Tipi di tiranno

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Sul tiranno hanno molto riflettuto gli umanisti: all’epoca le esperienze di tirannide non erano rare, o quantomeno erano abbastanza facilmente realizzabili in un’Italia contraddistinta da frammentazione, instabilità politica e ambizioni smodate. La riflessione filosofico-politica più recente si è invece occupata di altri temi e, tra le forme di governo, la democrazia ha riscosso le maggiori attenzioni.

Si è soprattutto parlato di contrattualismo, liberalismo, equa distribuzione delle risorse, modelli di giustificazione del potere. È vero, si è anche parlato di stato totalitario, ma il tema centrale non era tanto la leadership, quando lo studio del sistema complessivo attraverso cui essa si può esercitare. In questo senso, il recente libro di Waller R. Newell, Tiranni. Una storia di potere, ingiustizia e terrore, (Bollati Boringhieri, Torino 2017) è un ritorno a questioni che sembravano ormai fuori agenda. Ciò costituisce un’interessante novità, ed è forse il segno che qualcosa nel clima politico internazionale purtroppo sta cambiando, per la regola non scritta che i teorici, quando riflettono su modelli astratti, lo fanno anche per riflettere meglio sulla cronaca.

L’autore distingue tre tipi di tiranno: giardiniere, riformatore e millenarista.
Il tiranno del primo tipo dispone di un paese e della sua società come di proprietà personali da sfruttare per il proprio utile e per quello dei propri famigliari e sodali. Si considera padrone del paese che governa e perciò è interessato a svilupparlo, a beneficarlo. Questo sembrerebbe positivo così che, per far emergere il problema, Newell osserva: «se il tiranno ingrassa il suo gregge di pecore umane, lo fa solo per guadagnarci di più quando lo scannerà» (p. 17).

Per fare qualche nome, l’autore identifica in questa figura personaggi come Gerone I di Siracusa, Nerone, il generalissimo Franco, Anastasio Somoza Debayle in Nicaragua, a Haiti Papa Doc Duvalir e, in Egitto, Mubarak.

Il tiranno riformatore, cioè il secondo tipo, è spinto dall’ambizione di godere di onore e ricchezza, e di esercitare un potere assoluto. Egli non è un mero edonista e un approfittatore, dato che, attraverso l’esercizio del proprio potere illimitato, desidera apportare un miglioramento alla società e al popolo. Anche in questo caso non mancano le esemplificazioni storiche: Alessandro Magno, Giulio Cesare, i Tudor, i «despoti illuminati» come Luigi XIV, Federico il Grande, Napoleone e Kemal Atatürk.

Mentre, osserva l’autore, non si può che provare disprezzo morale per il primo tipo di tiranni, avidi ed eccessivi, questo tiranno è più complesso da valutare, anche per il consenso che attira da parte di molti che sono sinceramente convinti che sta facendo il bene comune. Egli infatti è capace di avviare grandi progetti nei settori più disparati, dal rinnovamento urbano ai servizi igienico-sanitari, fino a toccare il divario economico tra ricchi e poveri.
Tale tiranno tiene uno standard di vita se non ascetico, almeno sobrio, ed è palese il suo intento costruttivo. Quanto alla violenza, vi ricorre per scopi concreti, senza inutili crudeltà.

Il tiranno millenarista, infine, è esemplificato da personaggi come Robespierre, Stalin, Hitler, Mao, Pol Pot e gli jihadisti di oggi. Egli desidera imporre un regime utopico a cui il singolo deve sottomettersi per il bene collettivo, senza poter ambire a privilegi di sorta. Egli è pronto a ogni sacrificio per raggiungere il proprio fine e non si ferma davanti a mostruosi omicidi di massa, guerre e genocidi pur di realizzare un mondo che incarni la sua idea di perfetta armonia. Secondo Newell, questo genere di tiranni non nasce prima del Terrore giacobino del 1793.

Per alcuni tratti il tiranno millenarista assomiglia a quello riformatore: Stalin e Hitler, scrive l’autore, di fatto modernizzarono l’economia e la tecnologia dei loro stati. Per altri tratti, soprattutto in momenti privati, il tiranno millenarista ha scatti e capricci ed eccessi propri del tiranno giardiniere. Il suo fine però è del tutto peculiare: distruggere il mondo di oggi per realizzare la società perfetta, si chiami questa «comunismo», «Reich millenario», o «Califfato mondiale».

Si potrà essere perplessi per alcune identificazioni dell’autore, e si potrà persino dubitare che questa tassonomia sia completa e del tutto efficace. Di sicuro però c’è che le riflessioni di Newell sono stimolanti, come anche che si sta ricominciando a parlare di tiranni. È forse un segno? È presto per dirlo e certo “una rondine non fa primavera”. Molti però oggi hanno la sensazione di vivere un brutto sogno, agitato da estremisti e dittatori, tanto che sperano di potersi presto risvegliare. Nel frattempo sarà forse meglio cominciare a riflettere.

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Gian Paolo Terravecchia

Cultore della materia in filosofia morale all’Università di Padova, si occupa principalmente di filosofia sociale, filosofia morale, teoria della normatività, fenomenologia e filosofia analitica. È coautore di manuali di filosofia per Loescher editore. Di recente ha pubblicato: “Tesine e percorsi. Metodi e scorciatoie per la scrittura saggistica”, scritto con Enrico Furlan.

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