Nel 1987 usciva il film di Wim Wenders Il cielo sopra Berlino premiato per la migliore regia al Festival di Cannes. Ai mondiali di calcio del 2006, il telecronista Marco Civoli si ispirò chiaramente al titolo del film quando commentò la vittoria dell’Italia gridando, dopo il rigore di Fabio Grosso: «Ed è gol! È finita, è finita, è finita, è finita! Il cielo è azzurro sopra Berlino!».
A parte quel momento di esultanza per la vittoria della nazionale, c’è veramente un cielo italiano a Berlino. Si tratta di nove dipinti su tela di Sebastiano Ricci raffiguranti Gli Dei dell’Olimpo (1698-1703 ca.), provenienti dal soffitto di Palazzo Mocenigo a San Samuele a Venezia e oggi conservati nella Gemäldegalerie di Berlino.
Era stato il principe Filippo d’Assia, marito di Mafalda di Savoia, nell’aprile 1941, a concludere l’acquisto per conto di Hitler dei dipinti di Sebastiano Ricci. Filippo d’Assia era uno dei referenti italiani di Hans Posse, direttore della Pinacoteca di Dresda, che era venuto in Italia per incarico del Führer con ingenti somme a disposizione per l’acquisto di opere d’arte.
Era da prima della guerra che la Germania, aggirando le normative di tutela italiane, riusciva ad ottenere opere, anche notificate, destinate soprattutto ad arricchire la collezione personale di Hermann Göring e il grande museo di Linz voluto da Hitler. L’opposizione del ministro dell’Educazione nazionale Giuseppe Bottai si scontrava spesso con le decisioni di Galeazzo Ciano, ministro degli Affari esteri, o dello stesso Mussolini, volti a non contrastare i desideri del Führer.
Scriveva Bottai a Ciano:
La gravità del fatto, evidentemente inteso a creare nel dopoguerra una situazione di privilegio economico alla nostra alleata, non può sfuggirti: e nel suo aspetto generale, di sistematico accaparramento di valori stabili e sicuri, e nel suo aspetto particolare, di diminuzione del nostro prestigio culturale.
Filippo d’Assia aveva proposto a Bottai di organizzare il recupero dei dipinti asportati in Francia durante il periodo napoleonico in cambio di una minore rigidità di applicazione delle norme che regolavano l’esportazione delle opere italiane in Germania. Per tutta risposta, e sulla base di un appunto di Cesare Brandi e Giulio Carlo Argan, Bottai emanò la circolare n. 170 del 6 novembre 1941, che vietava per tutta la durata della guerra l’alienazione di “cose di antichità e d’arte”, tutelate dalla legge 1° giugno 1939, n. 1089, di proprietà dello Stato, di enti o istituti pubblici, e il divieto di esportazione delle opere tutelate dalla stessa legge.
Le relazioni di Bottai aiutarono Rodolfo Siviero, a capo dell’Ufficio per il recupero delle opere d’arte e del materiale bibliografico e, dal 1953, della Delegazione italiana per le restituzioni, a riportare in Italia, nel dopoguerra, anche molte opere esportate contro la volontà del Ministero.
Proprietario di Palazzo Mocenigo a San Samuele era il conte Andrea di Robilant, produttore della casa cinematografica Sol Film, che nell’aprile 1941 aveva venduto al principe d’Assia i nove dipinti di Sebastiano Ricci.
Di Robilant aveva comunicato ai soprintendenti veneziani la sua intenzione di portare a Roma le opere per proteggerle dai pericoli della guerra. Il 2 aprile 1941 i soprintendenti cercarono di sospendere la spedizione, proponendo di ricoverare le tele in uno dei rifugi appositamente allestiti per le opere veneziane, ma due giorni dopo il conte rispose che la ditta di spedizioni era già partita. La Soprintendenza ai Monumenti precisò che i dipinti dovevano comunque essere ricollocati al loro posto non appena cessato lo stato di emergenza.
Nell’agosto 1941, invece, Andrea di Robilant li presentò all’Ufficio esportazione di Roma per inviarli in Germania, dichiarando un valore di 300.000 lire. L’Ufficio esportazione di Roma e, non appena informata, la Soprintendenza ai Monumenti di Venezia si opposero all’esportazione dei dipinti, che erano stati notificati il 24 luglio 1931 insieme al palazzo e alle sue decorazioni in quanto di grande interesse storico e artistico. Il 9 settembre 1941, Bottai, richiamando la legge di tutela 1089 del 1939, negò il permesso di esportazione delle tele poiché la loro perdita avrebbe costituito un «ingente danno per il patrimonio artistico dello Stato».
Ma Hitler aveva già predisposto il luogo per la collocazione delle opere. Il 1° ottobre 1941, Filippo d’Assia espresse al conte di Robilant il suo disappunto:
Caro Andi, sono stato veramente sorpreso della Vostra comunicazione relativa all’applicazione del divieto di esportazione ai nove dipinti […] da me acquistati fin dai primi di aprile, se ben ricordo, per conto del Fürher. […] Io mi trovo oggi in posizione particolarmente penosa e imbarazzante, poiché […] avevo non solo fatto vedere le fotografie dei dipinti al Fürher, cui erano immensamente piaciute, ma mi ero ritenuto autorizzato ad assicurarlo che in breve tempo avrebbe potuto entrarne in possesso.
L’8 ottobre, il ministro della Cultura popolare Alessandro Pavolini scrisse a Bottai, chiedendogli come favore personale di rivedere la sua decisione. La casa cinematografica Sol Film si era trovata in grosse difficoltà a causa di alcune decisioni del suo ministero:
Caro Bottai, sono spinto a segnalarti la cosa soprattutto per il fatto che il Robilant è stato fortemente danneggiato – come produttore – da due necessarie decisioni del mio Ministero, circa due film da lui prodotti e che ragioni politiche imprevedibili al momento della realizzazione, e dell’approvazione nostra, hanno colpito. Vedi tu.
Uno dei film a cui si riferisce Pavolini è sicuramente La congiura de’ Pazzi di Ladislao Vajda (László Vajda), il regista ungherese di Marcellino pane e vino, del 1955.
Girato nei nuovi stabilimenti cinematografici di Pisorno, a Tirrenia, La congiura de’ Pazzi era stato ben presto ritirato a causa del suo messaggio contrario alle dittature.
Privato dei riferimenti contestati e completamente ridoppiato, il film venne riproposto al pubblico nel febbraio 1941 con il titolo Giuliano de’ Medici.
Bottai fu costretto a concedere l’esportazione del soffitto destinato al Führer, previo pagamento della tassa di lire 68.000 sul valore dichiarato di 300.000 lire e in cambio della cessione gratuita allo Stato, da parte dello stesso proprietario, di un dipinto cinquecentesco raffigurante l’Assedio di Candia.
Aldo De Rinaldis, soprintendente alle Gallerie di Roma I, informò Bottai di aver ricevuto il dipinto donato e di averlo destinato all’arredo di uno degli uffici della Soprintendenza, in quanto privo di interesse artistico e non degno di essere esposto nelle Gallerie romane.
A guerra finita, nella seduta del 14 novembre 1945, il Consiglio dei Ministri dichiarò che dovevano essere considerati nulli i trapassi di proprietà di opere d’arte a favore dello Stato e di enti o privati tedeschi, includendo le opere «asportate a seguito di donazioni o cessioni illegali spesso pagate con moneta deprezzata artificiosamente procuratasi, oppure di autorizzazioni ottenute dalle autorità fasciste a mezzo di pressioni politiche e in contrasto con l’espresso parere degli organi tecnici competenti».
Già con la Dichiarazione di Londra del 5 gennaio 1943 erano state considerate illegali tutte le vendite forzose di opere d’arte.
Nel 1974 i dipinti di Ricci risultavano nei magazzini della Gemäldegalerie di Berlino ovest, in seguito vennero ricomposti nella volta dello scalone che porta ai depositi del museo. Siviero si adoperò invano per recuperare il soffitto veneziano. Il Governo militare americano, da cui dipendeva la restituzione, aveva respinto la richiesta in quanto la tassa di esportazione delle tele era stata regolarmente pagata. L’ambasciatore Mario Bondioli Osio, a capo della Commissione interministeriale per il recupero delle opere d’arte ricostituita negli anni Novanta, dopo il crollo del muro di Berlino e la riunificazione della Germania cercò di riportare in Italia il soffitto Mocenigo, ma non poté opporsi al corposo dossier preparato dalla Germania per rivendicarne la proprietà.
E il cielo veneziano è rimasto a Berlino.
Per approfondire:
Elena Franchi, I viaggi dell’Assunta. La protezione del patrimonio artistico veneziano durante i conflitti mondiali, (I ed. 2010), Pisa, 2018.
Susanna Biadene, I Siviero veneziani, in “Il Giornale dell’Arte”, 63, gennaio 1989, p. 5.