Rivoluzioni senza respiro e senza metodo #1

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Vorrei qui brevemente presentare il testo su blog scritto da Mauro Piras e intitolato provocatoriamente: Abolire la storia della filosofia. Esso raccoglie un ampio estratto dell’intervento presentato a Trento nel novembre 2012 e raccolto negli atti del Convegno Cosa insegnare a scuola. Esso è seguito da un dibattito ricco di interventi, con osservazioni di spessore e vivaci al punto da perdere, a tratti, di compostezza. Mi pare urgente segnalare qui il dibattito e offrire una sintesi del testo di Piras. Mi riservo di discuterlo prossimamente. Il titolo del presente intervento, ad ogni modo, anticipa qualcosa del mio giudizio.

 

L’intento di Piras è di proporre l’abbandono della pratica di insegnare storia della filosofia a scuola. Egli organizza il testo in due parti. Nella prima presenta i problemi che, secondo lui, nascono con l’insegnamento della storia della filosofia. Nella seconda parte, propone che si insegni la filosofia per sottodiscipine: “filosofia della scienza”, “logica”, etc. Per capire il senso generale del discorso di Piras è importante tenere presente quale sia, secondo lui, “l’unico vero fine” dell’insegnamento della disciplina: “apprendere i ferri del mestiere dell’argomentazione e sapere pensare l’esperienza, essendo consapevoli di come l’hanno pensata i classici”. Verso la fine del testo, si trova ribadito, con lievi varianti, lo stesso giudizio. L’autore scrive, infatti, che il fine dell’insegnamento della filosofia è: “apprendere ad argomentare e a riflettere concettualmente sull’esperienza, avendo consapevolezza del sapere filosofico già esistente”.

Nella prima parte del testo, per convincere il lettore dell’inadeguatezza dell’attuale forma di insegnamento, Piras fa appello ad alcuni luoghi comuni, a cominciare da quello secondo cui gli insegnanti della A037 amano più la filosofia che la storia e perciò insegnano male quest’ultima.

 

Egli ne conclude che i due insegnamenti andrebbero disgiunti. Dietro all’insegnamento storico della filosofia, secondo Piras ci sarebbe un “disegno storicistico” di matrice hegeliana e deriva diltheyana. Questa genesi, anche se non dominante, avrebbe però lo strisciante effetto di condizionare i manuali e i docenti: “in un modo o nell’altro, il docente e il manuale tendono a sovrapporre una chiave interpretativa generale, che permetta di chiarire perché è giusto passare da un autore all’altro, al di là della pura cronologia”. Chi si salva da questo esito avrebbe solo due alternative: ricadere nell’erudizione “pazzesca”, oppure andare per “medaglioni” fra loro scollati. Le conclusioni dell’autore sono amare: i ragazzi al liceo non sanno argomentare, oscillano tra l’esporre banalità deprimenti e il rifugiarsi in una inincidente carrellata storica delle teorie. Perciò, scrive Piras: “è evidente che è l’impianto storico a non funzionare, e che va buttato via”.

 

La seconda parte del testo è quella propositiva. Preliminarmente, Piras sgombera il campo dalle proposte dell’insegnamento di una filosofia per problemi: una didattica di questo tipo, secondo l’autore, finisce per “ipostatizzare” e “irrigidire” i problemi stessi. Inoltre, egli chiarisce che la sua non è un’opzione per la filosofia analitica che escluderebbe “molto di quello che dovrebbe essere insegnato”. Il nocciolo della sua proposta consiste in un insegnamento della filosofia a partire dal “suo statuto attuale”. Ciò significa che non c’è la filosofia, ma ci sono le filosofie: la filosofia della scienza, la filosofia del linguaggio, la filosofia politica, per fare qualche esempio. Ecco la lista (aperta) delle discipline filosofiche che, secondo Piras, andrebbero svolte a scuola: logica, filosofia della scienza e della mente, filosofia morale, filosofia politica, filosofia e teoria sociale, estetica. In ciascuna disciplina poi si procederebbe in maniera specifica: in logica sistematicamente, in filosofia del linguaggio vi sarà una parte sistematica (semantica, teoria degli atti linguistici, etc.). Piras non esclude che in alcuni ambiti si possa procedere anche storicamente. I classici, osserva insistentemente, andrebbero trattati nel corso del triennio, riprendendoli più volte e approfondendoli. Per valutare la proposta di Piras è rilevante riprendere, almeno in sintesi, la lista svolta dall’autore dei vantaggi che seguirebbero qualora la rivoluzione che lui propone fosse realizzata. In primo luogo, essa renderebbe più facile conseguire il fine dell’insegnamento della disciplina. In secondo luogo, gli studenti coglierebbero il progresso della conoscenza senza doversi confrontare con “grandi sistemi, totalizzanti”. In terzo luogo, l’insegnamento perderà l’inutile informazione storica che, secondo l’autore, costituisce oggi un peso per lo stesso. Infine, si avrebbe modo di dare il giusto peso a contenuti che vengono presentati di fretta alla fine del quinto anno.

Quanto a ciò che ne penso… [continua]

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Gian Paolo Terravecchia

Cultore della materia in filosofia morale all’Università di Padova, si occupa principalmente di filosofia sociale, filosofia morale, teoria della normatività, fenomenologia e filosofia analitica. È coautore di manuali di filosofia per Loescher editore. Di recente ha pubblicato: “Tesine e percorsi. Metodi e scorciatoie per la scrittura saggistica”, scritto con Enrico Furlan.

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