In occasione del Bimillenario augusteo, alcuni importanti monumenti sono «riconsegnati» all’umanità: manca ancora all’appello il Mausoleo di Augusto.
In occasione del Bimillenario augusteo, alcuni importanti monumenti sono «riconsegnati» all’umanità: manca ancora all’appello il Mausoleo di Augusto.
Forse in questo 2014 – anno del Bimellenario della morte dell’imperatore Augusto – si è già scritto un po’ troppo sul suo conto: e anche io ho modestamente contribuito a questa «indigestione», dedicando al fondatore dell’impero romano alcuni articoli già a partire dallo scorso anno, parlando della grandiosa mostra che lo ha celebrato alle Scuderie del Quirinale, dei difficili rapporti con la figlia Giulia, della sua attività propagandistica e urbanistica nelle vicine Gallie, con il Tropaeum Alpium di La Turbie o il teatro di Orange; e – per non lasciare nulla di intentato… – ho pure recensito un celebre (e discusso) romanzo storico di John E. Williams che lo vede protagonista.
Ci sarebbero stati dunque molti buoni motivi per non scriverne più, anche perché – nel mese di agosto – su importanti quotidiani nazionali sono usciti (più o meno in corrispondenza della data di morte del princeps, il 19 di questo mese) due articoli di grande peso: sul Corriere della Sera del 14.08 quello dottissimo (da non perdere!) di Giovanni Brizzi, e su Repubblica del 20.08 quello di Maurizio Bettini, che si interrogava sulla scarsa «modernità» del personaggio augusteo.
Questo mio ennesimo intervento si configura dunque solo come un articolo «di servizio», per richiamare – attraverso alcuni link e qualche modesta integrazione – la lunga serie di attività che a partire da questo settembre 2014 sono state programmate dalla Soprintendenza archeologica di Roma, nell’ambito di un progetto denominato proprio “Bimillenario augusteo”.
Dal programma ufficiale appare chiaro – e questo è qualcosa che riempie tutti noi di grande soddisfazione – come non si tratti di iniziative effimere, ma di interventi durevoli, finalizzati al restauro, alla messa in sicurezza e alla migliore visibilità di alcuni dei più importanti reperti della Roma augustea. E fra questi mi permetto di ricordarne due; e ribadisco – per ora – ricordarli senza ulteriori commenti perché i monumenti cui farò cenno sono stati (o saranno) aperti al pubblico proprio in questi giorni, dunque non li ho ancora potuti visitare.
Già però ho visto le fotografie dei lavori realizzati nella celeberrima Villa di Livia Augusta a Prima Porta, detta anche ad Gallinas Albas perché qui un’aquila avrebbe fatto precipitare sul ventre di Livia una gallina bianca con un ramo d’alloro nel becco, il che venne considerato un ottimo auspicio: ed è proprio questo il primo dei due monumenti che voglio segnalare. Qui infatti – nell’ambito di una generale riorganizzazione del sito, ubicato in area suburbana – è stato riallestito l’antiquarium e sistemato il famoso lauretum ricordato dalle fonti, dal quale i membri della famiglia imperiale coglievano l’alloro per coronare le loro teste; l’ideale, per chi la visiterà, è recarsi nello stesso giorno al Museo Nazionale Romano di Palazzo Massimo alle Terme a vedere gli affreschi che l’adornavano in passato: in primis quel giardino fantastico, quel locus amoenus, quel paradéisos che è divenuto il simbolo stesso della pittura romana.
Ma passiamo alla seconda segnalazione. La riapertura dell’area del Palatino e del suo Museo, nell’ambito della riorganizzazione e ampliamento del percorso archeologico della Casa di Augusto e della Casa di Livia è prevista per il 19 settembre, ma – anche in questo caso – la stampa ha anticipato immagini dei restauri faticosamente realizzati negli scorsi due anni e coordinati da Maria Rosa Barbera, che è a capo della locale Soprintendenza. Non dimentichiamoci la sacralità di questo colle, dove secondo la tradizione sarebbe sorto il primo nucleo di Roma e dove recenti (e discussi) scavi avrebbero trovato segni certi della «Roma di Romolo». Pertanto Augusto, il ri-fondatore dell’Urbs, volle essere vicino di casa dell’illustre fondatore, edificando per sé e per la moglie due vicine dimore, dalle funzioni sia pubbliche sia private, per le cui vicende rimando all’eccellente volume di Andrea Carandini, La casa di Augusto. Dai Lupercalia al Natale, Roma-Bari, Laterza, 2008. Si tratta comunque – al di là delle valenze religiose e simboliche – di un complesso edilizio caratterizzato da una perfetta sintesi tra quella classica sobrietà che il princeps professava e il lusso che si confaceva al suo status imperiale. Sono davvero ansioso di poterne rivedere gli affreschi i quali – dalle fotografie apparse in questi giorni – sembrano davvero riportati allo splendore originario, e liberati da quella umidità che (soprattutto per la domus di Livia) minava la loro stessa esistenza.
E qui mi fermo. Insomma, dopo la risistemazione qualche anno fa (discussa e contestata – chi non ricorda gli strali di Vittorio Sgarbi? – ma a mio avviso complessivamente valida) dell’Ara Pacis Augustae, e questi restauri di cui ho parlato, manca ancora all’appello della piena visibilità – per quanto concerne la Roma augustea – il Mauseoleo di Augusto, monumento dalle vicende storiche “rocambolesche” (nei secoli fu anche arena per i tori, teatro o sala concerti…) e che da tempo immemorabile versa in condizioni di degrado, tanto che il compianto Antonio Cederna lo definì il “dente cariato” di Roma: soldi permettendo, sarà comunque restaurato e riaperto nel prossimo 2017. Avrebbe dovuto esserlo per questo Bimillenario, ma le cose sono andate per le lunghe: e risparmio ai lettori della Ricerca l’iter di queste lungaggini. Ricordo solo che quest’estate, in occasione dell’anniversario della morte dell’imperatore, è stata organizzata una visita straordinaria e a «numero chiuso» al Mausoleo: il 19 agosto l’area si è però allagata per la rottura di una tubazione, e la visita si è svolta tra molte difficoltà. Qualcuno ha parlato di «maledizione di Augusto», e io non so se abbia o no ragione: conoscendo il princes, però, qualora sia arrabbiato con noi non è perché ne abbiamo turbato il sonno eterno, ma perché lo abbiamo troppo trascurato, mandandone «in malora» la tomba. In fondo Augustus si proclamò Divi filius, e venne divinizzato egli stesso: no, questo trattamento da comune mortale non se lo sarebbe aspettato davvero.