Tecnologie e impersonalità

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Mi colpiva la nota di Marco Guastavigna sul registro elettronico: egli osservava che l’importazione automatica degli assenti dal registro di classe al registro personale mette in condizione di “non essere sempre perfettamente consapevoli delle effettive presenze degli studenti” in classe. Si tratta di un problema che ho dovuto affrontare anch’io: succede infatti che, entrati in classe, non serva fare l’appello, perché tanto il registro elettronico personale importa in automatico le assenze dal registro di classe.

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La soluzione che ho trovato è semplice: basta fare l’appello all’inizio dell’ora, come si faceva prima. Si tratta di un gesto inutile, se la funzione è quella di segnare le assenze, ma utile come pratica di controllo di quanto fatto dai colleghi (errare humanum est) e soprattutto bello sul piano umano: ci si guarda in faccia prima di cominciare la lezione. L’introduzione del registro, automatizzando l’acquisizione di dati, ci dà così modo di riappropriarci del senso umano di alcune “antiche” pratiche, finora ovvie e consolidate nel quotidiano della vita scolastica.

Si tratta di un’operazione che però ha un costo: mentre col cartaceo si entrava in classe, si firmava il registro e si faceva l’appello, ora si entra in classe, si deve accendere il tablet (o il computer), ci si deve collegare al sito con login e password, cade il collegamento, si deve reinserire la password, non succede nulla, i ragazzi ti guardano perplessi, continua a non succedere nulla. Disperazione. Si apre la pagina: bisogna scegliere tra le mille opzioni quella che interessa (la classe in cui ci si trova), aspettare il caricamento, mentre non sembra succedere ancora nulla. Poi, improvvisamente, hai il registro davanti e puoi cominciare. Fai l’appello, finalmente. La procedura dunque è più lenta di prima, prende più tempo ed è più stressante. Il fatto di prendere più tempo vuol dire che la lezione alla fine dura di meno. Il fatto di essere lenta significa che ci sono tempi morti e questo in classe andrebbe evitato. Quanto allo stress, naturalmente è in senso assoluto poca cosa, ma certo è un fattore di disturbo in più di cui si farebbe volentieri a meno. Si potrà pensare che ho esagerato nella descrizione della nuova procedura: e in effetti non succede di norma che cada il collegamento, ma il caso normale entra in media con quelli in cui il sistema va in crash e si deve forzare il riavvio della macchina, perdendo davvero tanto tempo.

Riappropriamoci dunque delle buone pratiche antiche e del loro significato e intanto chiediamo ai responsabili di lavorare perché le reti siano potenziate, perché l’hardware fornito in dotazione sia più potente, perché i software siano più stabili ed easy. Soprattutto, è una buona occasione per dire a noi stessi che l’introduzione del registro elettronico andava praticata con meno fretta isterica messa dal Ministero e con più oculata, capillare e severa preparazione delle infrastrutture, saggiata da opportune fasi di sperimentazione. Spero che questi disagi possano essere un monito alla giusta prudenza: quella che non frena le buone svolte, ma che le attua con tempistiche opportune. La saggezza, dicevano gli antichi, consiste nel saper scegliere i giusti mezzi (e aggiungerei i giusti tempi) per la realizzazione dei corretti fini. Siamo così di corsa, a volte, che ci dimentichiamo del richiamo degli antichi. Per fortuna, siamo ancora in tempo per ricominciare col giusto passo.

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Gian Paolo Terravecchia

Cultore della materia in filosofia morale all’Università di Padova, si occupa principalmente di filosofia sociale, filosofia morale, teoria della normatività, fenomenologia e filosofia analitica. È coautore di manuali di filosofia per Loescher editore. Di recente ha pubblicato: “Tesine e percorsi. Metodi e scorciatoie per la scrittura saggistica”, scritto con Enrico Furlan.

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