Il commissario Kostas Charitos, la creatura di Petros Markaris del quale già abbiamo parlato su queste colonne, è tornato. L’ultimo romanzo che lo vede protagonista è L’università del crimine, La nave di Teseo, Milano 2018 (pp. 333, euro 18), e non tradisce le aspettative degli amanti del genere. Rende però vita piuttosto grama al vostro recensore: infatti – per una serie di motivi che non posso anticipare… – è difficile parlare del libro senza far trapelare anticipazioni che potrebbero rovinare la suspance ai futuri lettori.
Proverò comunque a scrivere qualcosa, in punta di piedi. Gli ingredienti del riuscito cocktail sono questi: una vacanza del commissario in Epiro, nuove amicizie della moglie Adriana, la prospettiva di diventare nonno, e – ovviamente – una serie di delitti da risolvere. Stavolta, archiviati i serial killer legati alla drammatica atmosfera della crisi economica, gli assassini puntano su una categoria ben precisa, poiché uccidono tre docenti universitari “prestati” alla politica.
Infatti in Grecia – come pure dalle nostre parti (il neo-premier Giuseppe Conte docet) – l’osmosi tra cattedre universitarie e “poltrone” ministeriali è piuttosto frequente; in questo caso, tanto frequente da stimolare la rabbia di chi vede in tale prassi una sorta di “furto” ai danni degli studenti, privati spesso dei migliori professori, ammaliati dalle sirene della politica.
La storia, ricca delle consuete digressioni sulle capacità culinarie di Adriana (la “signora” dei ghemistà, cioè i pomodori ripieni), sul traffico di Atene, e sui rapporti un po’ complessi tra polizia e stampa, si configura come un’interessante finestra sul mondo universitario greco e le sue complesse (e non limpidissime) dinamiche “baronali”; dinamiche, in realtà, non troppo lontane da quelle dei patrii atenei.
La novità più rilevante, però, è il pensionamento del diretto superiore di Charitos, e cioè il direttore Ghikas, con il quale il nostro coltiva da anni un rapporto di odio-amore; e in sua assenza, è proprio Charitos a farne le veci, chiamato pertanto a frequenti rapporti con i vertici della polizia e con le autorità governative, durante i quali il commissario della squadra omicidi mostra inusitate doti di diplomazia.
Riuscirà il protagonista nel compito di trovare i criminali? Ovviamente sì, e sarà per lui e (anche) per il lettore un finale un po’ amaro, nel quale è richiesto al nostro un surplus di quella umanità che già di solito lo contraddistingue. E se le ricerche si avvalgono di internet, delle perizie scientifiche, di visite legali, la soluzione del caso giungerà, soprattutto, dalle parole catturate in presa diretta ai suoi interlocutori, suggerite dalla pazienza “maieutica” che il commissario è solito usare sia nei suoi interrogatori ufficiali sia nelle sue chiacchierate con la gente della strada. Sì, Charitos è proprio un uomo nato e cresciuto nella terra che per prima ha scoperto e valorizzato la forza del lόgos!
Il romanzo – ribadisco – è piacevolmente coinvolgente, a testimonianza che la vena narrativa di Markaris (classe 1937) è tutt’altro che esaurita; e non gli nuoce affatto l’atmosfera forse meno “sociale”, più intima e familiare rispetto ai precedenti. Non saprei, comunque, se attribuirla alla senectus dell’autore o al mutato clima della Grecia attuale: aspettiamo, con ansia, il prossimo libro per conferme.
Di più, vi garantisco, non vi posso dire…