La dedica che accompagnava il libro era azzeccata: “Ci ha insegnato che la filosofia nasce dalla meraviglia… di sicuro questo regalo l’ha meravigliata!”. In effetti avevano ragione e su più fronti. Ero stato qualche giorno prima in libreria e non l’avevo visto: non conoscevo l’esistenza del libro che, perciò, mi ha molto meravigliato. Mi meravigliai poi anche pensando che uno studioso della scienza serio, come Giorello, si dedicasse a un tema frivolo e pop. Soprattutto, rimasi lì per lì perplesso, chiedendomi cosa mai c’entrasse Topolino con la filosofia. Poi mi venne in mente, con meraviglia, che in effetti Topolino è un ricercatore, appassionato e brillante, della verità.
Durante la lettura del testo però i motivi di meraviglia si moltiplicarono man mano. Mi aspettavo un testo fatuo o, al meglio, teorico, o magari un libro di quelli in cui ci si serve del protagonista di un fumetto o di una serie televisiva come di un pretesto per parlare di filosofia. Quello che trovai mi lasciò stupito. Il testo non si assestava su questioni teoriche. Pur tra le righe, era attento alla cronaca e non rinunciava affatto a una esplicita militanza culturale e politica. A proposito della libertà di stampa, ad esempio, trovai scritto: “Comunque, il buon giornalismo è quello che deve rivendicare sia il dovere della verità sia il diritto all’errore. Chi fa un giornale può sempre essere debitamente rimproverato, se si dispone di argomenti migliori dei suoi; ma non va gettato in galera o intimidito dal potente di turno” (p. 26). Per fare un altro esempio, commentando il grido al complotto da parte di Bubbo, spasimante di Minni, eliminato dalla gara di ballo, si legge che è “un po’ come quei politici di nostra conoscenza che attribuiscono le loro sventure giudiziarie a complotti di magistrati e non a nequizie commesse dalla propria cricca” (p. 107). Il testo al contempo si sviluppava mostrando una conoscenza molto approfondita della storia del fumetto, risultando ricca di informazioni e di curiosità sul grande Topolino.
Tra le altre cose che mi meravigliarono vi è l’interpretazione non convenzionale, ma ben documentata, che nel libro si offre di Topolino: “il Topolino tutto legge-e-ordine è nato ribelle: non solo un burlador campagnolo, ma un ostinato dissenziente capace di battersi contro ogni forma di prevaricazione, anche se l’esito non è affatto scontato e la vittoria non è sempre dietro la porta” (p. 16). Topolino ribelle? Uhm, interessante! In effetti, il lettore riscopre nel libro come quello spirito ribelle sia una molla che rende il personaggio indomito, spingendolo in avventure che ispirano il libro, ad esempio, a considerazioni di filosofia politica, di etica, sull’identità personale, di epistemologia, di antropologia e di metafisica.
Trovai poi particolarmente meravigliosa e mirabile la ricca girandola di citazioni e rimandi: da Galileo a Cartesio e Hume, dal Faust di Goethe all’Ulisse joyciano, dall’Edipo di Sofocle a Gilgamesh, dalla Bibbia a Darwin, da Epicuro a Spinoza, dai Viaggi di Gulliver al Libellus de nihilo di Charles de Bovelles, da Ventimila leghe sotto i mari di Jules Verne alla Commedia di Dante, da Nietzsche a Heidegger, fino a Popper, da Pirandello a Kubrick, da Paul Adrien Maurice Dirac a Ezra Pound, con un debole per Cartesio e Joyce. La cultura, l’erudizione si accompagnano nel testo con lo scherzo, il paradosso, l’ironia (e una deliziosa autoironia, p. 127). Mi meravigliò infine di riscoprire vero per Topolino ciò che è stato notato nell’ermeneutica biblica: colui che interpreta una figura, finisce per mettere nell’interpretazione ciò che egli stesso è. In questo senso, ho trovato molto di Giorello nel Topolino che egli commenta.
Il libro insomma è stato per me una scoperta stimolante. Complimenti, dunque, agli autori che mi hanno fatto meravigliare, mostrandomi che si può parlare anche di Topolino in maniera non frivola. Soprattutto, grazie ancora ai miei ormai ex allievi che, ancora una volta, mi hanno fatto fare filosofia.