Velocità
Sono fermo allo stop. Fari lampeggianti, arriva a tutta birra da destra. Suona, ansioso, intimandomi l’alt. Guardo a sinistra, il semaforo lontano tiene ferme due macchine. L’auto mi passa davanti, sfrecciando. Eccola, frena energicamente. Ne avverto l’impazienza mentre si avvicina al semaforo. Svolto e lo seguo. Sono ancora lontano, ma lascio l’acceleratore, mi muovo piano piano. Avanzo indolente, ostentando tutta la lentezza di cui sono capace. Più mi avvicino, più rallento. Ma, lo so, lui non capirà.
Incontri
Era tornato settembre e Yoshimitsu temeva l’inizio della scuola. Aspettava che comparissero da un momento all’altro i due ragazzini, come sempre carichi di libri. Erano soliti occupare tutto il marciapiede, specie nel tratto più stretto, ove era già difficile passare in due. Spesso lo urtavano con le cartelle, quasi per sfida. L’anno precedente era stata una pena. Lui però provava sentimenti contrastanti. Era infastidito dalla loro mancanza di rispetto, ma lo intenerivano quell’allegra e ribelle baldanza e la loro evidente amicizia. Eccoli. Oggi però erano in tre e uno stringeva in mano una palla da tennis.
Comunicazione
Ping! Messaggi sul cellulare. Sto parlando con la zia. Suona la porta, la zia si allontana. Il cellulare mi scivola in mano, scorro le notifiche: battaglia nel gruppo WhatsApp di judo, come al solito. Non era questa la ragione della notifica: ho silenziato il gruppo da mesi per overposting. Guardo le mail: selva di pallini blu. Newsletter, spam, spam, notifica Twitter, spam, Academia.edu, eBay “Regalati il meglio…”, spam, nome illeggibile, “Anche Lucrezia ha commentato la foto…”, spam. Insomma, niente. Eppure. Guardo meglio: il nome illeggibile, è tedesco. Sono quelli di Springer che mi prorogano di due mesi la consegna del saggio. Torna la zia, le sorrido disteso. «Ti fermi a pranzo?». «Speravo lo chiedessi!» e ripongo il cellulare.
L’incidente
I tre ragazzini si muovevano spavaldi lanciandosi occhiate complici. Avvicinandosi al cinese, quello con la palla cominciò a lanciarla a terra con forza, riafferrandola al rimbalzo. All’ennesimo lancio, quando ormai erano vicinissimi, la palla prese una strana direzione, volò in aria e colpì in testa il cinese. Questi, afferratala al volo con un guizzo, se ne andò in silenzio. I due ragazzi si guardarono, sconcertati e rivoltisi al terzo, all’unisono: «Ma sei scemo?». «Non l’ho fatto apposta!», rispose quello, con aria colpevole. Ma il cinese era orami lontano e la palla era persa.
Attesa
Entrai nella stanza, dove tutte le sedie erano occupate. Un uomo mi diede un numero, il sedici. «Quanto ci vorrà?», chiesi. «Almeno un’oretta». Decisi perciò di uscire. Comprai i regali di Natale per i vicini, feci la spesa, riportai tutto a casa e poi ritornai dal dottore. Arrivato, la stessa scena: sala piena, nessuna sedia disponibile. Sul gancetto a parete era appeso il numero nove. Guardai sconfortato l’uomo che dava i biglietti. E questi, in risposta: «Nicola, torni pure più tardi, ma sappia che alle tredici chiudo la porta». Questa volta andai subito a casa, pranzai, e feci ritorno prima dell’una, mi sedetti e mi misi a leggere. Due anziane chiacchieravano al mio fianco. All’inizio non ci feci caso, poi una frase mi colpì: «Quando si tratta della salute, la gente è disposta ad aspettare», e io ero lì per mio padre.
Ricordi
Lei gli porse la formella. «Cos’è?», gli chiese. «È una storia», fece lui, misterioso. Al suo sguardo interrogativo, si sentì in dovere di aggiungere: «Era di papà». Elena rimase in attesa. «Da ragazzino – continuò Nicola – ne combinava di tutti i colori, sempre in giro con quel suo amico… Marco, mi pare. Una volta fecero arrabbiare un cinese, un artista. Una mattina di dicembre però, prima delle vacanze, questi fermò mio padre e Marco e regalò loro due copie identiche di questa formella che aveva fatto con le proprie mani». «In effetti, questo ragazzino ricorda proprio lo zio! Guarda come sono teneri, si tengono per mano. Sono così allegri!». «Quel dono impressionò molto il babbo, che tenne sempre la formella nello studio, come un ricordo caro». «E questo puntino chiaro, in aria, cos’è?», chiese lei assorta. «Chissà, forse è un difetto della terracotta».
Notte
Silenzio, pace, la finestra è scura, nessun suono da fuori, nulla. Io e lo schermo accesso, recettivo, ma bianco. Senza segno, né abbozzo. Dovrei avere un’idea, ma sono perso. «Scrivere è come scolpire: bisogna saper togliere». Già. Ma qui non c’è nulla, nulla da togliere, nulla da modellare, soprattutto nulla da aggiungere. La notte è il vuoto dello spirito che non s’illumina. Meglio spegnere la luce, andare a dormire e fare del silenzio del vuoto un silenzio d’attesa.