Statue antiche “in serie” alla Fondazione Prada

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Sono in molti, a cominciare da Walter Benjamin, a sostenere che è stata la modernità (o la post-modernità) a dare all’arte una dimensione seriale e ripetitiva. E certamente la Pop Art americana ha posto all’attenzione del pubblico la possibilità di reiterare soggetti – attraverso varie tecniche pittoriche o incisorie – che già la quotidianità aveva reso comuni (come la zuppa Campbell di Andy Warhol) o comunque consuete (come i volti dei vip, Marilyn in primis).

Eppure già nell’antichità la ripetizione scultorea di medesimi temi (con varianti più o meno evidenti) o addirittura la copia di famosi originali (quelli di Fidia, Mirone, Policleto…) era un fenomeno frequente. E ciò soprattutto nel mondo romano, dato che le richieste dei ricchi collezionisti obbligarono per secoli a “immettere sul mercato” multipli, da intendersi come omaggi all’arte greca ma anche (e soprattutto) come status symbol per chi li poteva esibire.

Il fenomeno è ben documentato negli splendidi spazi della Fondazione Prada di Milano attraverso la mostra Serial Classic, curata da Salvatore Settis e Anna Anguissola, che riunisce più di 60 opere e si apre con un approfondimento sugli originali (bronzei, per lo più) perduti e loro copie multiple (marmoree, per lo più), rappresentate da alcune serie particolarmente note come quelle del Discobolo (di Mirone, 460-450 a.C.), della Venere accovacciata (forse di Doidalsas, metà del III sec. a.C.) o del Satiro a riposo (di Prassitele, 340-330 a.C.).
Certamente la grande luminosità degli spazi espositivi esalta gli esiti della visione contemporanea delle seriali riproduzioni di questi capolavori, e ci dà un’impressione quasi di allucinazione (…vedo doppio? triplo? quadruplo?). E una qualche inquietudine ci danno anche le copie (queste moderne) dell’Apollo Kassel e del Bronzo di Riace cosiddetto A, vivacemente colorate. Dove è finito – potrebbe chiedersi lo spettatore – il candore del marmo che esaltò gli scultori nel nostro Rinascimento e che estasiò artisti e viaggiatori di fine Settecento? Beh… la risposta è, per il nostro gusto, forse un po’ deludente: tale candore è l’esito (benefico) del lavorio del tempo, perché bronzi e marmi antichi erano in origine pesantemente (“pacchianamente”) colorati! Alla faccia di Michelangelo e Canova…

  • Il Bronzo di Riace A Il Bronzo di Riace A
  • VenereVenere
  • I Satiri Versanti I Satiri versanti
  • Penelope Penelope
  • DiscoboliDiscoboli
  • Corridori I Corridori

Certamente chi visiterà l’esposizione – aperta fino al 25 agosto – vedrà molti altri esemplari di quanto già proposto, come i magnifici Corridori bronzei da Ercolano (bell’esempio nella serialità di soggetti “di lusso”, che ornavano la Villa dei Papiri) o i quattro Satiri versanti che arredavano la Villa Adriana di Tivoli, eccezionalmente riuniti tutti insieme. E potrà anche soddisfare qualche curiosità di carattere tecnico, poiché al piano superiore vi è un’altra sezione della mostra che fa chiarezza sulle tecnologie e le modalità impiegate nella realizzazione delle copie. Il tutto in presenza di buoni esempi (Atleta di Amelung, Aristogitone) e di altre due serie di statue: si tratta della Penelope seduta su una sgabello, della quale vediamo eccellenti copie da un originale del V sec. a.C., e delle Cariatidi dell’Eretteo di Atene (qui proposte in calco), la cui fortuna nei secoli è documentata da un interessante filmato.

Concludo con un piccolo accenno più specialistico questo articolo, nel quale ho appositamente voluto mantenere un tono un po’ (troppo?) leggero, come si conviene a una mostra che vuole – in fondo – desacralizzare l’unicità dei capolavori dell’arte antica. Ed è l’accenno all’ipotesi che nel catalogo (Serial/Portable Classic, edito da Fondazione Prada) si fa relativamente a una possibile nuova attribuzione e interpretazione dei Bronzi di Riace, supportate da un passo del geografo Pausania: essi rappresenterebbero gli eroi Eretteo ed Eumolpo e sarebbero stati realizzati nientemeno che dal grande Mirone (nella prima fase del V sec. a.C.) per essere collocati sull’Acropoli di Atene. Non so, francamente, se questa idea sia più o meno plausibile delle molte altre finora proposte; di sicuro ha la suggestione di mettere in relazione tra loro le due statue, che non sarebbero così semplici “compagne di naufragio”, ma capolavori realizzati insieme. Certamente il mare le ha nascoste e preservate per secoli da razzie, fusioni, distruzioni e anche da un’eccessiva e seriale riproduzione. Ed è per questo che originali di tale qualità spiccano – nel mare magnum (stavolta metaforico) della scultura antica – per una certa aristocratica ieraticità. Da buoni “snob” i due bronzi non vogliono (e non possono) muoversi, e per vederli bisogna andare al Museo Archeologico di Reggio Calabria; raggiungerlo magari non è il massimo della comodità ma, ve lo garantisco, ne vale davvero la pena.

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Mauro Reali

Docente di Liceo, Dottore di Ricerca in Storia Antica, è autore di testi Loescher di Letteratura Latina e di Storia. Le sue ricerche scientifiche, realizzate presso l’Università degli Studi di Milano, riguardano l’Epigrafia latina e la Storia romana. È giornalista pubblicista e Direttore responsabile de «La ricerca».

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