Sostengo infatti da molto tempo che l’insegnamento d’impostazione gentiliana, che pure ha numerosi meriti nello sviluppo di una coscienza razionale e di alcune abilità gnoseologiche, costituisca oggi un grosso ostacolo per il raggiungimento di obiettivi rivolti allo sviluppo delle competenze.
Mi spiego meglio: si giustifica l’insegnamento della filosofia non certo solo per un arricchimento del bagaglio culturale scientifico e umanistico, ma perché essa stimoli nello studente un approccio critico, rivolto sia alle conoscenze che apprende, sia alla società/cultura in cui è immerso, e magari farlo adottando punti di vista alternativi, opposti, divergenti. Leggiamo – negli obiettivi dei corsi di filosofia proposti nei licei – il raggiungimento della capacità di elaborare una posizione ragionata e messa a confronto con diverse tesi prese in esame, e il saperla contestualizzare nella realtà contemporanea, obiettivi allo stesso tempo demandati agli interessi e alle capacità personali dello studente, in quanto raramente vengono proposte altrettante “pratiche” filosofiche che possano realmente esercitare queste abilità (che poi, metacognitivamente, si tradurranno in competenze).
Ci sono state negli anni diverse proposte in questa direzione; fra tutte, sicuramente, la possibilità di insegnare la filosofia non più storicamente ma per “problemi”, secondo il modello analitico. Discutere di problemi a partire dai quali cercare soluzioni che sublimino in teorie è, in fondo, il modo in cui la filosofia stessa si è data un fondamento, e con questa impostazione non ci sarebbe nessuno scandalo nel far dialogare Platone con Hegel, o Democrito con Galilei, disinteressandosi, almeno nel momento critico/dialogico, del contesto storico.
Qualche anno fa, con alcuni colleghi, sviluppammo in tre scuole superiori un tentativo del genere, che trovò poi spazio in una modesta ma in questo ambito soddisfacente pubblicazione: la speranza era di vedere realizzata una pratica filosofica che, partendo da temi o problemi quotidiani e vissuti, permettesse, attraverso il dialogo e le esperienze di colui che certi problemi se li pone, di risalire a idee, teorie e modelli – che approdano, solo in seconda battuta, alla conoscenza di quei filosofi da cui, invece di solito si parte. Si sono cimentati nel laboratorio studenti liceali e universitari, professori e ricercatori, e il successo più importante che abbiamo registrato è che nel suo bisogno di interrogarsi, nel sentire la necessità di mettere in discussione le proprie certezze, lo studente liceale non “sa” meno del ricercatore, anzi: si muove infatti su binari non ancora costruiti, che possono portare a un reale accrescimento di tutta la “comunità” filosofica che a quella discussione partecipa.