Ritorno a l’Avana

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Laurent Cantet ha sempre dimostrato una grande attenzione alle piccole storie quotidiane, alla vita reale delle persone “normali”. Fin dagli esordi ha raccontato con sensibilità e spirito di denuncia la crisi industriale europea, le spietate politiche di tagli al personale e il dramma della perdita del lavoro.
La locandina del film di Cantet, distribuito in Italia da Lucky Red.

I suoi film, Risorse umane (1999) e A Tempo pieno (2001), restano tra le opere migliori degli ultimi anni per delineare il cambiamento dello scenario del lavoro al tempo della crisi. Verso sud (2005) affronta con la stessa sensibilità il delicato e scandaloso tema delle vacanze ai Caraibi di mature donne europee in cerca di nuove avventure sessuali, e Ragazze cattive (2012) ci restituisce un quadro della società americana degli anni cinquanta, attraverso le vicende di un gruppo di adolescenti ribelli. Il regista francese conferma questa sua vocazione al racconto delle vicende ordinarie della vita con il suo ultimo film Ritorno a l’Avana. Un ritorno cinematografico a Cuba anche per Cantet, che aveva partecipato alla realizzazione del film collettivo 7 giorni all’Havana, presentato al Festival di Cannes del 2012, nella sezione “Un Certain Regard”.

Una terrazza affacciata sul Malecon, accarezzata dalla luce di una giornata che si sta spegnendo in un caldo tramonto. Un gruppo di vecchi amici cinquantenni, che ha condiviso la gioventù e il sogno di una nuova Cuba, si ritrova dopo lungo tempo. L’occasione per la rimpatriata è il ritorno a l’Avana di Amadeo, che da molto tempo ha abbandonato l’isola natale per vivere e lavorare in Spagna. Una serata per parlare, confrontarsi, fare i conti con la realtà delle loro vite, con le speranze, svanite nel corso del tempo, e con un segreto celato a lungo, sofferto e apparentemente incomprensibile, attorno al quale hanno ruotato i destini individuali di tutti i personaggi. Lo sguardo del regista, duro e apparentemente non schierato, è tuttavia malinconico e disilluso nel posarsi su una generazione così dentro al flusso ideologico della storia cubana da restarne quasi travolta, sbalestrata.

Cinque amici, una notte, una terrazza e Cuba. Ma il film non appassiona.
La confezione è la più classica costruzione teatrale, fedele all’unità di luogo e di tempo aristotelica. Un film di sceneggiatura e attori, dove l’azione lascia inevitabilmente il passo al dialogo, al racconto, allo scontro dialettico e ai moti dell’anima. Poteva essere una buona occasione per disegnare personaggi tridimensionali e storie di vita e di passione politica; il film invece delude le attese.
Nonostante le buone premesse, il fascino di Cuba e della sua controversa storia recente non sono sufficienti a fare del buon cinema. Così come non bastano le immagini malinconiche del lungomare più famoso del mondo, i fantasmi dei sogni di una rivoluzione o qualche nota che arriva dalla memoria di Monterey per far decollare il film. La sceneggiatura lascia ampi spazi alla noia, nel migliore dei casi al dejà vu. Non ci si riesce ad appassionare ai personaggi e alle loro vicende pubbliche e private, e il mood del film scivola inesorabilmente verso il triste epilogo di un’occasione persa.
Quanti stanchi epigoni, parenti vicini e lontani de Il grande freddo dovremo ancora vedere?

Ritorno a L’Avana
Regia di Laurent Cantet
Sceneggiatura di Leonardo Padura, Laurent Cantet
Durata: 90′
Con Isabel Santos, Jorge Perugorría, Fernando Hechevarria, Néstor Jiménez, Pedro Julio Díaz Ferran
Produzione: Francia, 2014

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Alessio Turazza

Consulente nel settore cinema e home entertainment, collabora con diverse aziende del settore. Ha lavorato come marketing manager editoriale per Arnoldo Mondadori Editore, Medusa Film e Warner Bros.

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