Le prove di p raccolte da Chalmers fanno sorridere anche perché consistono in argomenti palesemente fallaci, ma con estrema libertà attribuiti a noti filosofi. Si può infatti estendere alla pratica argomentativa il vecchio adagio buono per la satira: castigat ridendo mores. Riprendo e discuto alcuni degli argomenti, lasciando ai curiosi il piacere di leggerli tutti e il molto altro offerto dalle pagine del sito di Chalmers (peccato che numerosi link non siano aggiornati).
Prova di Davidson di p:
Facciamo la seguente forte congettura: p.
Senonché, ovviamente, congetturare qualcosa, anche se si tratta di una “forte congettura”, non prova alcunché.
Prova di Wallace di p:
Davidson ha fatto la seguente forte congettura: p.
Qui il ricorso all’autorità (l’ipse dixit non fa la verità) rende ancora più grave la situazione che si era creata nel caso precedente, incastonando un errore nell’altro.
Grunbaum:
Come ho sostenuto più e più volte in pubblicazioni precedenti, p.
La ripetizione di qualcosa non la prova, ovviamente, anche se certi giornalisti di gossip non se ne riescono proprio a rendere conto.
Rawls:
Sarebbe bello disporre di un argomento deduttivo che dimostrasse p da premesse auto-evidenti. Sfortunatamente non sono in grado di fornirlo. Perciò dovrò accontentarmi delle seguenti considerazioni intuitive a suo supporto: p.
Strano modo di procedere: supportare un argomento deduttivo con premesse intuitive, mentre si riconosce che tale operazione non porta a nulla. La cosa davvero ridicola poi è che la considerazione intuitiva fornita per portare a un argomento deduttivo che dimostri p è… p. Quando si dice: “essere contorti” e inconcludenti!
Katz:
Ho diciassette argomenti per asserire p e ne conosco solo quattro per non p. Perciò p.
Naturalmente, diciassette sono tanti e quattro, in confronto, pochi. Ma resta aperto se i diciassette sono buoni e se i quattro sono cattivi. Si vede dunque che i numeri a volte non contano. Provare qualcosa non è un’operazione fondata su procedura democratica: non si consegue a maggioranza.
La prova di Sellars che p:
Sfortunatamente, limiti di spazio impediscono che sia inclusa qui, ma parti importanti della prova possono essere trovate in ciascuno degli articoli nella bibliografia allegata.
Qui si prende il lettore per sfinimento e in ogni caso, gli si fa capire che alla fine si dovrà arrangiare, perché dopo un lunghissimo lavoro, avrà in mano solo parti della soluzione e, se non la troverà, finirà col convincersi di averla trovata, per non sentirsi particolarmente stupido.
Morganbesser:
Se non p, cosa? Forse q?
Si conta sulla incapacità, sull’indisponibilità o sul timore dell’interlocutore di proporre e difendere un’alternativa. Resta che due domande, anche se e anzi proprio perché disarmanti nella loro sconcertante inconcludenza, non provano nulla.
Forse però la più bella prova di p è quella attribuita, nel sito, a Platone:
Socrate: Non è vero che p?
Glaucone: Concordo.
Cefalo: Sembra di sì.
Polemarco: Necessariamente.
Trasimaco: Sì, Socrate.
Alcibiade: Certamente, Socrate.
Pausania: Proprio così, se dobbiamo essere coerenti.
Aristofane: Certamente.
Erissimaco: L’argomento di certo punta in quella direzione.
Fedone: Di sicuro.
Fedro: Ciò che dici è vero, Socrate.
In realtà, Socrate non ha sostenuto nulla, ha solo fatto una domanda, in senso stretto. Perciò alcune delle risposte sono particolarmente buffe: “Ciò che dici è vero, Socrate”. Ma una domanda non è né vera, né falsa. E a maggior ragione non è un argomento, in barba a Erissimaco. Altre risposte sono ambigue, come quella di Aristofane: “certamente”. Certamente è vero, o certamente non è vero? La certezza non fa di per sé l’assenso. Conoscendo il modo di fare di Socrate, si può prendere la sua come una domanda retorica e allora si capisce il coro di assensi. Ma anche così si è ben lontani dall’avere una prova di p: dalla tesi che p (camuffata da domanda retorica) e dal pigolio conformista dei consensi (oggi diremmo dei “mi piace”), non segue che p, così come il coro di consensi per il Führer non faceva la verità delle tesi di questi.
Insomma, la creatività nel simulare la prova di p è tanto straordinaria, quando deliziosamente umana, troppo umana. Non ci resta che il gran finale:
Conformista: Pensare che non-p è completamente implausibile e una violazione dell’intuizione del senso comune. Perciò p.
Professorale: So che p è vero, perché lo insegno ai miei studenti dei primi anni. Perciò p.
Irrazionalista spinto: P è un asserto rozzo e controverso che distrugge l’intuizione del senso comune. Perciò p.
Snob: La gente pensa che non-p. Ma li ho appena chiamati “la gente”. Perciò p.
Emozionale: P mi dà una reazione “aha”, perciò p.
Controcorrente: La maggior parte dei filosofi pensa che è un a priori che non p. Perciò p.
Visionaria e ambiziosa: Un giorno qualcuno potrebbe scoprire che p e io voglio prenderne il merito. Perciò p.
Definitiva: Al diavolo tutto! P.