Raccontare di sé: memorie del passato, richieste del presente

Tempo di lettura stimato: 8 minuti
Pubblichiamo un abstract dell’intervento di apertura della V edizione del convegno “Le storie siamo noi”, a firma di Andrea Smorti, ordinario di psicologia dello sviluppo e dell’educazione all’Università degli Studi di Firenze.
Nella mia presentazione cercherò di mostrare come il racconto di sé si trovi al crocevia di importanti processi mnestici, linguistici, relazionali. A questo scopo presenterò alcuni studi sperimentali su specifichi aspetti della narrazione autobiografica, quali la lunghezza della narrazione, la sua conformazione interna, il suo contenuto, il ruolo dell’ascoltatore.

Nel nostro laboratorio studiamo i ricordi autobiografici e la loro trasformazione attraverso la narrazione autobiografica. Da un punto di vista teorico, più generale, siamo partiti dalla teoria di Vygotsky sul linguaggio e il pensiero e da quella di Bruner sul sé narrativo. Ambedue le teorie presentano delle analogie. Si potrebbe dire che la teoria di Bruner costituisce una trasposizione sul piano narrativo della teoria vygotskiana. Infatti, la narrazione appare essere un linguaggio esteriore, mentre la memoria è più simile a quello interiore.
Abbiamo dunque cominciato a speculare che tra ciò che portiamo all’esterno (il linguaggio, la narrazione) e ciò che portiamo all’interno (il pensiero, la memoria) ci sia un rapporto dinamico. In questo rapporto la narrazione-linguaggio risente del suo provenire dal pensiero-memoria, ma anche il pensiero-memoria risente dal provenire dal linguaggio-narrazione. In altre parole, il nucleo concettuale di ciò che andrò a presentare è costituito dalla assunzione che esistono processi dinamici interno-esterno ed esterno-interno, e che quando noi portiamo all’esterno un ricordo (raccontiamo qualcosa a qualcuno) questo nostro racconto trasforma potentemente il ricordo, così come quando portiamo qualcosa all’interno (ricordiamo qualcosa di ciò che abbiamo raccontato) questo nostro ricordare trasforma il testo della narrazione passata, ma risente anche della sua origine narrativa.
Esaminiamo per prima cosa la trasformazione della memoria in narrazione. Ciò avviene quando vogliamo o ci troviamo a dover raccontare a qualcuno, per esempio, quello che abbiamo fatto durante l’estate. Supponiamo che non abbiamo ancora raccontato a qualcuno questi ricordi. Nel racconto noi attuiamo un processo di narrativizzazione, trasformando le tracce mnestiche in narrazione: un processo che implica molti cambiamenti, come quelli di produrre suoni che sono diacronicamente emessi l’uno dopo l’altro secondo un determinato linguaggio che assume la struttura di una storia.
Evidenze del fatto che la narrazione di sé modifica la memoria e contribuisce a costruire il sé provengono da diverse fonti, come gli studi di psicoanalisi narrativa, quelli sulla conversazione tra madre e bambino sui ricordi, sull’expressive writing, sui processi di rehearsal. Vorrei soffermarmi proprio su questi ultimi. Essi hanno dimostrato che il rehearsal – cioè quell’esercizio che contribuisce a fissare un ricordo, come le prove di teatro che permettono agli attori di arrivare alla “prima” – in questo caso è rappresentato dal richiamo mnestico. Far tornare a mente un ricordo influenza il ricordo stesso e lo modifica anche in funzione della situazione del presente.
Esistono delle regole accettate dalla nostra comunità per raccontare una storia, a seconda del genere che scegliamo e del contesto in cui siamo.Ora, il racconto di sé può essere considerato una delle più potenti forme di rehearsal. Il racconto autobiografico comporta un rehearsal elaborativo di un ricordo, e costruisce una memoria ricostruita (in modo più o meno distorto) di quell’evento.
Esiste tuttavia un terzo aspetto da considerare quando studiamo i rapporti tra memoria e narrazione.
Nel momento in cui trasformiamo un ricordo in narrazione non dobbiamo più soltanto dipanare i nostri ricordi, intessere una trama, costruire uno scenario, non dobbiamo solo cercare di essere più o meno aderenti al contenuto del nostro ricordo (cioè essere veritieri), ma anche raccontare qualcosa che abbia una sua “riportabilità” (reportability). Ciò significa che esistono delle regole accettate dalla nostra comunità per raccontare una storia, a seconda del genere che scegliamo e del contesto in cui siamo. Qui ci imbattiamo in un punto essenziale.
Non tutto si può raccontare in tutti i modi se ci interessa essere ascoltati, apprezzati, creduti, etc. Questa riportabilità ci introduce in un mondo nuovo: quello degli altri. Ci suggerisce anche che la partita che gioca la narrazione non è solo con la memoria, ma anche con la relazione e la comunicazione con l’altro. Raccontare è sempre raccontare a qualcuno, ed è dunque dipendente da un contesto sia locale sia culturale più ampio.

In sintesi: la memoria autobiografica funge da medium tra le memorie del passato che vengono richiamate volontariamente o che emergono spontaneamente e la situazione del presente nella quale la narrazione si svolge. In questa situazione assumono particolare rilevanza tutte quelle variabili della relazione comunicativa che si crea tra narratori e ascoltatori. Questo fa sì che ciò che il narratore racconta di sé dipenderà dalle sue memorie, dagli scopi che si prefigge col racconto e dalle reazioni dell’interlocutore, prima fra tutte il suo tipo di ascolto.
Il programma di studi sperimentali che è partito da questi presupposti si è sostanziato in una serie di domande: se la narrazione modifica il ricordo, qual è la vita di un ricordo dopo la narrazione? Quali sono gli aspetti della narrazione che hanno influenza sul ricordo? Quali sono gli aspetti benefici del racconto?
Qual è la vita di un ricordo dopo la narrazione? Quali sono gli aspetti della narrazione che hanno influenza sul ricordo? Quali sono gli aspetti benefici del racconto?Uno degli aspetti che possono influire sugli effetti benefici della narrazione è se essa è espressa come una storia vera e propria, con il racconto di un episodio specifico, con il suo punto di partenza svolgimento e la sua conclusione (narrazione detta “verbatim”), oppure se è espressa come un riassunto generale, con la sua schematicità e genericità (narrazione “gist”). Quando la narrazione è espressa in modo verbatim essa viene sentita dal narratore come più ricca sul piano emotivo di quanto la narrazione viene espressa in modo gist.
Un secondo aspetto è il tema positivo o negativo del racconto.
Un terzo aspetto riguarda il ruolo dell’ascoltatore. Su questo aspetto ci soffermeremo di più. Abbiamo chiesto a un gruppo di studenti universitari di scegliere un ricordo relativo alla fine di una relazione affettiva, associando ad esso poi una o più emozioni. Dopodiché, abbiamo suddiviso casualmente i partecipanti in due gruppi e li abbiamo invitati ad entrare in una stanza, dove li attendeva un “ascoltatore”. Un gruppo ha narrato il ricordo scelto a un ascoltatore di pari età precedentemente addestrato a essere interessato, assertivo ed empatico rispetto alla storia ascoltata; l’altro gruppo ha invece raccontato il proprio ricordo allo stesso ascoltatore, formato però ad ascoltare in modo distratto e distaccato il proprio interlocutore. Alla fine del racconto, i partecipanti sono usciti dalla stanza e ad essi è stato nuovamente chiesto di associare alla storia raccontata una o più emozioni. A distanza di circa 15 giorni, i ragazzi sono tornati in laboratorio per un follow-up: essi dovevano richiamare la memoria l’evento scelto quindici giorni prima e di attribuirvi ancora le emozioni.
Sono emerse differenze interessanti nell’elaborazione emotiva delle memorie attraverso la narrazione tra il gruppo con ascolto attento e il gruppo con ascolto distratto. In generale, i ragazzi che hanno narrato il loro ricordo a un ascoltatore attento ed empatico hanno diminuito dopo la narrazione il numero di emozioni negative, aumentando invece il numero di emozioni positive. Il processo di narrativizzazione, quindi, ha avuto una specie di effetto riparatore, diminuendo il vissuto negativo della memoria autobiografica e aumentando invece il vissuto positivo.
Al contrario, i ragazzi che hanno narrato il loro ricordo a un ascoltatore distratto e distaccato hanno aumentato il numero di emozioni negative, diminuendo quelle positive. Sembra quindi che l’esperienza spiacevole di non essere stati ascoltati con attenzione abbia favorito un’elaborazione negativa del ricordo autobiografico.
Anche nel caso di questo studio, quindi, il processo di narrativizzazione ha portato a un’elaborazione emotiva della memoria autobiografica. Tuttavia, il ruolo del contesto relazionale in cui avviene il racconto si è rivelato fondamentale. La relazione ha influenzato la produzione della narrazione da parte dei ragazzi partecipanti allo studio, che a sua volta ha influenzato l’elaborazione emotiva della memoria autobiografica.
Questi risultati vanno nella direzione di mostrare come il modo di raccontare modifica il ricordo, e che questo modo è influenzato dall’ascoltatore. Questo apre un nuovo versante di ricerca: dallo studio della narrazione allo studio dell’ascoltatore, verso un concezione della narrazione come situazione relazionale e comunicativa.


Leggi il contributo di Andrea Smorti nel Quaderno della Ricerca #5 Imparare dalla lettura

Il programma della prima giornata del convegno (i cui posti disponibili sono esauriti. Alcuni posti sono ancora disponibili per mercoledì 28):

Martedì 27 ottobre 2015 – c/o Auditorium dell’Ente Cassa di Risparmio di Firenze, via Folco Portinari 5

14.30 Registrazione partecipanti e consegna dei materiali

  Non studio, non lavoro, non guardo la tv. Quaderno di lavoro del V Convegno sull’orientamento narrativo (Pensa Multimedia editore)

15.00 Presentazione dei lavori

Introduzione di Gabriele Gori (direttore generale Ente Cassa di Risparmio di Firenze)
Neet, dropout e orientamento narrativo di Federico Batini e Simone Giusti

15.30 Lezioni magistrali e Lightning talk

Andrea Smorti (Università degli Studi di Firenze) – Raccontare di sé: memorie del passato, richieste del presente
Ercole Giap Parini (Università degli Studi della Calabria) – Sotto la pastasciutta. L’invisibilità dei giovani italiani sotto gli stereotipi del Belpaese
Anna Grimaldi (ISFOL) – Dai documenti politici alle pratiche professionali in orientamento
Federico Batini (Università degli Studi di Perugia) – Dare i numeri, disegnare perimetri

18.30 Conclusione narrativa dei lavori

Vai sul sito de Le storie siamo noi per il programma di mercoledì 28, che a causa dell’alto numero di prenotazioni si svolgerà c/o Auditorium della scuola Santa Maria a Coverciano, Via Salvi Cristiani 1/A


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Andrea Smorti

È professore ordinario di psicologia dello sviluppo e dell’educazione all’Università degli Studi di Firenze. Dirige il «Giornale di Psicologia dello Sviluppo» (Giunti). Tra le sue ultime pubblicazioni: “Narrazioni. Cultura, memorie e formazione del Sé” (Giunti).

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