Pompei ed Ercolano: una mostra, un film, tanti interrogativi

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La mostra Life and Death in Pompeii and Herculaneum, ospitata dal British Museum di Londra tra marzo e settembre, ha proposto al suo vastissimo pubblico di visitatori oltre 450 oggetti archeologici, reperiti negli scavi di queste antiche città della Campania. E se è vero che molti di questi pezzi sono stati prestati al British dal Museo Archeologico Nazionale di Napoli o concessi dalla locale Soprintendenza Archeologica, possiamo sicuramente affermare che la permanenza all’estero abbia giovato alla loro notorietà.

 

Questo non solo perché l’esposizione è stata tra le più visitate del mondo; ma anche perché è stata la prima (si spera di una lunga serie…), cui il prestigioso Museo londinese ha dedicato un vero e proprio film illustrativo, che in Italia è stato proiettato solo nei giorni 25 e 26 novembre, e del quale ci si può fare un’idea da alcuni trailer presenti su siti specializzati in cinema. L’evento ha avuto un buon successo, forse anche superiore a quanto ipotizzato, poiché ci sono state vere e proprie “code” nelle sale cinematografiche; almeno così è stato a Monza – dove l’ho visto io – e così leggo che è stato a Milano, Napoli e Roma, città dove la proiezione è stata addirittura prorogata.
Chi vi scrive non è riuscito ad andare a Londra; anzi, un po’ “fantozzianamente” è stato all’Archeologico di Napoli (dopo molti anni…) proprio mentre il “meglio” si trovava oltre Manica. Così, nonostante mi fossi già procurato il bel catalogo e avessi visto sul web la “polpa” della mostra, sono andato martedì sera alla proiezione di cui ho parlato.

 

Il documentario era esattamente come mi aspettavo che fosse. Divulgativo, ma assai ben realizzato tecnicamente, con il giusto mix tra le immagini emozionanti di affreschi e manufatti preziosi e le spiegazioni degli specialisti. Spiegazioni – lo dico senza snobismo e con molta ammirazione – “alla Piero o Alberto Angela”, che indulgevano magari un po’ troppo (ad uso cinematografico) sulle suggestioni erotiche delle pitture o, viceversa, sul dramma umano dei pompeiani e degli ercolanesi sommersi dalla lava del Vesuvio nel fatidico 79 a.C. Eppure, in poco meno di un’ora e mezza, si è parlato di economia antica, di schiavitù, di condizione femminile, di “vita quotidiana” – insomma – nella Roma imperiale. E la migliore dimostrazione che l’operazione è stata condotta con sapienza era data dai volti soddisfatti e anche un po’ turbati dei numerosi ragazzi presenti in sala, molti dei quali insieme con i propri genitori. Il loro turbamento, infatti, mi ha ricordato il mio quando – poco più che ragazzino – venni portato a Pompei da mio padre e mia madre, e vidi gli inquietanti calchi in gesso dei corpi di uomini, donne e bambini, “bloccati”  mentre cercavano invano di sfuggire alla lava. Allora io li vidi dopo un mostruoso viaggio estivo in macchina da Milano, nei tempi in cui le auto non avevano l’aria condizionata e pertanto si guidava di notte per evitare il caldo. Oggi quei ragazzini li hanno visti comodamente seduti sulla poltrona di un cinema, ma chissà se questa pellicola ha fatto venire loro la voglia di farsi portare direttamente sul posto? Se ciò fosse vero anche solo per qualcuno di loro, si potrebbe parlare di successo pieno dell’iniziativa… E chissà se anche a molti adulti, in varie parti del mondo spettatori del documentario, sarà venuta voglia di recarsi a vedere quello che resta – e non è certo poco… – dell’antica Campania Felix?
Vorrei terminare così, senza ulteriori commenti, ma amor mi mosse, che mi fa parlare. E aggiungo pertanto una “coda”, che non è polemica, ma solo accorata, e che è costituita da tre semplici domande. Ecco la prima. Perché una produzione come questa è stata realizzata nel Regno Unito e non è scaturita da qualche Museo o Ente culturale nostrano? Ecco la seconda. Quando avremo finalmente il nuovo commissario straordinario per Pompei – da tempo promesso dal Ministro dei Beni Culturali – anche perché i Fondi UE dedicati possano essere impiegati con maggiore profitto? Ed ecco la terza ed ultima, la più cupa, quella che non avrei mai voluto fare. Ma non è che tra un crollo e l’altro (l’ultimo è di questo novembre 2013) ci resterà per le prossime generazioni di giovani solo il documentario del British?

 

Davvero, non voglio, non posso, credere a quest’ultima eventualità. Anche perché se il Leopardi della Ginestra ricorda che la causa del disastro pompeiano è stata la Natura, matrigna e – soprattutto – indifferente, in questo caso il primato dell’indifferenza spetterebbe alla Politica. E in un certo senso saremo colpevoli anche noi cittadini, se non avremo saputo stimolare i nostri governanti a preservare quello che resta delle cittá famose, / che coi torrenti suoi l’altèro monte / dall’ignea bocca fulminando oppresse / con gli abitanti insieme (vv. 29-32). No, per favore, facciamo in modo che queste piagge non subiscano, dopo quella del 79 a.C., una seconda e ben peggiore ruina.

P.S. Ho già scritto questo pezzo quando sento, come battuta durante lo show di Maurizio Crozza, che Emanuele Filiberto di Savoia (sì, lui) è stato appena nominato “ambasciatore di Pompei nel mondo” dal sindaco di questa città. Rido per la battuta, pensando davvero che sia tale, cioè uno scherzo del comico genovese. Poi mi “fiondo” sul web e scopro che è vero, e mi viene voglia di aggiungere alle tre formulate prima altre mille domande. L’unica che però propongo in questa sede è questa: Perché? Tra l’altro i primi a scavare a Pompei nel 1748 furono i Borbone, mica i Savoia…

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Mauro Reali

Docente di Liceo, Dottore di Ricerca in Storia Antica, è autore di testi Loescher di Letteratura Latina e di Storia. Le sue ricerche scientifiche, realizzate presso l’Università degli Studi di Milano, riguardano l’Epigrafia latina e la Storia romana. È giornalista pubblicista e Direttore responsabile de «La ricerca».

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