“Philosophy across Boundaries”, o del senso dei congressi

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All’Università “La Sapienza” di Roma si è appena concluso il XXV Congresso Mondiale della Filosofia (1-8 agosto 2024; ne parlavamo qui). Qualche riflessione.

Dopo il primo Congresso Mondiale di Filosofia (o Congresso Internazionale di Filosofia, come si diceva inizialmente) tenutosi a Parigi nell’agosto del 1900, il convegno che riunisce esponenti di questa disciplina provenienti da ogni regione del mondo si era tenuto tre volte in Italia: a Bologna (1911), a Napoli (1924) e a Venezia (1958). Dal Secondo dopoguerra la cadenza è stata quinquennale, e solo la pandemia di Covid-19 ha posticipato di un anno questo venticinquesimo appuntamento, svoltosi quest’anno nella capitale italiana, all’insegna dell’interdisciplinarietà e dell’interculturalità.

Sotto gli auspici del prof. Luca Maria Scarantino, Presidente della Federazione Internazionale delle Società di Filosofia (FISP) e del prof. Emidio Spinelli, Presidente del Comitato Organizzatore dell’evento, oltre che della Rettrice dell’Università “La Sapienza”, prof.ssa Antonella Polimeni, a Roma si è discusso – in circa novanta panel tematici, suddivisi in centinaia di sessioni, tavole rotonde, simposi – di come la filosofia possa e debba “varcare i confini”, senza arroccarsi in ambiti disciplinari ripiegati su sé stessi né evitando il confronto con tradizioni di pensiero extra-occidentali, ma anzi mettendo in questione le stesse categorie geo-filosofiche e scientifiche con cui la filosofia si è sempre definita. La numerosità delle regioni di provenienza, delle culture e delle lingue che si sono intrecciate in questo consesso ha dato risalto all’urgenza di pensare in modo articolato l’idea di confine, in senso fisico e metaforico; la ricchezza caleidoscopica del programma ha messo in luce i percorsi molteplici in cui si diffrange e si ricompone il sapere filosofico odierno, nella capacità di comprendere e contenere nell’unità la pluralità delle vocazioni e degli stimoli. La riflessione su aspetti storiografici della filosofia antica può e deve convivere accanto alle indagini su questioni come quelle legate alle neuroscienze e all’intelligenza artificiale, le domande dell’estetica possono e devono dialogare con quelle relative alla bioetica o alla filosofia della traduzione, l’attenzione alla filosofia di area francofona si può e si deve intersecare con istanze filosofiche provenienti dalle tradizioni daoista, islamica o buddhista, e con le lingue che ne sono i veicoli principali.

Se la vocazione della filosofia è per definizione teoretica, essa è al tempo stesso una disciplina storica, e con il mondo della storia deve continuamente confrontarsi – senza per questo ridurvisi – al fine di mettere costantemente alla prova l’impiego dei propri strumenti concettuali. Varcare i confini significa anche, congiuntamente, saperli riconoscere e non ignorare; significa talvolta perfino imparare sostarvi, ad abitarli, o a varcarli più volte in un senso e nell’altro, perché i territori del pensiero possano essere abitati e fecondati dall’incontro e dallo scambio. I confini reali non sono solo quelli visibili, tracciati sulle mappe del pensiero, quelli che lo definiscono rispetto ad altre esperienze dell’umano; sono anche i confini che travagliano internamente, come luoghi di fessurazione o di de-coincidenza, ogni pensiero e ogni esistenza filosofica.

Un Congresso Mondiale può dare a molti l’impressione di una grande fiera, nella quale si fanno moltissimi incontri, ma in cui è più difficile darsi il tempo lungo per l’elaborazione di un pensiero strutturato e sistematico. Tuttavia gli esseri umani, proprio per essere anche all’altezza di ciò che si chiama filosofia, hanno talvolta bisogno anche di questo: incrociare i propri passi con quelli di altre persone tra le aule o i corridoi, scoprire ambiti di riflessione e nomi di studiose e di studiosi mai uditi in precedenza, mangiare, bere e ridere insieme. Altrimenti, l’impressione è che l’attenzione unicamente rivolta alla dimensione più profonda e solitaria del pensiero faccia dimenticare che i territori delle idee si tracciano, si esplorano e si allargano grazie al lavoro di tutti e di ciascuno, nella propria finitudine e nella propria umanità.

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Marcello Ghilardi

insegna Estetica e Philosophy of Interculturality all’Università di Padova, presso la quale è anche vice-direttore del Master in Studi Contemplativi. Il suo lavoro filosofico è rivolto in particolare all’elaborazione di un pensiero interculturale che tenga conto soprattutto del confronto e del dialogo con le forme e le modalità delle tradizioni di pensiero cinese e giapponese, per una messa in prospettiva di alcune categorie tipiche della filosofia occidentale (soggetto, creazione artistica, corpo, identità). All’attività di carattere teorico affianca una ricerca artistica in ambito pittorico; ha esposto in diverse occasioni con mostre personali o collettive, tra cui il Padiglione Italia della 54. Biennale di Venezia (2011) e alla Biennale di Taipei (2016). Tra i suoi libri: Filosofia dell’interculturalità (2012); Il vuoto, le forme, l’altro (2014); L’estetica giapponese moderna (2016); Il simbolo di Europa (2021); Filosofia dell’eccedenza (2024).

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