Per una didattica dell’Agenda 2030

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L’espressione ‘sviluppo sostenibile’ è una contraddizione: come suggerisce Serge Latouche, si tratta di un pleonasmo a livello di definizione e di un ossimoro a livello di contenuto. L’Agenda 2030 è un programma d’azione per lo Sviluppo Sostenibile, che può fungere da buona base per costruire un mondo comune. Quali potrebbero essere i nodi fondamentali della questione, nell’ottica di una problematizzazione in funzione didattica?

I 17 goal dell’Agenda 2030

Lo sviluppo è inteso come figlio di una crescita illimitata, però questa diventa sostenibile solo se viene limitata per rispettare i vincoli posti dalla natura. La contraddizione tra economia ed ecologia resta irrisolta.

L’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile è un programma d’azione per le persone, il pianeta e la prosperità. Questo programma rappresenta una buona base comune da cui partire per costruire un approccio diverso dal punto di vista ambientale, sociale, economico.

I punti della questione

Quali sono i nodi fondamentali della questione esaminata? Potremmo raggruppare i 17 obiettivi dell’Agenda 2030 in punti di problematizzazione, nell’ottica di un approccio formativo proficuo anche per l’attività didattica?

Di sicuro, il primo punto della questione potrebbe concentrarsi sulla tematica della sostenibilità economica e sociale, nel cui ambito possiamo far ricadere il goal 1 (Sconfiggere la povertà), il goal 2 (Sconfiggere la fame), il goal 8 (Lavoro dignitoso e crescita economica), il goal 9 (Imprese, innovazione, infrastrutture), il goal 10 (Ridurre le disuguaglianze) e il goal 12 (Consumi e produzioni responsabili).

Come secondo punto della questione, potrebbe risultare giovevole occuparsi del tema della sostenibilità ambientale, che implica il goal 6 (Acqua pulita e servizi igienico-sanitari), il goal 7 (Energia pura e accessibile), il goal 11 (Città e comunità sostenibili), il goal 13 (Lotta contro il cambiamento climatico), il goal 14 (Vita sott’acqua) e il goal 15 (Vita sulla Terra).

Infine, si potrebbe individuare un terzo punto della questione in riferimento alla sostenibilità dei diritti e delle idee, che chiama in causa il goal 3 (Salute e benessere), il goal 4 (Istruzione di qualità), il goal 5 (Parità di genere), il goal 16 (Pace, giustizia, istituzioni solide) e il goal 17 (Partnership per gli obiettivi).

La sostenibilità economica e sociale

Nello specifico della sostenibilità economica e sociale, può risultare interessante la riflessione di Ritzer in La McDonaldizzazione della produzione[1], che descrive «un modello che molte aziende, ma anche diverse istituzioni sociali come le scuole, le università o le chiese, hanno fatto proprio».[2]

McDonald’s si propone come paradigma di presumption, combinazione di production e consumption, cioè di produzione e di consumo, secondo regole auree: efficienza; calcolabilità; prevedibilità; controllo del ciclo produttivo. Si offre un modello in cui il consumatore (spesso ignaro) produce oltre a consumare, permettendo al produttore di risparmiare sul sistema produttivo e di rendere il suo modello esportabile e trasferibile.

Tale sbilanciamento a vantaggio del produttore (ed a discapito del consumatore) dilata i termini della questione. Sorge, insomma, il dubbio che l’economia della crescita possa risultare in realtà deficitaria o comunque non sostenibile.

Serge Latouche ha tanto da insegnarci con le sue “8 R” per rivalutare, riconcettualizzare, ristrutturare, ridistribuire, rilocalizzare, ridurre, riutilizzare, riciclare la realtà. Ad ogni modo, è altrettanto vero che può risultare difficile, se non addirittura impossibile, uscire dall’economia, sempre se però per essa si intende la solita economia capitalistica. In tal caso, potrebbe prefigurarsi il rischio di una banalizzazione della questione al fine di concepire la decrescita felice come regressione ad una insensata estrema sobrietà.

Ecco che allora questa società della decrescita felice, della sobrietà volontaria, basata sull’accettazione ragionata dei propri limiti, risulta un rimedio alla barbarie: «se non riusciamo a costruire una società di decrescita, di sobrietà volontaria, basata sull’auto limitazione, andremo davvero incontro alla barbarie»[3].

La società della crescita è una società delle disuguaglianze. […] Una società di decrescita continua ad essere qualcosa da inventare, ma si inventa sempre in base a quello che si conosce, per cui sarebbe una società più frugale, ma anche più convivenziale. In fondo tutte le società umane sono state società frugali, più o meno convivenziali. […] Si pongono le condizioni per scoprire l’unica economia fedele al suo significato, custodito nell’etimologia. Se òikos è la casa comune a tutta l’umanità e alla natura, se nòmos è la legge che scaturisce dalla giustizia, allora l’autentica economia è la condizione in cui la giustizia presiede all’organizzazione della casa comune.[4]

L’urgenza di un “cambio di paradigma” rispetto al modello dominante della crescita basato sulla produzione esorbitante di merci e sul loro rapido consumo invita, dunque, ad una messa in discussione delle principali istituzioni socio-economiche, al fine di renderle compatibili con la sostenibilità ecologica, un rapporto armonico uomo-natura e la giustizia sociale, immaginando non solo un nuovo tipo di economia, ma anche un nuovo tipo di società, per non dimenticare che il kósmos è la casa comune dell’umanità.

La sostenibilità ambientale

La sostenibilità ambientale pone una questione etica di fondo: l’uomo non esiste per servire l’economia, ma viceversa quale riflesso di una innata necessità di armonia tra gli uomini e la natura.

È solo liberandoci dal credo fondamentalista nei mercati, rendendoci conto che inseguire il proprio interesse non è sufficiente al conseguimento del benessere collettivo, che saremo in grado di raggiungere una migliore armonia fra uomo e natura.

Gli esempi più ovvi sono quelli che hanno a che fare con l’esternalità. […] E non c’è una esternalità più importante di quella associata con le emissioni di carbonio che inducono il riscaldamento globale. Il nostro pianeta viene messo in pericolo. I ricchi Paesi del Nord sono in larga misura i responsabili per l’aumentata concentrazione dei gas che creano l’effetto serra nell’atmosfera – il consumo dei carburanti fossili è stato al centro del loro successo economico – ma le conseguenze vengono subite a dismisura da coloro che invece vivono nelle regioni tropicali. In prevalenza Paesi che sono di gran lunga molto più poveri.[5]

La paura e la responsabilità, di fronte alla responsabilità di sforzarci per raggiungere tali obiettivi, sono al centro dell’opera di Hans Jonas, Il principio responsabilità (1979), dedicata ai problemi etici e sociali sollevati dall’applicazione della tecnologia in tutti gli aspetti della vita. Il punto di partenza dell’autore è che il fare dell’uomo è oggi in grado di distruggere l’essere del mondo.

Si prenda ad esempio, quale prima e maggiore trasformazione del quadro tradizionale, la vulnerabilità critica della natura davanti all’intervento tecnico dell’uomo – una vulnerabilità insospettata prima che cominciasse a manifestarsi in danni irrevocabili. Tale scoperta, il cui brivido portò all’idea e alla nascita dell’ecologia, modifica per intero la concezione che abbiamo di noi stessi in quanto fattore causale nel più vasto sistema delle cose […]. Un oggetto di ordine completamente nuovo, nientemeno che l’intera biosfera del pianeta, è stato aggiunto al novero delle cose per cui dobbiamo essere responsabili, in quanto su di esso abbiamo potere e che oggetto di sconvolgente grandezza, davanti al quale tutti gli oggetti dell’agire umano appaiono irrilevanti! La natura come responsabilità umana è certamente una novità sulla quale la teoria etica deve riflettere. [6]

Un nuovo imperativo categorico, ancora di grande attualità, si staglia dinanzi a noi: «Agisci in modo che le conseguenze della tua azione siano compatibili con la sopravvivenza della vita umana sulla terra».[7]

La sostenibilità dei diritti e delle idee

I Sustainable Development Goals dell’Agenda 2030 sottolineano le responsabilità di tutti gli Stati a rispettare, proteggere e promuovere i diritti umani e le libertà fondamentali per tutti, senza distinzione alcuna. Occorre partire dai diritti quale paradigma culturale, affinché vengano riconosciuti a tutti a prescindere dai mutamenti sociali e dalle risorse disponibili.

Innanzitutto è inequivocabilmente positivo che uno degli aspetti positivi della globalizzazione sia stato la globalizzazione delle idee. Una delle idee più significative è l’idea di diritto umano. Credo che la globalizzazione abbia dato forza alle idee e abbia esteso la nozione di responsabilità per l’attuazione e l’implementazione dei diritti umani.[8]

Lo scopo dello sviluppo è la realizzazione del potenziale di vita delle persone, per dare forma ad una vita all’altezza della dignità umana, così come proposta da Martha Nussbaum. Il suo capability approach indica la strada verso la valorizzazione del potenziale umano attraverso: 1. Vita; 2. Salute fisica; 3. Integrità fisica; 4. Sensi, immaginazione e pensiero; 5. Sentimenti; 6. Ragion pratica; 7. Appartenenza; 8. Altre specie; 9. Gioco; 10. Controllo del proprio ambiente (politico e materiale).

Tali principi sono reali opportunità basate su circostanze sociali e personali: la giustizia richiede la ricerca, da parte di tutti i cittadini, di una soglia minima di questi dieci principi.

È il sogno di ogni cultura. Diventa dunque un imperativo considerare ogni individuo concreto come la realizzazione, seppure parziale, dell’uomo generico. L’ideale illuminista è ben riassunto dall’espressione di Sartre: Tout homme est tout l’homme [Ciascun uomo è tutto l’Uomo)]. [9]

Si tratta di una prospettiva in grado di valorizzare i talenti umani e rispettare le dignità personali.

Conclusioni

Se consacreremo tutte le nostre forze alle diverse forme dell’educazione, forse raggiungeremo un maggiore benessere e soprattutto realizzeremo l’opportunità di parlare di un uomo ‘planetario’, indipendentemente dalle sue origini e dal suo essere culturale. In quest’ottica si radica la lungimirante convinzione:

che l’unica utopia in grado di farsi valere oggi sia quella dell’educazione per tutti. A questo punto di vista, bisognerebbe attuare una vera e propria rivoluzione. […] Più l’educazione aumenta, più l’economia funziona.[10]


Bibliografia

M. Augé, Prendere tempo. Un’utopia dell’educazione, trad. it. di C. Guarnieri, Castelvecchi, Roma 2016.

H. Jonas, Il principio responsabilità, trad. it. di P. Rinaudo, Einaudi, Torino 2009.

S. Latouche, Decrescita o barbarie, trad. it. di G. Falchi, Castelvecchi, Roma 2018.

G. Ritzer, La McDonaldizzazione della produzione, trad. it. di M. Fiorilli, Castelvecchi, Roma 2018.

J. Stiglitz, Un’economia per l’uomo, trad. it. di M. De Pascale e L. Rosetti, Castelvecchi, Roma 2016.


Note

1. G. Ritzer, La McDonaldizzazione della produzione, Castelvecchi, Roma 2018.

2. Ivi, p. 15.

3. Ivi , p. 21.

4. Ivi, p. 16.

5.  J. Stiglitz, Un’economia per l’uomo, Castelvecchi, Roma 2016, p. 26.

6. H. Jonas, Il principio responsabilità, Einaudi, Torino 2009, p. 10.

7. Ivi, p. 15.

8. J. Stiglitz, Un’economia per l’uomo, Castelvecchi, Roma 2016, p. 42.

9. M. Augé, Prendere tempo. Un’utopia dell’educazione, Castelvecchi, Roma 2016, p. 34.

10. Ivi, p. 9.

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Lia De Marco

Laureata in filosofia presso l’Università degli Studi di Bari, abilitata in diverse classi di concorso per l’insegnamento nelle scuole superiori di I° e II° grado, ha insegnato dal 1999 in numerosi licei della Puglia. Attualmente è docente di filosofia e storia presso il Liceo “G. Bianchi Dottula” di Bari. Già progettista formativo ed europrogettista, ha maturato un’ampia esperienza nel campo della formazione professionale. Componente del gruppo Buone Prassi della Società Filosofica Italiana (S.F.I.) – Sezione di Bari, si occupa di sperimentazione didattica nonché di progettazione e sviluppo di attività di insegnamento integrato della filosofia. Promuove e organizza in rete con altri partner eventi culturali e incontri di studio. Collabora come autrice con diverse riviste specialistiche di didattica e di filosofia.

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