Tra la terra e il cielo

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È arrivato da pochi giorni sui nostri schermi il film Tra la terra e il cielo del regista indiano Neeraj Ghaywan, vincitore del Prix de l’Avenir nella sezione Un certain regard del Festival di Cannes 2015.

Mi rendo conto che sempre più spesso mi ritrovo a recensire film non solo stranieri, ma di scuole cinematografiche marginali rispetto alla produzione mainstream delle major americane e della grandi case di produzione dei principali paesi europei. Forse perché vi riconosco tra le poche voci ancora capaci di scrutare all’interno dell’animo umano con profonda sincerità, senza evitare verità scomode, con la voglia di scoprire e mettere a nudo, senza pudori o autocensure, anche i lati meno piacevoli dell’esistenza umana e del contesto sociale dei nostri tempi. La cultura occidentale sembra ormai inebriata da una ricerca di vacuo intrattenimento, che ha pervaso e modulato ogni forma di comunicazione mediatica, dal cinema alle fiction televisive, dai talk show fino ai telegiornali. Una forma di comunicazione autoreferenziale e onanistica che, tranne rari casi, sembra incapace di uscire da quel loop narrativo destinato a raccontare sempre se stesso, nel vano tentativo di dare una parvenza di credibilità a una finzione sempre più lontana dalla realtà quotidiana.

Per fortuna una parte del mondo cinematografico vive fuori da questo ammorbato contesto culturale. La settima arte ha conservato la sua capacità di parlare un linguaggio universale e di aprire nuovi orizzonti e visioni del mondo a chi non vuole sottomettersi alla gioiosa dittatura del divertimento spensierato e dei consumi, che purtroppo neppure questa crisi riesce a spazzare via definitivamente. Sarebbe potuto essere l’unico effetto positivo di questi anni bui il recupero della realtà, della verità: l’abbandono definitivo dell’estetica e dell’etica illusoria e ingannatrice di slogan, slide e selfie, che ormai ci soffoca da decenni.
Quando ci saremo accorti che anche noi stiamo ormai “sbarcando” sulle rive del Gange, allora apriremo gli occhi. Finalmente.

Si perché proprio le rive del Gange sono le protagoniste simboliche del film di Ghaywan, e delle vite che si agitano tra la terra e il cielo, tra la morte e la vita, in una realtà che lascia poco spazio a speranze e sogni. Un girone dantesco di nemesi, aspirazione ed espiazioni, di felicità sperata e dolore certo, dove la restaurazione dello spietato ordine delle cose prevale sempre su tutto.

Sullo sfondo degli acri e densi fumi delle pire funerarie di Varanasi, città sacra sulle rive del Gange, s’incrociano le vite di personaggi mossi dal desiderio di cambiare le loro vite, ma irrimediabilmente incatenati a un destino che sembra schiacciare ogni sogno di libertà, amore, emancipazione sociale. Nel moto apparente di un luogo in cui il passato, le tradizioni familiari e sociali impongono continuamente il loro peso immutabile e irreversibile, i protagonisti sembrano cercare invano una via d’uscita che possa affrancare le loro vite e scardinare un sistema spietato e immutabile.
Un film corale, fatto di piccole storie quotidiane, che compongono un affresco di grande forza espressiva, raccontato con realismo analitico, quasi documentaristico. Uno stile secco, essenziale, senza facili concessioni a sentimentalismi e a decadenti infatuazioni, che ha il pregio di portare sempre in primo piano la realtà per quello che è, senza edulcoranti mediazioni.
Uomini e donne alla vana ricerca d’una via d’uscita esistenziale, di fronte alla disperazione di un mondo ingiusto, crudele e spietato. Le differenze economiche e sociali, l’arcaico sistema delle caste e una mentalità retrograda e autoritaria vietano ai giovani di amarsi liberamente e di pensare a un futuro diverso da quello dei loro padri. I sensi di colpa avvolgono ogni pensiero e gli ottusi precetti religiosi sembrano congiurare contro ogni cambiamento. I personaggi del film subiscono le tradizioni familiari, come macigni da portare e tramandare all’infinito. Profonde ineguaglianze sociali, millenni di consuetudini immutabili, sembrano frenare ogni tentativo di portare l’India verso la modernità, quella vera, che non vuol dire multinazionali ma libertà, pensiero critico, possibilità di scegliere ciò che è meglio per la piena realizzazione di ogni individuo e rimozione di tutte le barriere che impediscono la mobilità sociale. Pura utopia.

Guardando ciò che accade in Europa, l’India sembra rappresentarne schizofrenicamente il passato e il futuro. Rappresenta, infatti, anche un modello – un perfetto punto d’arrivo per il definitivo affermarsi di potere finanziario globale. Un sistema che sta creando, anche in Occidente, società fondate su piccole élite molto ricche che godono di grandi privilegi, e su una moltitudine di “peones” sempre più poveri e senza diritti. Un mondo sempre più ingiusto, con popolazioni in balia di un capitalismo finanziario spietato.
L’appuntamento per tutti noi è sulle rive di un metaforico Gange. Preparate le pire o incendiate Wall Street.

Tra la terra e il cielo
Regia: Neeraj Ghaywan
Con: Richa Chadda, Vicky Kaushal, Sanjay Mishra, Shweta Tripathi, Nikhil Sahni,Pankaj Tripathy, Bhagwan Tiwari, Bhupesh Singh, Satyakam Anand, Vineet Kumar, Vineet Kumar Singh
Durata: 103 min.
Produzione: India, Francia 2015

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Alessio Turazza

Consulente nel settore cinema e home entertainment, collabora con diverse aziende del settore. Ha lavorato come marketing manager editoriale per Arnoldo Mondadori Editore, Medusa Film e Warner Bros.

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