Per la scuola è una novità: i ragazzi non solo scioperano, sull’onda delle proteste adulte (si fa per dire) che in questi giorni inondano strade, piazze e schermi, ma addirittura hanno convocato una manifestazione. Il volantino che descrive l’iniziativa tiene a precisare, sempre a sventare accuse di antidemocraticità, che “Scioperare o manifestare è un diritto e un dovere, non un obbligo”.
Di fianco alla porta, come in quasi tutte le aule, una fotografia di Nelson Mandela. Dietro di me, sulla presa elettrica l’estemporanea scritta a pennarello indelebile “Viva P.”. Di fronte alla cattedra quattro allievi, di cui due “portatori”, come mi ha succintamente ricordato una collega all’ingresso della prima ora, con una formulazione ellittica, che la dice lunga sulla preparazione della scuola reale, quella della pancia del Paese, a rispondere ai bisogni educativi, speciali o ordinari che siano. O, forse, il contenuto implicito della comunicazione, mormorata – va riconosciuto – a mezza voce, è nobilmente un altro: “Se non fossero in quella particolare condizione personale, anche questi due studenti sarebbero rimasti fuori. Ma si sa, tra le tante conseguenze della condizione medesima e della mentalità ad essa collegata vi è anche una compressione di fatto delle pratiche di cittadinanza attiva”.
Per la scuola è una novità: i ragazzi non solo scioperano, sull’onda delle proteste adulte (si fa per dire) che in questi giorni inondano le strade, le piazze e soprattutto gli schermi, ma addirittura hanno convocato una manifestazione. Niente meno che un corteo “PACIFICO”, come tengono a precisare, che raggiungerà il municipio a partire dal complesso edilizio che raduna tutte le scuole secondarie di secondo grado di zona. Il volantino che descrive l’iniziativa tiene a precisare, sempre a sventare accuse di antidemocraticità, che “Scioperare o manifestare è un diritto e un dovere, non un obbligo”.
L’impervio accostamento concettuale non impedisce di notare che il documento non porta nessuna firma. Una rivendicazione identitaria a dire la verità c’è: “noi siamo i GIOVANI, il FUTURO DELL’ITALIA”, ma è molto generica e appare mutuata più o meno totalmente dai più gettonati tra i cartelli delle contemporanee manifestazioni di autotrasportatori e ambulanti, i quali accusano il governo e la classe politica di rubare loro il futuro. Alla genericità delle parole d’ordine adulte risponde la simmetrica vaghezza delle affermazioni giovanili, tra cui spicca il lamentare che “la scuola non ha più come obiettivo la formazione culturale e caratteriale (sic!) di noi STUDENTI!”. Quale obiettivo abbia invece la scuola attuale, ammesso che quello citato sia dotato di senso, non è dato sapere.
La classe in cui ci sono soltanto 4 presenti è la prima. In quinta ci sono invece, assolutamente tutti. Del resto è tradizione, da che sciopero è sciopero (ma non indagate su cosa significhi questa parola per un adolescente, potreste uscire gravemente scioccati dall’indagine), da che autogestione è autogestione, da che occupazione (parola che dà i brividi, perché significa la notte nell’edificio, con la conseguente iniziatica promiscuità e un apparato di trasgressioni così standardizzato da costituire ormai il canovaccio su cui viene costruita la trama delle fiction che ciclicamente si occupano di scuola) è occupazione, quelli dell’ultimo anno sono esonerati: “Hanno l’Esame” e non possono mica perdere ore di lezione, loro.
Gli altri sì. Anzi: l’occasione è ghiotta e andrebbe intelligentemente sfruttata, come urlava rammaricato al ritorno del corteo un ragazzo ai compagni rimasti a scuola nonostante lo “sciopero”, che lo salutavano dalla finestra: “Per una volta che c’era un motivo valido per non venire a scuola, voi siete lì dentro!”.