Propaganda in guerra: manifesti sovietici

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Un’interessante collezione di manifesti sovietici del tempo di guerra è stata messa on line dall’Università di Nottingham, con il progetto “Windows on War. Soviet Posters, 1943-1945”. Uno sguardo sulla storia, da un altro punto di vista.

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La collezione fu donata all’Università nel 1961; si tratta di manifesti diffusi dalla Tass, l’agenzia di stampa ufficiale dell’Unione Sovietica, realizzati da scrittori, artisti e illustratori come Mikhail Cheremnykh, Nikolai Federovich Denisovskii, il gruppo Kukryniksy, Pavel Sokolov-Skalia. Venivano esposti alle finestre e alle vetrine delle sedi dell’Agenzia telegrafica russa (ROSTA) nelle maggiori città, ma anche in quelle di negozi e uffici amministrativi collocati nelle strade principali, da cui il nome, tradotto dal russo, Tass Windows.

Le immagini, legate al realismo socialista degli anni Trenta, sono state raggruppate in due sezioni: On the Home Front e The Enemy.

On the Home Front raccoglie quel materiale propagandistico rivolto all’interno del paese, per tenere alto il morale della popolazione in guerra. La propaganda, infatti, poteva avere una destinazione interna, ma poteva anche rivolgersi ai paesi alleati o, con scopi opposti, a quelli nemici. Durante la Seconda guerra mondiale, gli americani produssero, a scopo di propaganda, anche brevi filmati in italiano e in tedesco destinati alle popolazioni dei due paesi.

Quattro i temi dominanti nei manifesti sovietici di questa sezione: il ruolo delle donne, l’eroismo dei soldati russi, la difesa della patria e la consolazione dei sofferenti, temi ricorrenti nella propaganda dei paesi coinvolti in un conflitto. Le donne sono celebrate nel loro ruolo di contadine o come membri attivi del personale militare, come madri e sorelle di soldati che vengono incitati alla lotta. L’eroismo dei soldati, glorificato dai manifesti, doveva contribuire a diffondere la fiducia nella vittoria. Erano rappresentati sia nell’atto di uccidere il nemico che nel momento della solidarietà e della fratellanza con i commilitoni. L’amore per la madrepatria minacciata è sempre stato un importante fattore di coesione in tempo di guerra. La propaganda, però, doveva evitare di sottolineare troppo distruzioni e sofferenze, per non indurre nella popolazione un senso di disfatta. L’importanza della consolazione, trattata con toni quasi religiosi, risalta nel tipico manifesto dedicato ai sofferenti e ai feriti, ma anche in quello della famiglia riunita attorno al ritratto di Stalin, venerato come un’icona sacra.

Nella sezione The Enemy, la propaganda rivolta contro il nemico abbandona i temi morali e consolatori per adottare un linguaggio spesso caricaturale e sarcastico; come potrebbe fare oggi la satira politica. Il nemico doveva essere sminuito, screditato o demonizzato: la caricatura poteva trasformare un temibile avversario in un essere ridicolo e insignificante, sottolineandone le debolezze o trasformandolo in un animale infido o pericoloso, in lupo, ratto o serpente. Così i soldati tedeschi venivano rappresentati con i denti acuti del predatore o terrorizzati dai valorosi soldati sovietici. Ma il vero soggetto da colpire era Hitler, la cui stessa figura si prestava per gli illustratori alla rappresentazione grottesca o alla sua trasformazione animale.

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La sezione del sito intitolata The Story ci racconta infine la storia dei Tass Windows, di come siano arrivati all’università di Nottingham, della loro conservazione e del progetto di acquisizione digitale.

Le immagini dei manifesti dovevano essere immediate, di facile lettura e comprensione, anche da parte degli analfabeti. Il messaggio da veicolare doveva essere chiaro e diretto, per incoraggiare la popolazione e diffondere un senso di fiducia nella vittoria sovietica.

I Tass Windows si richiamavano direttamente al lubok, tradizionale stampa popolare russa, utilizzata come illustrazione di fiabe e leggende, dai cantastorie o come fondale nel teatro delle marionette. I lubki, che potevano anche consistere in una sequenza di immagini accompagnate da brevi testi, venivano venduti alle fiere e spesso rappresentavano l’unica forma di informazione, decorazione e svago a disposizione dei contadini. Il richiamo dei manifesti di guerra alla tradizione popolare ne faceva un’arma di propaganda ancora più efficace.

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Elena Franchi

È storica dell’arte, giornalista e membro di commissioni dell’International Council of Museums (ICOM).
Candidata nel 2009 all’Emmy Award, sezione “Research”, per il documentario americano “The Rape of Europa” (2006), dal 2017 al 2019 ha partecipato al progetto europeo “Transfer of Cultural Objects in the Alpe Adria Region in the 20th Century”.
Fra le sue pubblicazioni: “I viaggi dell’Assunta. La protezione del patrimonio artistico veneziano durante i conflitti mondiali”, Pisa, 2010; “Arte in assetto di guerra. Protezione e distruzione del patrimonio artistico a Pisa durante la Seconda guerra mondiale”, Pisa, 2006; il manuale scolastico “Educazione civica per l’arte. Il patrimonio culturale come bene dell’umanità”, Loescher-D’Anna, Torino 2021.
Ambiti di ricerca principali: protezione del patrimonio culturale nei conflitti (dalle guerre mondiali alle aree di crisi contemporanee); tutela e educazione al patrimonio; storia della divulgazione e della didattica della storia dell’arte; musei della scuola.

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