Kuala Lumpur: un po’ di tradizione, molta modernità

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Kuala Lumpur è la capitale federale della Malaysia e, nonostante il suo sviluppo sia piuttosto recente, racchiude tutta la storia del giovane Stato, sovente annoverato tra le cosiddette “Tigri Asiatiche” – o almeno tra i “Tigrotti”, perché la definizione “Tigri” o “Dragoni”, in origine, designò solo Taiwan, la Corea del Sud, Hong-Kong e Singapore.

Guardiano_del_tempio_Sze_Ya

La Malesia, infatti, ha una storia che è fatta di mescolanze etniche e sottomissioni a potenze straniere. Sottomissioni che ne hanno fatto oggetto prima del dominio portoghese (dal 1511), poi di quello olandese (dal 1641) e l’hanno quindi trasformata (dal 1795) in un’appendice del grande Impero britannico. La sofferta indipendenza è – come per altre importanti realtà asiatiche – cosa del secondo Dopoguerra, e si è realizzata tra il 1957 e il 1965: nasceva allora uno Stato sì insofferente al dominio inglese, ma ancora ferito dalla brutale occupazione giapponese durante la Seconda Guerra Mondiale e profondamente lacerato da gravissime tensioni interne di carattere politico, economico e sociale.
Sicuramente, parlare della cosiddetta “Malesia Britannica”, e cioè del gruppo di colonie governate così a lungo dalla Corona Inglese, è fondamentale per capire la Malaysia odierna, e per decifrare di conseguenza la composita dimensione etnica, linguistica e religiosa della sua capitale. In particolare bisogna ricordare come gli “Stabilimenti degli Stretti” – così chiamavano i britannici i territori malesi – abbiano visto un pesante sfruttamento economico da parte dei colonizzatori nella produzione di gomma, nell’estrazione di stagno e nel commercio di spezie.

Piazza_Merdeka

Ed era quello lo sfruttamento (impersonato dal “Rajah Bianco” di Sarawak James Brooke, personaggio realmente esistito) contro il quale si batteva il leggendario Sandokan, immaginario eroe partorito dalla fantasia del grande Emilio Salgari. Fu proprio durante questo periodo che giunsero nella penisola (e nel Borneo) molti Cinesi e Indiani, i quali furono impiegati come manodopera operaia o artigiana, ma che divennero anche soldati o mercanti e – sempre leggendo Salgari – pure pirati, poiché i letterari “tigrotti di Mompracen” avevano le provenienze più varie. Pertanto i Malesi (oggi non più della metà della popolazione nazionale che è di circa 28 milioni di persone) convissero e convivono, tra gli altri, con molti discendenti di quei Cinesi e di quegli Indiani, i quali costituiscono parte integrante della vita e della cultura del moderno Stato.
Se dunque oggi KL ci appare un’avveniristica metropoli, ma con segni ben visibili di un passato coloniale e con un evidente melting pot etnico, linguistico, religioso, culturale e – perché no? – gastronomico, possiamo ben comprenderne le ragioni storiche.

La_Moschea_del_venerd

Partiamo dunque da Piazza Merdeka, e cioè “Piazza dell’Indipendenza”, dove, vicino agli edifici coloniali inglesi in finto stile Tudor e all’ombra del pennone della bandiera malese campeggiano il Palazzo del Sultano Abdul Samad e la Moschea del Venerdì (Masjid Jamek). Si tratta di costruzioni di fine Ottocento o primo Novecento (mai nulla di troppo “antico” a KL, dove pure la stazione ferroviaria è considerata “archeologia”), ma che testimoniano l’importanza dell’Islam come elemento identitario nazionale tra i più importanti. Un Islam giunto in loco tramite commercianti arabi già nel XI secolo, e che è divenuto col tempo tanto profondamente radicato che in lingua malese la forma masok melayou significa sia “abbracciare l’Islam” sia “diventare malese”!
Ciò non impedisce che nella città che stiamo esplorando ci siano, oltre alle moschee, tra cui la grandiosa e moderna Moschea Nazionale (Masjid Negara), chiese cristiane (ad esempio quella anglicana di Saint Mary, proprio nell’area di piazza Merdeka), oppure templi buddisti, induisti e taoisti. L’atmosfera che si respira è infatti quella di tolleranza e rispetto, almeno in apparenza, e credo proprio anche in sostanza; ciò anche se non mancano in alcune parti della Malesia recenti tensioni etnico-religiose che rischiano di minare questo delicato equilibrio.

Torri_Petronas

Ma alla tolleranza e al rispetto verso qualcosa di “diverso” KL – come abbiamo visto – si è dovuta per forza abituare, e sembra difficile immaginare scenari diversi. Lasciando Piazza Merdeka, infatti, abbiamo a Nord la vivace Litte India (praticamente un lungo bazar di negozi di tessuti) e a Sud la caotica Chinatown (dove il tempio taoista dello Sze
Ya
è un’oasi di spiritualità tra le migliaia di griffe contraffatte e l’odore dei wanton fritti…), mentre a Nord-Est sorgono il “Triangolo d’Oro” degli affari e della finanza e – soprattutto – il cosiddetto Kuala Lumpur City Center, dove si stagliano le celeberrime Petronas Twin Towers (1998), torri gemelle alte 452 metri. Queste ultime sono il simbolo della Malaysia moderna, che non rinuncia però alla sua identità culturale e religiosa. Infatti sono da un lato legate alla compagnia petrolifera nazionale, la Petronas appunto, che qui ha la sua sede: e non si può negare l’importanza che ha il petrolio (insieme con i tradizionali caucciù e stagno e la produzione di olio di palma) sulla vitale economia malese di questi tempi. D’altro lato, però, esse rimandano alla tradizione islamica, poiché le strutture – pur se in vetro e acciaio – ricordano le torri di un minareto.

Chinatown

Dunque camminare per KL, bagnati dagli acquazzoni tropicali e oppressi dall’umidità, tormentati da un traffico caotico che solo l’Oriente sa produrre, annichiliti dal contrasto tra gli edifici moderni e i mercati tradizionali, pervasi dagli odori di cibi e spezie di ogni genere, è ben di più che sfogliare un libro di storia o di geografia. È fare quello che Erodoto diceva andasse fatto: cioè “leggere” la storia direttamente, tramite l’autópseia (il “vedere”) ma anche l’akoé, cioè “ascoltare” le voci dirette di chi quella storia l’ha fatta o l’ha subita. KL è infatti assai più piccola di Pechino o Bangkok, meno sconvolgente di New Delhi, città che ho visitato qualche anno fa; eppure ha una dimensione di eterogeneità, di mescolanza, di serena (o quasi…) confusione, che ti dà l’impressione di assistere a una specie di sintesi geo-storica dell’estremo Oriente. In pochi kilometri quadrati sei contemporaneamente in Malesia, in India, in Cina, in Arabia, e – parimenti – ti sposti con la macchina del tempo dall’età coloniale a quella ultracontemporanea: mai mi era capitato, ad esempio, di vedere tante donne velate maneggiare freneticamente sulla metropolitana iPad e smartphone di ultimissima generazione, oppure di osservare nel modernissimo aeroporto (il KLIA) ferventi lettori del Corano in ebook. E non immaginavo certo di trovare il sancta sanctorum dell’identità nazionale malese, la già citata Piazza Merdeka, temporaneamente trasformata in una pista per gare motociclistiche, con tanto di gazebo degli sponsor e vendita di gadget; il rombo dei motori e un’assordante musica pop che si mescolano alla preghiera del muezzin: è la modernità, bellezza…
Insomma, cavalcare una “Tigre Asiatica” (o almeno un “Tigrotto”?) partendo da KL per visitare poi altre parti del Paese (che ha mare e natura stupendi, quelli che Salgari ha immaginato e descritto pur senza mai essersi mosso dall’Italia…) è stato senza dubbio interessante e istruttivo, ed è per questo che ho voluto condividerlo coi lettori de La Ricerca.

[Le immagini a corredo dell’articolo sono tutte dell’autore, N.d.R.]

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Mauro Reali

Docente di Liceo, Dottore di Ricerca in Storia Antica, è autore di testi Loescher di Letteratura Latina e di Storia. Le sue ricerche scientifiche, realizzate presso l’Università degli Studi di Milano, riguardano l’Epigrafia latina e la Storia romana. È giornalista pubblicista e Direttore responsabile de «La ricerca».

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