“Sui Romani” e/o “con i Romani”

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Due importanti novità bibliografiche su Roma antica

Due nuovi libri sono usciti verso la fine del 2014, davvero molto utili per chi voglia ampliare le proprie conoscenze sulla storia e sulla civiltà di Roma antica: li segnalo volentieri sulla Ricerca, anche perché mi capita spesso di essere interpellato da colleghi desiderosi di aggiornarsi in tal senso.


Entrambe le pubblicazioni sono edite per i tipi dell’editore bolognese Il Mulino, e costituiscono – a mio avviso – una “coppia” davvero complementare. Si tratta infatti di un vero e proprio manuale, e cioè G. Cresci Marrone, F. Rohr Vio, L. Calvelli, Roma antica. Storia e documenti, Il Mulino, Bologna 2014, e di una ragionata raccolta di saggi di taglio antropologico, e cioè M. Bettini, W. E. Short (a cura di), Con i Romani. Un’antropologia della cultura antica, Il Mulino, Bologna 2014.
Dietro questi volumi ci sono – come appare chiaro – due “scuole” nel senso più alto del termine: quella veneziana (di orientamento storico-epigrafico), che ha il suo perno in Giovannella Cresci Marrone, e quella senese (filologico-antropologica), che ruota intorno al magistero di Maurizio Bettini. Due scuole, dunque, e due diversi modi di approccio al mondo romano, che mi ostino però a ritenere entrambi validi, e che necessitano pertanto di una costante opera di reciproci confronto e integrazione.
Certamente chi vi scrive, di formazione storica ed epigrafica, non può che apprezzare il manuale di Cresci, Rohr Vio e Calvelli, perché – come già appare nel titolo – i documenti non sono visti come “appendice” al testo, ma vi compaiono in forma costante, pressoché in ogni pagina, a legittimare quanto scritto nel profilo con impeccabile chiarezza.
Agili box infra textum contengono, infatti, estratti di autori antichi o di iscrizioni latine (ottimamente tradotti), oppure immagini di monete, bassorilievi, monumenti di vario genere (ottimamente commentate). Insomma, si tratta di un manuale universitario che utilizza proficuamente alcune tecniche già da tempo proprie dell’editoria scolastica, e che non disdegna neppure le risorse integrative multimediali. Un manuale scritto da chi sa che è meglio mettere un breve (talora brevissimo) passo di Livio o Tacito ad locum piuttosto che indicarne gli estremi in una sterminata e/o farraginosa bibliografia: proprio da quelle rapide citazioni il lettore sarà forse spinto ad approcciarsi con maggiore ampiezza e respiro alle “grandi” fonti della storia romana.
Chi leggerà il testo della “scuola veneziana” certamente saprà poi molte cose in più di storia e civiltà romana; non credo però che tale lettura (o altra affine) basterà a consentire a noi contemporanei di assumere davvero nei confronti dei Romani, della loro cultura e dei loro mores un approccio pienamente “emico”, come suggerisce Maurizio Bettini nell’altro volume già citato. Con tale termine, infatti, gli antropologi definiscono l’assunzione – per quanto possibile – dello stesso punto di vista, della stessa mentalità di un popolo “altro” che si studia; e ciò vale anche, come nel nostro caso, nei confronti di un popolo vissuto secoli e secoli fa, al fine di limitare una valutazione del mondo antico su base “etica”, imperniata cioè sull’uso di valori e categorie odierne.
Si tratta di un’operazione non facile: d’altronde che la prospettiva di analizzare il mondo romano “dall’interno” debba fare i conti con molti limiti e difficoltà è cosa che gli stessi curatori dell’opera (Bettini e Short) non negano nella loro Introduzione. L’importante, a mio avviso, è non assumere in tal senso atteggiamenti troppo dogmatici, e mi pare vada in questa direzione la scelta di affidare a diversi studiosi alcuni temi definiti semplicemente “punti di partenza” (Bettini usa il greco aphormái); “punti di partenza” per indicare un metodo di lavoro e i suoi risultati in fieri, dunque, senza alcuna presunzione di essere “arrivati” alla verità o di avere raggiunto una completezza enciclopedica e/o tassonomica. E se mi pare giusto citare tutti questi autori (oltre ai curatori: G. Pironti, M. Perfigli, F. Prescendi, L. Cherubini, G. De Sanctis, M. Lentano, R. Raccanelli, L. Beltrami, C. Viglietti, C. Franco, S. Hautala, S. Beta, G. Manetti, G. Pucci), è in questa sede impossibile entrare nel dettaglio dei loro contributi, ai quali – in molti casi – la definizione minimalista di aphormé sta in realtà un po’ stretta, dato l’alto livello scientifico che presentano. Nel ricordare che da ciascuno di essi ho imparato parecchio, mi permetto comunque di suggerire ai miei colleghi docenti di Liceo di non mancare i capitoli Mito (di M. Bettini) e Spazio (di G. De Sanctis), entrambi fondamentali per chi debba lavorare con gli studenti, ad esempio, sulla Archeologia di Tito Livio. Difficile inoltre non restare affascinati dalla ricostruzione delle fitte reti parentali della società romana nel capitolo Parentela (di M. Lentano) o dalla innovativa lettura della funzione dell’iconografia romana nel capitolo Immagine (di G. Pucci). E non posso negare di avere letto con particolare attenzione (e passione) la parte intitolata Dono e amicizia (di R. Raccanelli e L. Beltrami), argomento sul quale – in tempi più o meno recenti – ho pubblicato io stesso numerosi studi di carattere epigrafico, citati e opportunamente usati dalle autrici del saggio. D’altronde uno degli indiscussi Maestri della più recente epigrafia latina, il compianto Giancarlo Susini (del quale ho avuto il privilegio di essere allievo negli anni bolognesi), era convinto della possibilità di definire “un’antropologia del lettore romano”, incarnando un vivace connubio tra il necessario tecnicismo dell’epigrafista e la ricerca di orizzonti di più ampio respiro socio-antopologico; ciò a dimostrazione di quanto l’approccio al mondo antico debba essere per forza plurale, pena il fallimento del nostro scopo, che non può non essere quello di riportare alla luce un mondo lontano per affidarne la memoria alle generazioni future.
A tal fine si può scrivere “sui Romani”, come fa Giovannella Cresci con i suoi coautori, o provare a camminare e dialogare “con i Romani”, come fanno gli studiosi coordinati da  Maurizio Bettini e William W. Short. Bisogna però farlo ricordando che se è vero che in fondo nos sumus Romani, qui fuimus ante Romani (come dice Bettini, parafrasando Ennio, alle pp. 38 ss.) gli indubbi elementi di continuità con un passato così importante debbono sempre fare i conti con quella enorme distanza cronologica che faceva dire al grande Giacomo Leopardi ne La sera del dì di festa:

Or dov’è il suono
di que’ popoli antichi? Or dov’è il grido
de’ nostri avi famosi, e il grande impero
di quella Roma, e l’armi, e il fragorio
che n’andò per la terra e l’oceano?

Sì, il passato è fatto, grazie a Dio, anche di un inviolabile silenzio, che non necessariamente dobbiamo riempire sempre di parole nostre. Anche perché è un silenzio che – come cantavano Paul Simon e Art Garfunkel nel loro The Sound of Silence – ha un suo inconfondibile suono.
Non so se saperlo ascoltare sia un atteggiamento “etico” o “emico”: so semplicemente che è giusto.

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