Tre shiai per la filosofia

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Che strana ironia: quando in Italia qualcosa funziona, magari in maniera non ottimale, forse non perfettamente, ma funziona, c’è sempre qualcuno pronto a smantellarla! Questa volta è il turno dell’insegnamento della filosofia.

 

Da più parti (p.e. qui e qui) in questi giorni si sente parlare di pratiche e progetti di riduzione, se non addirittura di abolizione della filosofia. Si tratta di un’operazione ciclicamente minacciata e altrettanto routinariamente rintuzzata. Bisogna però vigilare perché non è detto che il corso attuale non sia quello buono per i nemici della filosofia.

Va detto che spesso chi prende le parti della filosofia, non le fa un buon servizio. Ecco, l’incontro di judo verbale tra abolizionista (C) e amico della filosofia (E):

C: La filosofia non ha nulla da insegnare.
E: Sì invece: insegna a essere critici!
C: Bene, ammettiamolo. Ma siccome ci sono discipline che hanno quello stesso scopo (lettere, storia, le discipline scientifiche, se insegnate in maniera non nozionistica, etc.), la filosofia non aggiunge nulla. Potenziamo allora quelle discipline e avremo tutto ciò che serve. Se ha qualcosa di proprio, la filosofia insegnata a scuola è mera filastrocca di opinioni. Morte all’ectoplasma storicistico!

Il primo shiai è per l’abolizionista che ha saputo usare l’energia dell’avversario contro di lui, complimenti. 0-1 (uso un criterio di disposizione calcistico e ordino così perché l’abolizionista gioca fuori casa: si basa su assunti filosofici). Peccato però che l’incontro non sia ancora finito!

Quel che non va nella risposta di E è che, come capita alle risposte troppo semplificate, costituisce una rappresentazione che ha molto più e molto meno di quello che vuole difendere. Ha molto di più, perché qualsiasi disciplina accademica è critica: in ciò la filosofia non si distingue. Ha molto meno, perché ci sono numerose specificità della filosofia che dovrebbero aggiungersi alla qualifica fornita. Non ho qui la pretesa di elencarle esaustivamente, ma a titolo di esempio: la riflessività, l’attitudine ad argomentare, la speculazione, la problematizzazione, la concettualizzazione, il meta-pensiero. Tali specificità si trovano anche in altri ambiti del sapere, naturalmente, ma solo nella filosofia si riuniscono e si legano in maniera peculiare ai contenuti delle “grandi questioni” (p.e. cosa posso conoscere? cos’è il linguaggio e quali ne sono le potenzialità? chi è l’uomo? come mi devo comportare? cos’è un ente sociale? e un artefatto? che relazione c’è tra arte e bellezza? che cos’è la verità? cos’è lo Stato? qual è la forma di governo migliore? che cos’è l’essere? perché c’è qualcosa piuttosto che nulla? Dio esiste? com’è fatta la realtà? esistono oggetti vaghi? e, soprattutto, le ombre sono o non sono?). Anche studiando le interpretazioni della critica dell’opera di Dante Alighieri, poniamo, si riflette, si problematizza, si argomenta, ma l’oggetto è la figura storica del letterato, o sono le suo opere. Nello studio della filosofia invece l’oggetto sono le grandi e le piccole questioni del pensiero: in questi ultimi decenni abbiamo scoperto che anche un piccolo quesito come “cos’è un buco?” contiene grande metafisica. Inoltre, le operazioni concettuali sono svolte in maniera specifica e con finalità non sovrapponibili a quelle della critica letteraria o di qualsiasi altra disciplina. Perciò, la filosofia ha davvero qualcosa da insegnare. Qui credo di poter incassare l’1-1, ma devo andare al terzo shiai, perché mi preme vincere l’incontro.

Anche ammesso, infatti, che la filosofia abbia qualcosa di proprio da insegnare, non segue di per sé che sia opportuno insegnarla a scuola, ed è proprio questo il punto in discussione. Ora a me pare che le grandi domande che ho citato siano quanto di più prezioso ogni uomo porti con sé. Rimanere in contatto coi grandi quesiti ci rende intellettualmente migliori, più desti, più curiosi, più sensibili all’umano. La conoscenza, lo studio delle strade – almeno le principali – intraprese da alcuni dei migliori tra gli uomini per dare risposta a tali quesiti è un bagaglio inestimabile che arricchisce e rende più consapevoli e radicati nella propria tradizione, avendo esercitato la propria elasticità mentale, così da saper mettere in discussione quella stessa tradizione, se e dove lo si ritiene opportuno. Lo studio e l’esercizio delle forme del ragionare, la disciplina del pensare conseguiti attraverso la riflessione concettuale e l’acquisizione critica e personale di modelli speculativi ed esistenziali sono momenti di crescita e maturazione fondamentali. Mi pare necessario che tali percorsi vengano compiuti almeno da coloro che nella società avranno verosimilmente compiti di leadership. Anche l’abolizionista non può non desiderarlo per i propri figli, perché allora privarlo ai figli di tutti? Ippon? In ogni caso, ci si ricordi che non si tratta di un gioco: stiamo discutendo del modo di stare al mondo di intere generazioni.

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Gian Paolo Terravecchia

Cultore della materia in filosofia morale all’Università di Padova, si occupa principalmente di filosofia sociale, filosofia morale, teoria della normatività, fenomenologia e filosofia analitica. È coautore di manuali di filosofia per Loescher editore. Di recente ha pubblicato: “Tesine e percorsi. Metodi e scorciatoie per la scrittura saggistica”, scritto con Enrico Furlan.

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