La Notte Nazionale al Liceo Banfi di Vimercate
Anche la scuola dove insegno, il Liceo Scientifico e Classico “Antonio Banfi” di Vimercate [Scuola Amica de La ricerca!, N.d.R.], ha aderito all’iniziativa. Può non sembrare elegante parlare, in questa sede, del proprio “orticello”; eppure, come già ho fatto qualche altra volta, voglio ricordare una delle iniziative che hanno caratterizzato la “Notte” del “Banfi”, e cioè la Tavola rotonda – moderata da chi scrive – tenuta da Cristina Cattaneo e Fabrizio Slavazzi, entrambi professori ordinari presso l’Università degli Studi di Milano, sul tema Scienza e archeologia: i risultati di una proficua collaborazione.
Lo faccio perché l’incontro, cui hanno assistito molte persone, ha avuto un livello di gradimento davvero altissimo tra i presenti. Ciò, anzitutto, per l’alto profilo scientifico e umano degli ospiti; ma nondimeno per le conseguenze metodologiche dei loro interventi: di ciò vorrei ora brevemente parlare, ricordando parimenti come la serata non si sarebbe potuta realizzare senza il fattivo supporto del dirigente, il professor Giancarlo Sala, e di molti colleghi e studenti (presenti e passati), oltre che – ma ciò è quasi ovvio – senza la generosa disponibilità dei relatori. A tutti vanno i miei più sentiti ringraziamenti.
Cristina Cattaneo: la salute degli antichi Milanesi
Comincio col presentare (ma ce n’è bisogno? forse no…) Cristina Cattaneo,medico e antropologo, docente di Medicina Legale alla “Statale” di Milano, nonché direttore del Labanof (Laboratorio di antropologia e odontologia forense) presso la stessa Università. Qualcuno l’ha definita il medico legale più famoso d’Italia, perché coinvolta in casi di cronaca che hanno emozionato la pubblica opinione: ad alcune di queste vicende si allude tra l’altro in un suo recente volume dal titolo inequivoco, cioè Corpi, scheletri e delitti, Raffaello Cortina editore, Milano 2019.
Io voglio, però, ricordare soprattutto il suo instancabile, meritorio, sforzo per dare un nome ai “migranti senza nome” morti nel Mediterraneo in questi ultimi anni, a quei nantespurtroppo non rari– parafrasando Virgilio – scomparsi a centinaia in gurgite vastoe troppo presto dimenticati. Di ciò ha scritto in un bel libro, precedente a quello che ho sopra citato, nel quale ella afferma che l’umanità si manifesta «con la sua storia e la sua dignità» parimenti «dalle ossa di una matrona romana rinvenuto in un sarcofago, di un bambino morto di tubercolosi nel Medioevo, oppure dai resti di un senzatetto accoltellato dieci anni fa, di una prostituta fatta a pezzi e gettata in un lago, dallo scheletro di un anziano malato di Alzheimer allontanatosi da casa o, infine, dai resti di un migrante morto in mare nel tentativo di raggiungere l’Italia» (C. Cattaneo, Naufraghi senza volto. Dare un nome alle vittime del Mediterraneo, Raffello Cortina Editore, Milano 2018, pp. 10-11).
Io conosco e apprezzo da anni le “incursioni” della professoressa Cattaneo nei territori dell’archeologia e della storia antica, e già avevo parlato – su queste colonne– del lavoro che con un gruppo di scienziati (e archeologi, Fabrizio Slavazzi compreso) ha compiuto nel 2018 sui venerandi scheletri dei Santi Ambrogio, Gervaso e Protaso conservati nella Basilica milanese dedicata al Patrono.
Non mi era mai capitato, però, di interloquire direttamente con lei, e di vederla alle prese con un pubblico non specialistico, che è stata in grado di catturare parlando di cose “difficili” in modo chiaro e comprensibile. Ci ha dunque intrattenuto sullo stato di salute e sul grado di multietnicità dei Milanesi dall’età romana fino a quella moderna, alla luce delle indagini scientifiche effettuate sui loro resti umani. Ne è emerso come in epoca romana, rispetto al Medioevo, fossero maggiori sia il livello di salute e nutrizione sia il melting potdella popolazione; come gli antichi prediligessero le lenticchie (presenti anche nel tartaro dei denti dei Santi da lei studiati), mentre i medievali mangiavano molte castagne; come la sifilide fosse diffusa più o meno in ogni epoca; e come l’altezza media si sia, nel corso dei secoli, sì innalzata, ma non nelle forme così vistose come l’opinione pubblica crede. Non sono mancate, poi, informazioni più specifiche sullo “stato di salute” dei Santi dei quali già ho scritto, arricchite da episodi che hanno incuriosito i ragazzi: ad esempio la TAC alla quale sono stati sottoposti – tra le ansie dei religiosi della Basilica (le preziose ossa da lì non erano mai uscite!) – in un ospedale milanese.
- Fabrizio Slavazzi al Liceo Banfi
- Veduta del sepolcreto della Ca’Granda
Fabrizio Slavazzi: gli ossuari della Ca’ Granda
Non minore interesse ha suscitato l’intervento di Fabrizio Slavazzi, che alla Statale insegna Archeologia Romana. Grande esperto di statuaria, pavimenti e mosaici, nonché raffinato conoscitore della storia della tradizione classica, Slavazzi è autore di numerose pubblicazioni scientifiche. Ha condotto scavi in varie località del Mediterraneo (tra gli altri, quelli nell’area della Villa di Tiberio a Sperlonga, e nella città greco-romana di Gortina sull’isola di Creta) e studia da anni il materiale archeologico reperito nella Villa Adriana di Tivoli. Ma al “Banfi” (che altre volte l’aveva ospitato) ha parlato anch’egli – come la sua collega scienziata – di… scheletri! Ha infatti ricordato come il magnifico edificio della “Statale” sia sorto nel Quattrocento come ospedale e che, come tale, abbia funzionato fino ai primi del Novecento; dunque, sotto gli spazi dove oggi migliaia di giovani studiano e chiacchierano ancora giacciono migliaia di ossa di uomini e donne che, ricoverati alla Ca’ Granda (così l’edificio era ed è ancora detto), lì sono morti.
L’archeologo, in particolare, si è soffermato sulla cripta della Chiesa della Beata Vergine Annunciata, utilizzata a lungo come ossuario per i morti dell’ospedale, quindi chiusa (in quanto soppiantata dal cimitero dell’attuale “Rotonda della Besana”), e poi riaperta per ospitare i caduti delle Cinque giornate milanesi del 1848. Il viaggio attraverso le epidemie, le rivolte risorgimentali, le bombe della Seconda guerra mondiale, ha portato la platea a riflettere sulla morte come fenomeno sociale e culturale, ma anche sulla necessità che lo studio di quelle ossa veda coinvolti archeologi, medici (tra i quali, ovviamente, Cristina Cattaneo), biologi ecc.; e che questo si integri con la rigorosa consultazione degli archivi ospedalieri, compito che spetta agli storici. Un team di studiosi, dunque.
Il superamento di antiche barriere
Insomma, mi piacerebbe che gli studenti che hanno ascoltato questo interessante dibattito, il quale ha evidenziato la necessità della collaborazione tra esperti di discipline diverse, si siano resi conto che le “barriere” tra humanitiese scienceesistono solo nell’ottica di un incomprensibile passatismo; e che il mondo che li aspetta è fatto di aperture, contaminazioni – e perfino mescolanze – di uomini, idee, competenze, senza che nessuno debba per questo sentirsi sminuito o privato di vere o presunte identità: perché il medico che collabora con l’archeologo non è per questo “meno scienziato”, così come l’archeologo che ricerca l’aiuto di un medico non ha certo rinunciato al suo profilo di antichista. E mi piacerebbe che di questo si convincessero anche alcuni colleghi, docenti un po’ troppo arroccati a difesa del proprio “territorio”.
Cultura classica e humanitas
Concludo con un’ulteriore nota che va in questa direzione: durante la serata, è emerso che sia l’archeologo sia il medico legale hanno studiato al Liceo Classico. Che il primo ne abbia tratto vantaggio per i suoi studi futuri, è più che ovvio; che poi la professoressa Cattaneo – che ha poi studiato Medicina – ne abbia tessuto le lodi, ricordandone la dimensione formativa, mi ha fatto molto piacere. In primo luogo, perché al “Classico” io insegno da molti anni, “toccando con mano” il successo universitario dei miei ex allievi che si iscrivono ai più disparati corsi di laurea, medicina compresa. In secondo luogo perché sono fermamente convinto che lo studio delle civiltà antiche, delle loro lingue e dei loro valori sia carico di una “bellezza” utile a prescindere dalla sua apparente inutilità. Questo studio ci spinge infatti a cogliere le dinamiche di alterità e/o continuità tra passato e presente, la cui analisi ci offre una prospettiva di lettura della realtà assai stimolante e tutt’altro che scontata.
Senza dubbio, tra gli elementi di continuità vorrei ci fosse quella humanitas di cui parlavano i Latini, e cioè l’idea che la conseguenza di una buona formazione culturale debba anzitutto essere il rispetto per “l’uomo in quanto uomo”. Che poi, non forse è quello che Cristina Cattaneo sostiene, quando afferma – come si è detto sopra – la necessità che davanti allo scheletro di Sant’Ambrogio (con tanto di artrite e tartaro sui denti) o al misero cadavere di un naufrago, il primo dovere di un medico debba essere il rispetto per la sua dignità? Perché il medico (come l’archeologo, ma anche l’insegnante, l’avvocato, l’impiegato di banca, il vigile del fuoco, e potrei andare avanti all’infinito…) è anzitutto (al pari del Santo o del migrante) un uomo, e – come scriveva Terenzio (Heautontimorumenos I, 1, 25) – dovrebbe anzitutto pensare: homo sum, humani nihil alienumputo (cioè «sono un uomo, e niente di ciò che è umano mi è estraneo»).