L’esposizione in corso è curata da Simona Bartolena e si intitola Poetiche. Quotidiano e immaginario nell’arte italiana tra Ottocento e Novecento; affronta dunque una fase di passaggio, che, come spesso capita a questi periodi, è ricca di originalità e – perché no? – di rimescolamenti e contraddizioni. Infatti il “realistico” Verismo sociale, il Divisionismo e il Simbolismo non solo si alternano a poca distanza di tempo, ma talora si ritrovano nella poetica di un medesimo artista. E gli artisti importanti che si sono ispirati tanto alle tematiche sociali e “quotidiane” quanto all’immaginario simbolista a Lecco non mancano, se è vero che sono esposte oltre 90 opere – di varia provenienza pubblica e privata – di autori del calibro di Giovanni Segantini, Angelo Morbelli, Emilio Longoni, Giuseppe Pellizza da Volpedo, Giovanni Sottocornola, Carlo Fornara, Plinio Nomellini, Francesco Michetti, Antonio Mancini, Leonardo Bistolfi.
Tra lavoro e spiritualità
È bene ricordare come nella seconda metà dell’Ottocento nascano le prime organizzazioni dei lavoratori, si preparino i primi scioperi e si verifichino insurrezioni contadine: gli artisti iniziano allora a guardare a questo mondo in una forma oggettiva, poco compiaciuta o edulcorata, in modi che ricordano gli esiti della letteratura naturalista francese o verista italiana.
Questa impietosa analisi del reale, però, non evita (o forse addirittura incoraggia?) la tendenza a un approccio anche spirituale alla creazione artistica, unito alla necessità di un’intima riflessione e di un dialogo con il divino. Le forme simboliste con le quali quest’ultima tendenza si realizza ci regalano esperienze in bilico tra i due mondi: quello del verismo sociale e quello della visione, per certi versi due facce di una stessa medaglia.
D’altronde Giovanni Pascoli, in questi stessi anni, indagava nei suoi versi sia sull’emigrazione e la povertà contadina sia sui lati più oscuri e i meandri più profondi dell’animo umano: ho sempre in mente l’aratro di Lavandare, simbolo dell’abbandono del lavoro agricolo di chi è emigrato, ma anche della solitudine profonda di tutti quelli che, in qualche modo, soffrono per una mancanza.
Qualche opera esposta
È dunque difficile distinguere tra questi due ambiti (realistico e simbolico) anche perché – ad esempio – le opere in mostra di un pittore noto come “simbolista”, cioè Plinio Nomellini (alludo all’olio Il cantiere e la stampa Il lavoro), sono inerenti a due tematiche care al verismo sociale. D’altronde il Nostro era stato in gioventù allievo di Giovanni Fattori, per poi frequentare Giacomo Puccini e Gabriele D’annunzio, esempio plastico della vita di un uomo a cavallo tra due secoli assai diversi tra loro.
Allo stesso modo non è sempre facile affermare se in certe opere siano le figure umane o il paesaggio a evocare le maggiori suggestioni.
Che dire, ad esempio, della straordinaria Raccolta di cavoli di Angelo Morbelli, o della tenera Scena pastorale di Giovanni Sottocornola? Le donne rappresentate dai due divisionisti ci direbbero altro senza i tenui paesaggi – sfuggenti, nel prima caso – di sottofondo: così, esse sono reali e universali nello stesso tempo, un po’ come gli anziani ospiti del Pio Albergo Trivulzio che Morbelli ha più e più volte ritratto con commozione.
E cosa sarebbe la donna del disegno di Giovanni Segantini intitolato Ave Maria sui monti, senza le montagne alle sue spalle, a enfatizzarne la pensosa solitudine? Ah, Segantini, il più noto esponente della “squadra” di Vittore Grubicy e forse il più grande del suo tempo: di lui si possono vedere anche la celebre Processione della collezione Rossi (ora al Museo della Scienza e della Tecnica di Milano), che – si parva licet – ricorda lo schema pittorico del Quarto Stato, e un piccolo ma suggestivo Paesaggio di piante, con alberi che si “annerano” (scusate il dannunzianesimo) contro un cielo di rara bellezza.
Un capolavoro di Giovanni Sottocornola
Come al solito, non intendo analizzare tutte le opere in mostra, anche perché – come già ho scritto per una passata rassegna nella stessa sede – la loro qualità non è uniforme, e accanto a veri e propri capolavori ci sono quadri un po’ meno convincenti.
Sicuramente un capolavoro è però il grande tondo a olio di Giovanni Sottocornola intitolato Raccoglimento, del 1906. Qui una madre e due figlie, vestite di bianco, sono angelicamente raffigurate in un contesto floreale: realtà o sogno? Ma i grandi occhi delle bambine sono velati di tristezza e quelli della madre addirittura socchiusi. Ci saranno forse ombre, preoccupazioni, che impediscono all’amore materno e filiale di esplodere nelle forme più gioiose? O forse è solo pudore quello che l’artista – noto per la capacità di leggere la psicologia dei suoi personaggi – ha voluto significare nelle tre figure da lui dipinte? Oppure vi è qualche messaggio allegorico, “segantinianamente” sotteso, che a noi sfugge? Non saprei… Quel che so è che invidio moltissimo il fortunato proprietario del quadro, che invito tutti ad andare ad ammirare “dal vivo” alla mostra lecchese.