Che le tracce della Prima Prova dell’Esame di Stato ogni anno propongano sostenitori e detrattori ci sta. Ma quest’anno sembra proprio che il Ministero – più che pensare alle prove in sé – abbia pensato alle reazioni che queste potevano avere insegnati, studenti e pubblica opinione: infatti non ho mai visto – lo confesso – nulla di più lontano dalla quotidianità della prassi didattica. E personalmente non credo che la Maturità sia la sede per proporre qualcosa – avrebbe detto il grande Enzo Jannacci – per vedere l’effetto che fa…
Non intendo però analizzare una ad una le varie tipologie, bensì riflettere ad alta voce sulla tipologia A, la cosiddetta Analisi del testo.
Claudio Magris, lo sanno tutti (Ministro compreso), a scuola non si legge. E la scelta di questo autore – grande autore, non discuto – è stata di certo penalizzante per quegli indirizzi liceali dove il programma letterario è stato fitto e approfondito, in larga parte finalizzato al tema d’Esame. “Ma che cavolo abbiamo studiato a fare, prof., Pirandello, Svevo, Pascoli, Calvino etc.?”, mi chiedevano pertanto i miei studenti alla fine della prova…Tant’è. Vogliamo dare un testo letterario non troppo letterario? Vogliamo saggiare le competenze e non le conoscenze? Vogliamo salvaguardare i ragazzi di istituti tecnici e professionali con un passo poco “artistico”? D’accordo, ci può anche stare: non capisco, ma mi adeguo, avrebbe detto qualche anno fa il comico Maurizio Ferrini. Eppure c’è dell’altro.
Vorrei infatti entrare più nel vivo della formulazione della prova, e qui parlo da addetto ai lavori, da insegnante che – in venticinque anni di scuola e in una qualche decina di libri scritti (con relativi esercizi) – si è sempre posto il problema della formulazione e della chiarezza delle consegne proposte. Così, tra l’altro, mi hanno insegnato nelle decine di corsi d’aggiornamento frequentati.
Passi il punto 1, Dopo un’attenta lettura, riassumi il contenuto del testo, che è tale – più o meno – d’ufficio ogni anno. I problemi, a mio avviso, iniziano al punto 2, e in primis con le domande 2.1, 2.2, 2.3: infatti tutte e tre chiedono al maturando Soffermati… su tre diversi aspetti del testo. Ma che significa, Soffermati? “Guarda a lungo il foglio”? “Prenditi una pausa mentre pensi a queste cose”? Certo, l’idea è quella di “trova qualcosa da dire sul tale o tal altro aspetto”… ma non si poteva – alla luce – della consueta prassi didattica, declinare la richiesta in forme più precise? Ad esempio Analizza gli aspetti formali (lingua, lessico, ecc.) del testo, oppure Definisci l’idea di frontiera espressa nel testo, ovvero Delinea l’idea di viaggio espressa nel testo. Che sia il Ministero a dare al maturando l’idea di povertà lessicale è un po’ il colmo…
Nulla da dire sul punto 2.4; molto sul 2.5 e sul 3. Questi ultimi due infatti erano fortemente sovrapponibili… Il 2.5. Esponi le tue osservazioni in un commento personale di sufficiente ampiezza, è poi un capolavoro di burocratismo: che significa di sufficiente ampiezza? Mi ricorda tanto il congruo numero di valutazioni contenuto nel “Regio Decreto” che regolamenta i nostri scrutini… E poi che differenza c’è tra Esponi le tue osservazioni… (2.5) e Proponi una interpretazione complessiva del testo… (3)? E tra il commento personale (2.5) e le esperienze personali del (3)? Quasi provocatoria, poi, la richiesta di fare riferimento ad altri testi di Magris (su, dai, non scherziamo, vorrei un’indagine a tappeto sui programmi svolti in tutta Italia: se trovo 20 docenti che hanno Magris in programma devolvo loro il mio lauto compenso di commissario…) con la general-generica aggiunta di e/o di altri autori del Novecento.
Insomma, ieri ho corretto i temi e ben 12 miei allievi hanno svolto questa prova. Se la sono cavata, in qualche caso anche molto bene, complice una buona lettura di Svevo e Joyce, le lezioni sull’ulissismo nel Novecento, e – fortuna loro… – un viaggio di istruzione proprio quest’anno a Trieste e in Istria, a fare prova diretta di confini vecchi e nuovi. Eppure la lettura collegiale dei temi (che mi ha fatto restare mezzo afono e che – complice il caldo umido della scuola e le pale traditrici dei ventilatori – mi ha provocato la febbre a 38) è stata una “messa cantata”, un’acrobatica ripetizione – nei vari punti – di concetti simili detti con parole diverse; con i commissari a chiedersi se i candidati si fossero soffermàti abbastanza sui temi richiesti, o sulla sufficiente ampiezza dei loro commenti. E con tutti gli allievi a citare come testo fondamentale quel Verde acqua di Marisa Madieri che nessuno in realtà conosceva, in assenza di una nota ministeriale che aiutasse a contestualizzarlo meglio: tra l’altro (siamo tutti ignoranti? Forse…) nessuno dei docenti presenti in Commissione l’aveva mai letto.
Insomma, a mio avviso quello di Magris è un bel testo, proposto però nella sede sbagliata (ma fa proprio schifo testare i ragazzi su autori “storicizzati” come Pascoli, Montale o Pavese? Che provincialismo questa ricerca smodata della contemporaneità… Tra un po’ chiederemo pure agli allievi di rispondere in inglese?), con domande tra il vago, il generico, il ripetitivo e il burocratico. Mi viene in mente quel Ricordo del Guicciardini dove si dice che i preti sono nello stesso tempo arroganti e sfaticati, vizi sì contrari che non possono stare insieme se non in uno subietto molto strano. Ecco la tipologia A di quest’anno aveva vizi così diversi da diventare un subietto molto strano, fatto apposta per scontentare tutti e non valorizzare al meglio nessuno. Sono molto deluso, lo ammetto, e comincio a pensare che la Scuola – istituzione alla quale ho dedicato e dedico la mia vita – stia virando in una direzione troppo lontana dal sentire mio e di molti colleghi della mia generazione; peccato che – Fornero iuvante – dovranno sopportarci ancora per una quindicina d’anni, durante i quali io non ho nessuna intenzione di stare zitto.