Tre paracadute a spicchi rossi e bianchi accompagnano dolcemente il tuffo di Orion nelle acque del Pacifico, la capsula della NASA conclude il suo lungo viaggio con un perfetto splashdown (così si chiama in gergo tecnico l’impatto con il mare di satelliti o navicelle che rientrano dallo spazio). È stato un viaggio che l’ha portata, dal lancio più volte rimandato, a orbitare attorno alla Luna fino ad ammarare al largo delle coste californiane: la missione Artemis I si è conclusa e, anche se si attendono i report più dettagliati che arriveranno nei prossimi mesi, già sembra un successo.
La nuova capsula Orion era stata lanciata nello spazio il 16 novembre grazie al colossale e costosissimo razzo Space Launch System (SLS), che ha fatto decollare la sua enorme stazza dalla rampa di lancio dello spazioporto di Cape Canaveral, in Florida. In questa prima missione non c’erano persone a bordo, ma i vari strumenti hanno raccolto moltissimi dati che verranno analizzati in previsione dei prossimi passi del programma spaziale.
Anche il viaggio di ritorno verso la Terra è stato diverso da quello di altri veicoli spaziali, infatti mentre precipitava nell’atmosfera a una velocità di oltre 32 000 km/h la capsula ha eseguito una manovra simile a quella di un sasso che rimbalza sull’acqua: una volta raggiunta un’altitudine di circa 61 km, si è capovolta cambiando rapidamente il suo centro di gravità, risalendo così di 30 km, per poi effettuare la discesa finale. Questo “rimbalzo” serve soprattutto a mirare più precisamente il punto di atterraggio, ad abbassare lo sforzo sullo scudo termico (che deve resistere a temperature di circa 2000 °C) e a ridurre le accelerazioni sulla navicella in fase di rientro; anche per rendere gli atterraggi di Orion più facili e sicuri per i futuri equipaggi.
Tutto questo è infatti solo un assaggio di quello che ci attende nei prossimi anni: il programma Artemis prosegue con una seconda missione, prevista per il 2024, che dovrebbe essere il primo lancio di SLS e Orion con un equipaggio a bordo.
Artemis II ha il compito di portare quattro persone a orbitare attorno alla Luna per una decina di giorni, e poi seguirà quella che viene considerata la missione di punta dell’intero programma spaziale: Artemis III. Nel 2025 questa terza fase porterà due astronauti sulla superficie lunare per circa sei giorni, inclusa la prima donna e la prima persona di colore a camminare sulla Luna, mentre altri due membri dell’equipaggio rimarranno in orbita.
Questa sarà la prima volta che una persona rimetterà piede sul nostro satellite naturale dalla missione Apollo 17 del 1972, e si dovrebbe inaugurare così una nuova stagione di esplorazioni lunari da parte della NASA e dei suoi partner internazionali, che includono la costruzione di una stazione spaziale in orbita attorno alla Luna e di una base lunare permanente. Inoltre, come se questi piani non fossero già molto ambiziosi, l’intenzione dell’agenzia spaziale statunitense è di sfruttare le conoscenze acquisite così per fare un altro “balzo da gigante”: mandare i primi astronauti su Marte.
Ma, qualcuno potrebbe domandarsi, perché dopo oltre mezzo secolo dovremmo tornare sulla Luna e poi addirittura andare su Marte? Secondo la NASA le ragioni sono varie: per fare nuove scoperte scientifiche, per trarne vantaggi economici e soprattutto per ispirare una nuova generazione di esploratori ed esploratrici. Probabilmente non a caso, infatti, questo nuovo programma spaziale è intitolato ad Artemide, che secondo la mitologia greca è la sorella gemella di Apollo ed è appunto la divinità associata alla Luna.
Se finora la presenza femminile nelle esplorazioni spaziali è stata davvero molto esigua, inizia a intravedersi qualche segnale positivo verso una parità di genere anche in questo campo. Per esempio, a fine novembre l’Agenzia Spaziale Europea (ESA, principale partner della NASA) ha presentato la classe 2022 dei suoi nuovi astronauti: si tratta di 17 persone, scelte fra oltre 22 500 candidature provenienti da tutti gli Stati dell’Unione Europea. Fra queste nuove reclute (le prime dopo 13 anni) ci sono cinque astronauti in carriera di cui due donne, oltre a 11 membri che andranno a costituire una squadra “di riserva” e una persona con disabilità. I nuovi candidati prenderanno servizio presso l’European Astronaut Centre di Colonia in Germania, dove verranno addestrati anche per partecipare a missioni nella Stazione Spaziale Internazionale.
L’ESA attualmente ha una sola astronauta, Samantha Cristoforetti, ma la nuova selezione migliorerà l’equilibrio di genere del corpo degli astronauti con due nuove aggiunte femminili: la britannica Rosemary Coogan, fisica e astrofisica con grande esperienza internazionale, e la francese Sophie Adenot, ingegnera aerospaziale e pilota collaudatrice di elicotteri.
Inoltre, per la prima volta l’ESA ha selezionato anche un candidato astronauta con una disabilità fisica, il britannico John McFall (medico ed ex atleta paralimpico) che prenderà parte al Parastronaut Feasibility Project: un progetto che vuole sviluppare opzioni per includere personale con disabilità fisiche nelle missioni spaziali umane. Affinché lo spazio possa essere davvero di tutti e tutte.