Interdisciplinarietà… Quando ho iniziato a insegnare era la “parola magica”, il supremo tentativo che un docente (o un consiglio di classe) poteva esperire per una didattica innovativa e vincente. E la variante lessicale multidisciplinarietà (da me sentita come sinonimica, ma io sono un sempliciotto…) veniva poi accuratamente distinta dall’interdisciplinarietà dai colleghi più avvezzi al barocchismo didattichese. Oggi – sic transit gloria mundi – sono entrambi termini fuori moda, sostituiti da nuove parole d’ordine, anche perché sembra che il dato metodologico (cioè il come si raggiunga un risultato…) sia di questi tempi meno interessante del risultato stesso. Addirittura, delle famose “tre C” di berlingueriana memoria (conoscenze, competenze, capacità), ormai s’insiste solo sulle competenze: parola che dà alla scuola un non so che di manageriale, operativo, e cancella qualunque relitto di quell’orrendo nozionismo che alcuni “parrucconi” come il sottoscritto si ostinano a propinare. Pure il lascito morattiano delle “tre i” (internet, inglese, impresa) ha assunto oggi altre e più subdole forme…: chi scrive pensa infatti che il CLIL sia un clamoroso atto di provincialismo culturale, che svilisce sia la lingua straniera sia la disciplina che sarà in essa insegnata da qualche volenteroso fac totum, con o senza LIM…
L’interdisciplinarietà non deve – a parer mio – restare ghettizzata nell’ormai stantio rituale delle “tesine” di maturità (ah, la Luna: Leopardi, Canto notturno; Luciano, Una storia vera; il satellite Luna; e per finire l’Apollo 11 e la conquista USA della Luna… quante volte l’avrò sentita?), ma può diventare una risorsa di economicità di tempi e saperi nella scuola post-gelminiana della “riduzione delle ore”. Perché, allora, non pensare davvero che alcuni argomenti possano essere momento di osmosi tra discipline diverse, magari (ma non necessariamente…) insegnate dallo stesso docente?
Vorrei pertanto sottoporre ai colleghi un’ipotesi pur modesta di didattica interdisciplinare, che potrà dare luogo ad un’originale unità didattica (anche questo, termine un po’ fuori moda, ma se usassi la parola lezione sarei accusato ancor più di essere retrivo: eppure mi dovranno sopportare – temo… – fino a sessantasette anni, Fornero iuvante).
La premessa è che in un terzo anno di Liceo (I Liceo Classico, III Scientifico o Scienze Umane) non mancano mai traduzioni di Cesare nel programma di Latino, e la trattazione dell’Umanesimo nel programma di Italiano: mi permetto dunque di suggerire uno “strano” oggetto che può forse fungere da anello di congiunzione tra questi due argomenti.
Si tratta di una base in pietra d’epoca romana che ancora oggi possiamo vedere a Rimini in piazza Tre martiri, al termine dalla via 4 novembre. Il testo latino (CIL XI*, 34) – però – è stato inciso solo in epoca umanistico-rinascimentale, e lo si capisce sia per la grafia sia per il contenuto, del tutto estraneo alla tradizione epigrafica classica, poco consona a questo tipo di celebrazioni.
Si legge infatti: C(aius) Caesar / dict(ator), / Rubicone / superato, / civili bel(lo) / commilit(ones) / suos hic / in foro Ar(imini) / adlocutut(us est) (trad.: “Gaio Cesare dittatore, varcato il Rubicone, ai suoi commilitoni nella guerra civile qui, nel foro di Rimini, tenne un discorso”).
Il monumento, conosciuto con l’appellativo di Suggestum Caesaris, contiene un’evidente allusione al discorso che Cesare – nel gennaio del 49 a.C. – tenne alle sue truppe, dopo l’audace passaggio del pomerium costituito dal fiume Rubicone. Ne parla Cesare stesso (Bellum Civile, 1, 7), ambientando il tutto a Ravenna, laddove quibus rebus cognitis, Caesar milites contionatur (trad.: “sapute queste cose, Cesare tenne un discorso ai soldati”), ma anche Svetonio (Vita di Cesare, 31-33) che sembra invece ambientare il discorso solenne a Rimini, poco dopo la celebre frase alea iacta esto.
L’estraneità del testo alla consuetudine epigrafica latina – di cui già ho detto – lascia però pensare che l’erudito che lo compilò non volesse costruire un “falso” nel senso deteriore del termine (cioè per fraudolenti scopi commerciali); voleva invece far credere che già in antico i cittadini di Rimini commemorassero l’impresa cesariana con un monumento che desse lustro sia alla memoria del dictator sia a quella della loro città, che lo aveva ospitato. Qualcosa di simile, in un certo senso, sono le numerose lapidi che oggi in Italia ricordano il passaggio di Dante Alighieri (cito così, a memoria, quella di Noli, in Liguria) o i discorsi di Giuseppe Garibaldi (tenuti anche da un balcone di Monza, città dove abito), forse non tutte completamente veritiere; nessuno però, quando le vede, si chiede quando furono redatte: le legge e basta, poiché fanno ormai parte di una memoria collettiva condivisa, oltre che del nostro arredo urbano.
Come possiamo dunque “spendere” a livello didattico questa lettura? Se dovessi suggerire una mappa concettuale con tre parole chiave, suggerirei queste tre, che si configurano – come si vedrà – quali momenti di sintesi (di osmosi, lo ribadisco) delle due discipline Italiano e Latino; queste sono: -1) Memoria dell’antichità; -2) Prudenza con l’antichità; -3) Fenomenologia dell’Umanesimo.
-1) Memoria dell’antichità: Possiamo evidenziare in classe la grande memoria del testo cesariano, e della figura stessa di Cesare capace di suggestioni fortissime in tutti i secoli: da Dante, a Shakespeare, a Napoleone, fino ai fumetti di Asterix o alle pellicole holliwoodiane. Una memoria tale da fare diventare paradigmatiche nelle più varie forme perfino le funeste Idi di marzo, titolo di un recente film con George Clooney che non ha nulla di cesariano.
– 2) Prudenza con l’antichità: Possiamo, parimenti, suggerire ai nostri studenti l’esistenza di falsi (letterari, archeologici, epigrafici…), che debbono sempre farci avvicinare con prudenza al mondo antico; non ci sono, infatti, solo la Donazione di Costantino di Lorenzo Valla o il Papiro di Artemidoro che fa litigare a giorni alterni Luciano Canfora e Salvatore Settis!
-3) Fenomenologia dell’Umanesimo: Dove lo trova – mi chiedo – il docente di Italiano e/o Latino un altro testo così interessante per mostrare ai giovani, concretamente, il clima di transfert verso il mondo antico dell’epoca tra Quattrocento e Cinquecento? Presentarlo in classe è un atto interdisciplinare e – dal punto di vista del tempo speso – davvero molto “economico”, come accennavo sopra.
E se al termine di questo breve percorso i nostri allievi avranno raggiunto come competenza una metodologia di approccio critico e prudente al mondo classico, nella consapevolezza che ogni epoca storica si è costruita un “suo” mondo antico attraverso il filtro della cultura e dei valori da essa espressi, beh, non sarebbe male… Ma forse questa non è una competenza? È allora una capacità? O – termine di un qualche recente successo – è un’abilità? Beh, in questo mare terminologico l’epigrafista professore di latino naufraga, pur senza troppa dolcezza…; pensa però che i suoi venticinque lettori di manzoniana memoria abbiano ben capito quello che intende dire.