Le parole di Bottani, circa la funzione educativa, sono molto chiare e, a modo loro, efficaci:
La funzione educativa è quella che nobilita la professione e la colloca al di sopra di ogni sospetto; nel suo nome si contesta la pertinenza di qualsiasi valutazione e si considera unico e incomparabile il mestiere d’insegnante. La funzione educativa per principio è una missione etica e ha a che fare con il sacro. Chi la esercita ritiene di non svolgere una professione venale ma, come i religiosi, di rendere un servizio all’umanità, di adempiere a un dovere, di assolvere una missione e, come un missionario, è invitato a convertire gli infedeli, a fare del proselitismo (I, 3 – L’impotenza educativa).
L’esposizione dell’autore è tutt’altro che neutra, al punto da risultare caricaturale, deformante. Ciò è funzionale al percorso argomentativo generale di Bottani: mostrare come nella nostra società di massa il compito educativo non possa essere gestito, riuscendo a mettere a sistema quella che è l’inclinazione (nobile) di alcuni. Anche se ci sono ancora dei buoni maestri, sostiene l’autore, essi vanno scomparendo, diluiti in un sistema in cui i grandi numeri rendono la presenza dei maestri scarsamente incidente.
Ritengo che Bottani argomenti a partire da una prospettiva sociologica e che le sue considerazioni su quando qui in discussione siano limitate, perché mancano di una robusta filosofia sociale di riferimento. Facciamo dunque un passo indietro e chiediamoci, chiamando in aiuto la filosofia sociale, chi è un insegnante e chi è un educatore. Si sbaglierebbe a confondere le due figure a livello di teoria dei ruoli. Nella società in cui viviamo quello di insegnante è un ruolo istituito: si diventa insegnanti in seguito a una formazione che ha un iter, nel complesso, standardizzato e in seguito a un reclutamento formale (provvisorio o definitivo, comunque regolato da una forma contrattuale) che attribuisce lo status di insegnante. Il ruolo di educatore, nel senso che il termine assume in questa discussione, non è invece un ruolo istituito, esso piuttosto è emergente: emerge, o dovrebbe emergere, dal rapporto che gli adulti hanno coi giovani loro affidati. Tale ruolo non è inquadrato da una forma contrattuale, diversamente dal caso precedente.
Che i due ruoli siano distinti e non meccanicamente sovrapponibili è evidente anche per il fatto che talvolta (secondo Bottani per lo più, o almeno sempre di più) gli insegnanti non svolgono il ruolo di educatori. Lasciamo aperto se ciò avvenga perché non lo riconoscono come obbligo, o perché non lo accettano. Il fatto di svolgere anche un ruolo educativo infatti comporta un investimento emotivo che non tutti sono disposti o – anche solo – sono in grado di compiere, per carenze di risorse e/o capacità. Tanto più che il fatto di svolgerlo comporterebbe l’assunzione di responsabilità e di un impegno destinati a non essere riconosciuti né socialmente, né economicamente. Infine, le competenze educative non sono messe a tema nel percorso formativo degli insegnanti e non stupisce perciò l’impaccio di molti in quest’ambito. Molti compiti educativi, per lo più non esigibili per via di contratto, non possono che porsi in aggiunta ai compiti già impegnativi di docenza, aggravando il carico di impegni e responsabilità assunti in quanto insegnanti, perché una volta accolto il ruolo di educatore ne seguono le relative e ulteriori responsabilità.
L’insegnante è una figura che ha compiti eminentemente sociali. Tale ruolo è formalizzato e definito socialmente e ha una funzione generale di trasmissione del sapere, di comunicazione di contenuti che la società ha fissato formalmente nei programmi ministeriali. L’educatore, invece, è colui che assolve un compito prima di tutto morale, curando la crescita della persona nel bene e verso il bene. Il fatto che tale compito sia in qualche modo fissato e previsto dal “progetto educativo” delle singole istituzioni scolastiche non compromette il discorso qui svolto, al massimo mostra che le istituzioni scolastiche sono consapevoli del proprio duplice compito: sociale e morale. In questo senso, nessun insegnante che voglia svolgere in maniera eticamente almeno accettabile il proprio compito, può esimersi dall’aprire la propria professionalità docente all’esercizio del ruolo di educatore. Nondimeno, solitamente e per lo più, anche a causa di una cura preferenzialmente indirizzata verso le urgenze della trasmissione dei contenuti, vi è una limitata attenzione alle differenze tra i due ruoli e, soprattutto, una scarsa consapevolezza delle peculiarità del ruolo educativo, rispetto al ruolo sociale dell’insegnante.
La difficoltà di cogliere, garantire e promuovere lo specifico dell’educativo nel sistema di istruzione è, a mio parere, uno dei più gravi e urgenti problemi del sistema formativo italiano vigente. Essa contribuisce al disagio psicologico dei docenti che avvertono i propri obblighi di educatore, ma spesso sono privi di efficaci strumenti per ottemperarli. Essa inoltre colpisce gli studenti – soprattutto in età adolescenziale – quando la personalità del giovane, per il proprio naturale sviluppo, si stacca progressivamente dalla famiglia spesso senza trovare sostegni efficaci nel mondo adulto. La scuola, in molti casi, non può che abbandonare a se stessi i giovani, non avendo strumenti adeguati per accompagnarli.
La via per una soluzione di questo problema va intrapresa, a mio parere, seguendo due percorsi. Preliminarmente, bisogna prendere coscienza del rapporto tra insegnamento ed educazione, studiandone le implicazioni; in secondo luogo è necessario favorire politiche che forniscano un effettivo supporto (in fase di formazione e di esercizio della propria professionalità) all’attività educativa degli insegnanti.