Storia delle sessualità e identità LGBT+

Tempo di lettura stimato: 6 minuti
Il teorico queer cubano-americano José Esteban Muñoz sosteneva che «l’identità queer ha una particolare difficoltà a essere dimostrata… Quando lo storico dell’esperienza queer cerca di fornire documentazione di un passato queer, si trova spesso davanti a una barriera, tesa a rappresentare un presente nella norma». Ma che cosa vuol dire queer? Che cos’è questa barriera e come possiamo superarla per dare una lettura della storia meno lacunosa offrendo una rappresentazione della realtà più completa?

 

Per rispondere a queste domande abbiamo intervistato Maya De Leo, docente a contratto di Storia dell’omosessualità presso il Corso di laurea in DAMS dell’Università degli studi di Torino e studiosa di storia LGBT+[1] e teoria queer. È inoltre autrice del saggio Queer – Storia culturale della comunità LGBT+ (Einaudi, Torino 2021): primo esempio in Italia di storia completa delle sessualità e identità LGBT+ in occidente dal Settecento a oggi.

Il libro è divulgativo ma rigoroso nell’approccio storico, e ha una ricca bibliografia per approfondire i vari temi trattati. Nelle sue pagine infatti si intreccia una grande varietà di fonti che vanno dalla letteratura alle memorie, dagli articoli di cronaca alla trattatistica. De Leo offre una lettura inedita della storia contemporanea: dal ruolo della sessualità nella formazione degli stati-nazione alle due guerre mondiali, dal giro di vite degli anni Cinquanta ai moti di Stonewall (nel 1969 a New York), dalla crisi dell’HIV fino alle sfide del presente.

Partiamo allora dal “termine ombrello” queer che nella premessa viene definito come un «significante aperto che raccoglie i diversi scarti rispetto alle norme di genere e sessualità senza proporre una cornice identitaria univoca. Il queer del titolo, in questo senso, è rivolto collettivamente a tutte le soggettività protagoniste di questo libro, situate in diversi contesti storici, che sfuggono in qualche modo a queste norme, ma anche, in molti casi, alle nostre attuali categorizzazioni.»

D: Proviamo a capire meglio la terminologia di base: quando e dove si è cominciato a distinguere tra sesso biologico, identità di genere e orientamento sessuale?

R: Ogni contesto storico e culturale possiede diverse concettualizzazioni e categorizzazioni del sesso, del genere, della sessualità.

Sinteticamente possiamo dire che questa distinzione è caratteristica della cultura occidentale di età contemporanea. Nel mio libro descrivo proprio come questa distinzione sia nata e come si sia consolidata in occidente negli ultimi tre secoli attraverso un percorso che abbraccia tanti ambiti del sapere, all’incrocio tra medicina, psichiatria, politica, filosofia, e che è impossibile riassumere qui. Diciamo soltanto che osservare queste categorie in una prospettiva storica mostra come tutto sia in trasformazione, anche gli aspetti della nostra vita che tendiamo a immaginare “naturali” e quindi immutabili, come appunto il sesso, il genere, la sessualità, e che invece all’analisi storiografica rivelano la loro natura di costruzioni culturali, prodotti di un’epoca storica.

D: Qual è stato invece il suo percorso, accademico e personale, che l’ha portata a scrivere questo libro?

R: Ho incontrato la storia delle donne, della sessualità e della famiglia, di genere, durante i miei studi di Storia all’Università di Pisa alla fine degli anni Novanta, ed è stato un incontro fondamentale per la mia formazione di storica ma anche per la mia esperienza di persona queer.

Per la mia ricerca di dottorato mi sono concentrata sulle rappresentazioni dell’omosessualità nella cultura italiana ed europea tra tardo Ottocento e primo Novecento: erano i primi anni Duemila, e si trattava di studi che erano all’inizio del loro percorso di legittimazione accademica nel contesto italiano.

Da allora ho continuato a fare ricerca sulla storia LGBT+: ho pubblicato su riviste scientifiche, volumi collettanei, ho partecipato a convegni e seminari, sempre però da una posizione esterna all’università.

Ho avuto il mio primo incarico didattico all’Università di Genova (il corso di Storia di genere) e poi ho vinto il bando per contratto di insegnamento del corso di Storia dell’omosessualità all’Università di Torino. Proprio dal materiale delle lezioni è nato il libro, che racchiude in un certo senso il mio percorso didattico e di ricerca.

D: Perché è importante che ci siano corsi universitari su temi come Studi di genere o Storia dell’omosessualità? Penso non solo al riconoscimento dell’accademia, ma all’importanza di restituire legittimità e dignità ad alcune istanze sociali.

R: Gli studi di storia di genere e LGBT+ hanno ormai una storia quarantennale alle spalle e si sono faticosamente conquistati degli spazi – ancora troppo esigui – all’università. Si tratta di studi necessari: innanzitutto una storia senza un’attenzione alle questioni di genere è una storia parziale. Virginia Woolf nel suo Una stanza tutta per sé descrive proprio la storia senza donne come una storia strana, bizzarra, sbilenca (tra l’altro, per descrivere questa stranezza, lei si riferisce a questa storia parziale definendola, paradossalmente, proprio come queer – secondo il significato originario di questa parola, che all’epoca era proprio quello di “strano, eccentrico, fuori centro”).

Ma la storia di genere e LGBT+ non si limita a restituire alla storiografia una enorme parte di realtà che le è stata sottratta, ma fornisce anche strumenti fondamentali per la decodificazione della realtà, del passato come del presente: offre analisi delle oppressioni e delle asimmetrie che si costruiscono e si mantengono attraverso il genere e anche strumenti per decostruirle.

Si tratta insomma di studi fondamentali per la “legittima difesa” dei soggetti più colpiti dalle macro e micro aggressioni della violenza di genere e dell’omo-lesbo-bi-transfobia ma anche di studi essenziali per l’arricchimento di tutt*[2].

D: In molte pagine viene sottolineata l’importanza del linguaggio non solo come strumento di comunicazione, ma anche di costruzione identitaria (un esempio è la riappropriazione della parola queer, che in passato aveva connotazioni negative) e di rivendicazione di spazi pubblici: a che punto siamo in Italia?

R: Il linguaggio è importantissimo: seguire le vicende linguistiche della comunità LGBT+ consente di ricostruirne la storia, dal momento che si tratta – potremmo dire sintetizzando – della lunga storia di emancipazione di soggetti in lotta per ottenere di poter parlare per sé stessi.

In Italia il dibattito pubblico è caratterizzato da un linguaggio spesso impreciso e scorretto, che si traduce in una violenza reiterata nei confronti dei soggetti coinvolti.

Questo a fronte invece di una grande ricchezza di riflessioni dell’attivismo LGBT+ e di una interessantissima vivacità linguistica della comunità LGBT+: basti pensare alle soluzioni proposte e adottate per il linguaggio inclusivo e non binario, per esempio.

D: Concludiamo con uno sguardo sul mondo della scuola, dove forse c’è chi teme che si voglia riscrivere la storia (ma la storiografia non è mai neutra, dal momento che riflette i valori di chi ricostruisce gli eventi storici): come si possono inserire armonicamente nella pratica didattica spunti o riflessioni sui temi LGBT+?

R: Ovviamente la storiografia non è mai neutra e la storia viene riscritta continuamente: inserire temi LGBT+ nei programmi scolastici non è diverso da inserire qualsiasi altro nuovo contenuto. Molte delle persone che hanno seguito il mio corso (student* della laurea triennale) lo hanno commentato dicendosi dispiaciut* di non aver potuto affrontare questi temi già al liceo, o ancora prima.

Nei decenni passati i manuali di storia non hanno brillato per la loro capacità di coinvolgere i soggetti a cui erano destinati, ma negli ultimi anni si stanno facendo degli sforzi in questa direzione.


Note

[1] LGBT+ è un acronimo che sta per Lesbiche Gay Bisessuali Transgender e con il + include anche tutte le altre soggettività (Queer, Intersex, Asessuali ecc.)

[2] Nelle risposte, l’asterisco (*) è usato in fine di parola per neutralizzare il genere grammaticale e riferirsi così a tutti i generi.

Condividi:

Sara Urbani

Laureata in scienze naturali con un master in comunicazione della scienza, ha lavorato per la casa editrice Zanichelli. Scrive anche per Odòs – libreria editrice e per i magazine online La Falla e Meridiano 13.

Contatti

Loescher Editore
Via Vittorio Amedeo II, 18 – 10121 Torino

laricerca@loescher.it
info.laricerca@loescher.it