – come dicono qui – ma oltre trent’anni di colonialismo non si dimenticano in fretta; così come i più anziani non hanno dimenticato qualche parola di italiano imparato a scuola.
È però vero che Astypalea seppe mantenere sempre una certa forma di autonomia, dovuta anche alla sua posizione geograficamente defilata, e come dimostra il fatto che nel 1762, in piena dominazione turca (e dunque musulmana), fu edificata la ancor oggi veneratissima chiesa ortodossa della Panaghia Portaitissa, ubicata proprio sotto il castello. Inoltre l’isola non fu certo una delle più “italianizzate”, come avvenne invece per le grandi e fertili Rodi o Kos, importanti basi navali, per Leros, “ridisegnata” da una inquietante architettura e urbanistica fascista, o per la stessa Kastellorizo. Gli abitanti della vecchia Stampalia, dunque, dovettero continuare un’esistenza plurisecolare, fatta di pesca (già in antico l’isola era detta “la pescosa”), pastorizia, e agricoltura di sussistenza. Ed è quella che, in fondo, anche dopo il 1948, data di annessione alla Grecia dopo l’occupazione britannica, hanno continuato a fare gli astipalioti che non sono emigrati in Australia o negli Stati Uniti. Ciò prima di scoprire il turismo – in verità ancora discreto e lontano dai circuiti dei tour operator – come fonte di nuova ricchezza, almeno prima della crisi attuale; crisi che anche sull’isola, pur se in forme meno clamorose che ad Atene, si fa sentire nella sua durezza.
Tutto qui. Un fazzoletto di terra (ha oggi circa 1000 abitanti) a forma di farfalla collocato in mezzo al mare; un brandello di storia scritto nei secoli da Micenei, Dori, Romani, Bizantini, Veneziani, Turchi, Italiani, e, finalmente, dai Greci di oggi; Greci che puoi trovare – quando non lavorano – seduti in un kafeneio lungo il vecchio porto di Pera Ghialos, e i cui volti fieri ma solcati dalle rughe sembrano ancora segnalare il destino sia di grandezza sia di oppressione che hanno alle spalle. Un destino comune a molti altri isolani di questa porzione di Egeo, il cui mare apparentemente incontaminato ha visto – come abbiamo anticipato – cristiani d’Occidente e d’Oriente affondarsi reciprocamente le navi, e quindi Greci e Turchi buttarsi a vicenda in pasto ai pescecani; e che durante la Seconda Guerra Mondiale ha provato bombe tanto mortali quanto forse dannatamente necessarie per terminare il conflitto.
No, non parlate ai Greci seduti al kafeneio di Astypalea di cambiare vita e mentalità, perché sette secoli di dominazione straniera hanno radicato in loro un sentimento identitario inscalfibile. Sentimento che non è qui – come avviene talora nelle grandi città greche – venato di intolleranza o razzismo, ma che include comunque un evidente senso di superiorità greco, presente nonostante tutto: crisi economica, imposizioni della Troika, incertezza per il futuro. “Perché gli inventori della navigazione, della poesia, della filosofia, della democrazia, dell’ortodossia, dovrebbero cambiare? Perché i discendenti dei difensori della civiltà occidentale dalla barbarie persiana e dovrebbero oggi obbedire all’Europa dei burocrati?” Difficile rispondere… Chi scrive – se glielo chiedono – tace e osserva le rughe malinconiche del suo interlocutore, prima di guardare insieme con lui il mare, solcato da barche a vela e piccoli pescherecci, oltre che dagli imponenti traghetti della compagnia Blue Star Ferries.
Non so, non credo, che esista davvero una disciplina definibile “Geo-storia”, termine che ormai si usa a scuola per indicare la dolorosa fusione voluta della riforma Gelmini di due materie prima distinte; esiste però – e gli storici lo sanno dai tempi di Ecateo di Mileto e del grande Erodoto – una profonda influenza della geografia sulle vicende storiche. Ed è per questo che ho voluto sottoporre ai lettori de La ricerca un breve saggio di storia greca attraverso l’esempio di una sua isola di particolare ubicazione e di minore notorietà. Ma poiché parliamo di quell’Egeo che gli Argonauti attraversarono alla ricerca del vello d’oro e che – divenuto in Omero mare colore del vino – solcò Odisseo all’inizio del suo nostos da Troia, nulla che qui sia avvenuto in seguito può dirsi davvero “minore”. Perché quel mare non è solo un elemento geografico, ma spirituale, culturale e identitario; e perché – come ho già scritto su queste colonne – guardandone le onde anche oggi “non possiamo non dirci Greci”, anche se non abbiamo le rughe pensose di chi da millenni subisce – violenza o benedizione? – il sole cocente che proprio su quelle onde si riverbera.