Searching

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È uscito in questi giorni “Searching”, presentato in anteprima al Sundance Film Festival 2018, dove si è aggiudicato il Premio del Pubblico.

Dal punto di vista della trama, si tratta di un thriller piuttosto convenzionale, neppure troppo originale: un padre cerca la figlia adolescente improvvisamente scomparsa; nessun motivo apparente e nessun episodio particolare fanno supporre una fuga improvvisa. Per cercare qualche indizio, al padre non resta che immergersi nel vissuto virtuale della figlia e rovistare nei siti internet e nei social, alla ricerca di tracce, persone, fatti e luoghi che possano aiutarlo a ritrovarla.

La particolarità del film risiede nel modo in cui è stato girato dal regista Aneesh Chaganty, non a caso ex dipendente di Google. Tutte le immagini che vediamo sono di “secondo grado”, riprese dal monitor di un computer o dallo schermo di uno smartphone. Più che nel campo del meta-cinema, siamo in quello di un meta-media postmoderno. Non vediamo mai i personaggi ripresi direttamente dalla macchina da presa, ma sempre attraverso uno schermo. L’effetto è quello di una sorta di accumulazione di frammenti mediatici, di sedimentazione di tracce multimediali, che si cerca di far dialogare nella ricerca di un senso che possa far luce sulla misteriosa scomparsa. Anche i dialoghi sono mediati: attraverso chat, messaggi, videochiamate, archivi di foto o filmati postati su vari social.

La denuncia della presenza di un mezzo tecnico per rompere l’illusione scenica delle “verosimiglianza” del cinema classico era stata utilizzata dalle avanguardie e dalla nouvelle vague, ma in questo caso siamo all’interno di una modalità espressiva che spezza, raffredda, interrompe in modo quasi frenetico la continuità spazio-temporale. La narrazione avviene unicamente dentro i margini di uno schermo digitale e attraverso le sue applicazioni multimediali; la ricostruzione del mondo filmico, ovvero la messa in forma di una nuova realtà, prende vita solo attraverso le informazioni digitali. Il flusso del tempo perde il suo ritmo naturale, per ridursi a frammenti scomposti di vita, a frame caotici gettati nel caleidoscopio della rete. Lo spazio è virtuale, bidimensionale, piatto, spesso deformato.

Tuttavia, se in passato i cineasti e i movimenti che mettevano in discussione e cambiavano l’estetica e il modo di fare cinema erano solitamente sostenuti da una filosofia dell’immagine e spesso anche da una visione del mondo, qui ci troviamo di fronte a un mero esercizio di stile, in cui il mezzo digitale diviene sostanza del discorso filmico, esaurendosi però in superficiale meccanismo narrativo.

Il film racconta un mondo di visioni e pensieri solipsistici, di onanismo comunicativo, di lontananza e solitudine. I nuovi media avrebbero così cambiato le relazioni umane da distruggerne proprio la connotazione “umana”, per approdare a un universo semplicemente iconico, mediato, immateriale: ecco allora che la sparizione “fisica” è solo l’ultimo atto simbolico di una già compiuta dissoluzione della persona. L’integrità dell’essere umano è ormai irreversibilmente dispersa nei media, frammentata e liquefatta.

Questo sembra l’aspetto più interessante del film, e cioè la riflessione su come le nuove tecnologie abbiano modificato non solo i rapporti tra le persone, ma addirittura la percezione di un sé immanente. Lo sguardo negli occhi, la voce, il respiro, il calore di un corpo diventano un video archiviato, un file sempre disponibile ma inevitabilmente incapace di riempire quell’assenza, quel vuoto, che sembra aver inghiottito l’uomo.

Il film resta tuttavia un’opera fredda, poco coinvolgente, spesso prevedibile nei suoi sviluppi e nei suoi percorsi mediatici. Un piccolo divertissement tecnologico che non emoziona e svanisce velocemente come dopo un refresh.

Quanta nostalgia per la misteriosa e irrisolta ambiguità di un film come L’avventura di Michelangelo Antonioni. Anche in quel caso una donna spariva, ma la storia apriva le porte a un affascinante universo di oscuri e profondi interrogativi esistenziali, che ancora rimangono, irrisolti ed eterni.

Searching
Regia: Aneesh Chaganty
Con: John Cho, Debra Messing, Joseph Lee, Michelle La, Sara Sohn, Roy Abramsohn, Brad Abrell, Thomas Barbusca
Durata: 101 minuti
Produzione: USA, 2018

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Alessio Turazza

Consulente nel settore cinema e home entertainment, collabora con diverse aziende del settore. Ha lavorato come marketing manager editoriale per Arnoldo Mondadori Editore, Medusa Film e Warner Bros.

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