I poemi epici antichi e moderni mettono in risalto personaggi maschili che sembrerebbero corrispondere a un unico ideale etico e umano: l’eroe per eccellenza è audace guerriero, pronto a sacrificarsi per la causa, custode dei valori, disprezzatore degli svaghi, rispettoso dei compagni. A ben guardare, però, fin dai poemi omerici, questo esemplare non è monolitico: figure come quelle di Achille, Menelao, Paride, Odisseo manifestano passioni e seguono comportamenti molto diversi tra loro.
Non c’è dubbio che il modello machista, che oggi verrebbe fatto rientrare nella cosiddetta mascolinità tossica, sia dominante; ma accanto a esso, anche nello stesso personaggio, se ne notano altri. Proviamo a esaminare i principali e a tentare una classificazione. Sarà un utile esercizio da proporre in classe per mostrare la variegatezza della mascolinità letteraria.
Guerra contro pace?
Una prima macro-suddivisione riguarda gli eroi che si compiacciono di combattere, accettando la guerra come una necessità, e quelli che invece la rifiutano, preferendole una vita comunque avventurosa ma lontano dal campo di battaglia. Anche quelli più sanguinari possono avere un momento di cedimento, ma alla fine si devono piegare alla ragion di Stato.
Capostipite divino dell’eroe impetuoso è Ares, il dio della guerra, poco venerato dagli antichi (chissà perché…): rappresenta la brutalità della vita militare, il puro desiderio di violenza, senza leggi. Protettrice dell’eroe ostile alla guerra è Afrodite, la dea della bellezza e dell’amore, la cui turbolenta relazione con Ares suggerisce la difficile sintesi dei due opposti da essi incarnati. Amante di Afrodite è poi Adone, il giovane e fascinoso cacciatore di cinghiali extralarge immortalato in pose languide da numerosi pittori e scultori mentre riceve le affettuosità della dea. È lui, eroe che nasce, viene fatto a pezzi e infine risorge, l’anti-Ares.
Nel mondo umano la distinzione tra i due poli è, come sempre, meno netta. Se Achille sembra rappresentare un fedele di Ares, non dobbiamo dimenticare che per una lunga parte della Guerra di Troia rimane nella sua tenda in preda all’ira, disarmato, vestito di un profumato chitone, lasciando combattere l’amato Patroclo. E, prima del conflitto, tenta di sottrarsi alla chiamata alle armi travestito da donna sull’isola di Sciro, con tanto di aggiornamento anagrafico (lo chiamavano «la Rossa»).
Sul fronte opposto troviamo Paride, altro protetto (guarda caso) di Afrodite; questi è un ottimo arciere (arma più creativa della spada) e, quando la dea lo sottrae allo scontro con Menelao, si compiace di ricevere in camera da letto Elena, senza nessun pensiero per la figuraccia fatta davanti a tutti. Ai duelli Paride preferisce i profumi, i balli, i comfort di lusso.
L’eroe sanguinario
Nell’epica non mancano figure di eroi che trovano nella guerra la propria ragione di vita – e di morte. Sempre con la spada sguainata, giganteggiano come i cattivi delle fiabe, condannati senza appello da autori e lettori, che li percepiscono irredimibili. Se anche conoscono una pausa dagli scontri, ne approfittano per fare stragi tra i civili, per violare la natura, per assalire ragazze.
È il caso di Ferraù, Sacripante e Rodomonte nell’Orlando furioso, guerrieri saraceni che l’ironia di Ariosto ridimensiona, non nascondendo la sostanza bruta dei loro comportamenti e dei loro desideri sessuali. Il personaggio di Rodomonte, in particolare, ha uno spazio notevole nel poema ariostesco, che si conclude con la sua uccisione, anzi con le bestemmie della sua anima sulla via dell’Inferno: «bestemmiando fuggì l’alma sdegnosa / che fu sì altiera al mondo e sì orgogliosa» (canto XLVI, ott. 140).
L’eroe pio
Il mito di Enea ha introdotto nella letteratura, grazie a Virgilio, un nuovo modello di eroe, che all’impegno bellico unisce il culto dei valori patrî, la custodia della famiglia, la fondazione di un regno provvidenziale. Il «pio» Enea rappresenta ciò che ogni pater familias romano, dal princeps in giù, dovrebbe essere nel pubblico e nel privato. Uomo in perenne esilio, con sulle spalle l’anziano padre che lo comanda anche dopo morto, deve anteporre a tutto, compreso l’amore per Didone, la volontà degli dèi.
Il suo erede moderno è Goffredo di Buglione, il «capitano» dalle «arme pietose» della Gerusalemme liberata di Tasso. Alfiere dei valori cristiani, Goffredo ha il difficile compito non solo di riconquistare Gerusalemme, ma anche di tenere uniti i soldati, vincendo rivalità e resistenze. Ritroviamo questa caratterizzazione patriottica in Gjergj Kastrioti, detto Scaderbeg, l’eroe nazionale albanese protagonista del primo poema epico scritto da una donna, la Scanderbeide (1623) di Margherita Sarrocchi: Scanderbeg, cristiano del Quattrocento, combatte contro gli Ottomani nei Balcani con lo stesso spirito dei crociati medievali.
L’eroe innamorato
Nessun eroe è immune dall’amore; anche i pii e i duri di cuore sperimentano questo sentimento, che sia o meno corrisposto. Tra tutti quello che più è associato a una storia di passione turbolenta è il tassiano Tancredi, crociato protagonista di un triangolo amoroso (e per questo interpretato come un eroe in divenire): di lui è innamorata la principessa di Antiochia Erminia, mentre lui è innamorato della guerriera musulmana Clorinda. L’incontro fra Tancredi e Clorinda è però fatale; morte, amore e fede si congiungono nell’istante in cui il cristiano colpisce, riconosce e battezza la guerriera. Il proverbio greco per cui dal dolore deriva il sapere è condensato in un distico memorabile: «La vide, la conobbe, e restò senza / e voce e moto. Ahi vista! ahi conoscenza!» (Gerusalemme liberata, canto XII, ott. 67).
L’eroe travestito
Agli eroi dunque non piace solo la guerra. Qualora se ne offra l’occasione, si prendono il proprio piacere. È quello che accade a Ruggiero quando si consegna alla maga Alcina, ospite sulla sua isola remota. Ce ne parlano sia Boiardo, inventore di questa erede di Circe, sia Ariosto, che presenta l’episodio di Ruggiero nel giardino di Alcina come una parantesi, chiusasi per l’intervento di un’altra maga, Melissa; questa, assunte le sembianze di Atlante, svela a Ruggiero l’illusione in cui è stato irretito e lo riporta sul campo di battaglia. Incontrandosi, i due personaggi si rispecchiano: Melissa travestita da Atlante ritrova un eroe quasi travestito da donna, con abiti lussuosi, con uno «splendido monile» incastonato di gemme, due braccialetti, gli orecchini di perle, con i capelli profumati e lisci grazie a una specie di gel; insomma, «tutto ne’ gesti era amoroso» (Orlando furioso, canto VII, ott. 53-55).
Ad analogo travestimento si sottopone Rinaldo nel giardino di Armida; Tasso si profonde in meno dettagli circa il nuovo outfit dell’eroe, ma quando questi si vede riflesso in uno scudo l’immagine specchiata è inequivocabile: «con delicato culto adorno», «spira / tutto odori e lascivie il crine e ’l manto» e il ferro stesso della spada sembra «dal troppo lusso effeminato» (Gerusalemme liberata, canto XVI, ott. 30). Rinaldo come Ruggiero si è spostato, seppur per poco tempo, nel mondo dell’amore e del lusso, tipicamente associato alla femminilità. Anche lui dovrà lasciarlo sotto la spinta dei doveri militari e sociali (il freudiano Super-Io), ma intanto se lo è ampiamente goduto.
Modello divino delle due coppie terrestri sono Venere e Adone: questo eroe pacifico non solo è immortalato mentre, disarmato, amoreggia con la dea, ma anche lui ama i travestimenti. Nel poema che gli dedica Giovan Battista Marino (incarcerato per omosessualità), per sfuggire all’inseguimento di una strega, Adone si veste da donna, tanto da somigliare a una ninfa (L’Adone, canto XIV, ott. 10-11) e da suscitare l’interesse erotico di alcuni briganti, a cui si presenta come Licasta. Nuovo livello di mascolinità raggiunto.
L’eroe-eroina transgender
L’Orlando furioso offre un ulteriore caso di travestimento, decisamente sbilanciato verso l’omosessualità femminile. Lo troviamo nel canto XXV: la guerriera Bradamante, ferita, è ammirata dalla giovane Fiordispina, che se ne innamora, credendola un uomo, e si lascia scappare un bacio; anche quando l’equivoco è risolto, la passione non viene meno. Fiordispina si addolora, ma il suo amore ormai apertamente lesbico ne rafforza l’eccezionalità. E non finisce qui: Ricciardetto, il fratello di Bradamante, innamorato a sua volta di Fiordispina, riesce a fare breccia nel suo cuore proprio grazie alla somiglianza con la sorella. Si veste con abiti femminili e, quando questo travestimento viene svelato, Ricciardetto racconta che in realtà lui prima era una donna trasformata in uomo da una ninfa («sento in maschio, di femina, mutarmi», ott. 64). Questa riattribuzione di sesso è ben presente nei miti antichi, nei quali troviamo personaggi transgender, come Tiresia e Ifide. È il segno di una mentalità che, almeno in letteratura, ha dato prova di superare precocemente i rigidi confini del binarismo di genere, proponendo sia per la mascolinità sia per la femminilità non un unico modello, ma variegati.
Conclusioni: qualcuno ha detto queer?
La straordinaria versatilità dei personaggi epici è una caratteristica che, in classe, può diventare occasione di riflessione, se non di un confortante rispecchiamento. La prospettiva a senso unico di molti romanzi «borghesi» (l’eroe maschio, avventuroso, intraprendente), nei poemi epici lascia il posto a fluttuazioni diventate oggetto di una disciplina accademica: i Queer studies. Il superamento delle tradizionali categorie di genere (maschio vs femmina) e dell’idea di una normalità contrapposta alla diversità trova ampie testimonianze in autori come Ariosto e Marino. Se la letteratura rappresenta la vita, di ieri e di oggi, quale migliore spunto dei personaggi dei poemi per parlare di variegatezza? Ben prima delle opere degli autori e delle autrici militanti o dei manga, Fiordispina e Ricciardetto, Paride e Adone, Ruggiero e Rinaldo travestiti iniziano a tracciare quelle scie variopinte che secoli dopo comporranno, con sempre maggiore consapevolezza teorica, i colori dell’arcobaleno.