La Milano di oggi – e cioè la Mediolanum dei Romani – non mostra certo lo splendore monumentale di Roma e neppure l’abbondanza di reperti archeologici d’epoca romana di altre città dell’Italia del Nord, come Verona, Aquileia o come la vicina Brescia, della quale ho già scritto su queste colonne. Eppure in epoca tetrarchica (successivamente al 284 d.C.) Diocleziano la scelse come capitale dell’impero d’Occidente, funzione che – pure nella drammatica evoluzione degli eventi – Mediolanum mantenne per oltre un secolo (fino al 402 d.C.), in condominio con la germanica Augusta Trevirorum, mentre in Oriente primeggiavano Nicomedia (con Antiochia) e Sirmium.
Nel corso dei secoli l’importanza di questa città era molto cresciuta. Da centro di fondazione celtica (forse nel V-IV secolo a.C.) era poi stata conquistata da Roma, divenendone alleata (II sec. d.C.); e quindi – dopo l’89 a.C. – aveva assunto il rango di colonia latina. Dall’età cesariana in poi i mediolanensi, come tutti gli abitanti del Nord Italia, furono cives romani a tutti gli effetti e Mediolanum divenne municipium, città con una certa autonomia amministrativa, fino a che Gallieno (253-268 d.C.) le diede il titolo onorifico di colonia Gallieniana. Ciò denota come il potere imperiale guardasse con interesse alla posizione strategica della città posta nel cuore della Pianura Padana – e dunque a metà tra l’Occidente e l’Oriente romano – ma soprattutto vicina a quelle Alpes tremendae (come dice Orazio, Odi, 4, 14, 12) oltre le quali stazionavano i minacciosi barbari invasori: è infatti da qui, più che da qualunque altra parte, che si poteva meglio controllarli.
Divenuta sede imperiale, residenza dell’Augusto Massimiano e dei suoi successori, andò soggetta a partire dalla fine del III secolo d.C. a forme di fortificazione (nuove mura furono erette proprio da Massimiano) e di miglioramento dell’arredo urbano, perché assumesse il nobile volto di capitale: all’esterno delle mura vennero costruiti il circo e l’anfiteatro, il mausoleo imperiale, mentre all’interno furono edificati la residenza imperiale, le terme, ma anche gli horrea (cioè i magazzini) che denotano l’importanza commerciale della città. Il fatto che oggi assai poco di tutto ciò sia visibile (ma non del tutto invisibile, come vedremo) è legato al grande e ininterrotto sviluppo urbano di una città che ha distrutto molti segni del suo passato.
Vi risedettero, oltre i principi, i più alti funzionari dell’età tardo-imperiale e negli anni tra il 374 e il 397 d.C. esercitò le funzioni di vescovo Ambrogio, una delle figure più importanti della cristianità del tempo; ed è proprio a Mediolanum che il cor inquietum di Agostino completò la sua conversione e il futuro santo ricevette – proprio da Ambrogio – il battesimo (387 d.C.).
Che emozione pensare, proprio nell’odierna metropoli della moda e degli affari, a un incontro che è stato manifestazione di così alta spiritualità, ma anche di così profonda integrazione (avvenuto in Italia, ma tra un civis di origine germanica come Ambrogio e uno di origine africana come Agostino)! Incontro che Agostino ricorda con queste parole nelle sue Confessioni:
Qui incontrai il vescovo Ambrogio, noto a tutto il mondo come uno dei migliori, e tuo devoto servitore. In quel tempo la sua eloquenza dispensava strenuamente al popolo la sostanza del tuo frumento, la letizia del tuo olio e la sobria ebbrezza del tuo vino. A lui ero guidato inconsapevole da te, per essere da lui guidato consapevole a te. Quell’uomo di Dio mi accolse come un padre e gradì il mio pellegrinaggio proprio come un vescovo. Io pure presi subito ad amarlo, dapprima però non certo come maestro di verità, poiché non avevo nessuna speranza di trovarla dentro la tua Chiesa, bensì come persona che mi mostrava benevolenza. (Confessioni 13,23; trad. C. Carena)
E, a proposito di religione, bisogna ricordare l’importanza delle chiese paleocristiane di Milano, tra le quali spiccano la Basilica Apostolorum (oggi San Nazaro) voluta da Ambrogio, la Basilica Martyrum e San Vittore in Ciel d’oro (oggi conglobate nella basilica di Sant’Ambrogio), Santa Tecla (oggi sotto il Duomo), Sant’Eustorgio e San Lorenzo; la costruzione sui loro siti di edifici successivi religiosi non ha però cancellato del tutto le tracce dell’originario splendore testimoniato, ad esempio, dai mosaici di San Vittore in Ciel d’oro e San Lorenzo.
Al di là delle testimonianze paleocristiane, vi è però una recente notizia che rende più ricca la documentazione (non eccessiva, anticipavo, ma comunque interessante: le “colonne di San Lorenzo”, il palazzo imperiale – con le contigue terme – di Via Brisa, l’anfiteatro di Via De Amicis, il circo dell’omonima via…) della Mediolanum romana. Si tratta dell’apertura al pubblico di una piccola parte dell’antico foro, che si estendeva in antico (per m. 55 x 160 ca.) nella centrale area urbana attualmente compresa tra piazza Pio XI, piazza San Sepolcro e via della Zecca: lì si trovava la platea forensis, cioè la sede dei principali edifici pubblici come la Curia (sede del Senato locale), la Basilica (luogo di amministrazione della giustizia), il Capitolium (cioè il tempio dedicato alla Triade Capitolina, costituita da Giove, Giunone e Minerva), oltre alle botteghe e ai luoghi di ristorazione.
Stiamo parlando – come dicevo – di una porzione della pavimentazione forense, costituita da lastre di pietra bianca, detta “di Verona”, usate a partire dal I secolo d. C. per lastricare quella piazza che, nei secoli, avrà visto camminare illustri personaggi, tra i quali gli imperatori che qui risiedevano, ma di certo anche Ambrogio ed Agostino, oltre ai comuni mediolanenses. Si trova proprio sotto la Pinacoteca Ambrosiana (che è pure prestigiosa Biblioteca, non dimentichiamolo…): infatti è proprio durante un restauro dell’Ambrosiana che è venuta alla luce (negli anni Novanta del secolo scorso) quest’area, poi sottosta a scavo e studio ad opera della Soprintendenza Archeologica, con il concorso della Regione Lombardia e della Fondazione Cariplo.
L’accesso al sito archeologico è ora regolato dalla Pinacoteca Ambrosiana, con modalità che sono documentate sulla pagina web di questa prestigiosa istituzione, dove è anche consultabile un ebook che contiene – tra l’altro – un importante studio sul foro mediolanense dell’archeologa Anna Ceresa Mori.
Concludo con un consiglio. Se qualcuno avesse intenzione di venire apposta a Milano per visitare questo nuovo “tassello” della ricostruzione del passato imperiale della città, non dimentichi di fare un salto anche al Civico Museo Archeologico di Corso Magenta 15: se manca da un po’ di anni lo troverà infatti ampliato e profondamente rinnovato. E scoprirà che alcuni pezzi lì conservati (come la celebre “Patera di Parabiago”) valgono da soli il viaggio, e sono davvero degni di una capitale.
Tra l’altro al Museo Archeologico, così come all’Antiquarium “Alda Levi” (adiacente all’anfiteatro romano), si conservano alcune delle iscrizioni latine che si trovavano nel Lapidario romano, ora “dismesso”, presso il Castello Sforzesco. E scrivo questo con un profondo dispiacere, poiché il lapidario – ideato negli anni Ottanta dal mio Maestro, Antonio Sartori – era uno splendido esempio di museo tematico moderno e funzionale. Ma, si sa, a veder “pietre iscritte” non accorrono genti da ogni dove, e lo spazio espositivo è stato fagocitato da un certo (non sempre accettabile) “darwinismo culturale”. Da qui la diaspora delle epigrafi, “pietre iscritte” che – non meno di quelle che lastricano l’antico foro – ci raccontano l’affascinante quotidianità dei nostri antenati mediolanensi.
Tra queste pietre mi permetto di segnalarne una, per lasciare ai lettori l’immagine di una Milano antica operosa e solidale. È la stele funeraria (CIL V, 6036) di due esponenti della gens Magia, che si stringono la mano e che decorano il piccolo timpano – oltre che con la gorgone – con martello e tenaglie; erano soci d’affari, pensiamo, magari in qualche piccola officina simile a quelle che – nella Milano della mia adolescenza – pullulavano ancora, e dove io portavo a riparare la Lambretta…