Nelle fasi finali dell’elaborazione della tesina o della mappa concettuale, può succedere che ci si ponga domande come queste o che si desideri che il docente riveda il testo da presentare alla commissione. In questo contesto, l’invio di email è una soluzione normale, se non necessaria. Farlo nel modo migliore aiuta (perché no?) a essere degli studenti migliori, a non essere rimproverati e a ottenere il meglio dai professori, perché li si mette in condizione di lavorare bene. Vediamo alcune regole generali da seguire:
1. nomina appropriatamente il file (per esempio: VB_Rossi_Sole)
Soprattutto ai docenti con più di una quinta, sapere di che classe si sta parlando è utilissimo. Inoltre, il fatto che il file non giri anonimo può far risparmiare tempo al professore, che potrebbe avere il desktop pieno di tesine ed essere costretto ad aprirle tutte, una a una, senza trovare la tua. Infine, che nel titolo vi sia una traccia del tema della tesina può rappresentare un aiuto ulteriore.
2. crea un file dal formato standard (come .doc, .docx, .pdf)
Vedersi arrivare formati strani può dar luogo a un lungo (ed evitabile) scambio di mail. Tipicamente: il docente deve chiederti un formato più adatto, tu gli rispondi che non trovi il programma, lui propone delle alternative. Tutto questo fa perdere a tutti un sacco di tempo. L’ideale sarebbe concordare prima un formato privilegiato – altrimenti, meglio attenersi ai quelli standard, con l’avvertenza che forse il pdf è quello meno agevole per la correzione (anche se non è più del tutto vero, e comunque dipende dal docente: qualcuno potrebbe addirittura preferirlo ad altri formati “aperti”).
3. lascia dei margini appropriati (3 va bene, 1 è poco), e interlinea 1½ (1 è troppo poco e 2 è troppo)
I margini hanno una funzione estetica e una pratica. Da un punto di vista estetico, dei margini stretti creano una pagina troppo piena, senza aria, che dà la sensazione di non finire mai. Dal punto di vista pratico, non sono funzionali alla stampa (bisogna poterlo tenere in mano e leggerlo senza che il dito copra il testo, bisogna poterlo sfogliare senza che il testo scompaia inghiottito dalla rilegatura). Magari nelle prime fasi il testo viene letto solo su computer, ma è preferibile che queste impostazioni di base siano decise una volta per tutte dall’inizio, anche perché può capitare di doverlo stampare nelle fasi di lavorazione o di revisione. Bisogna, come capita per molte cose, trovare il giusto equilibrio: né troppo, né troppo poco.
4. all’interno del documento, scrivi sempre il titolo (o almeno una sua prima versione) e il tuo nome e cognome
Il titolo aiuta a orientarsi, fornisce un’ipotesi di lavoro, consente di capire qual è il senso complessivo. Se non si è sicuri di quel titolo, lo si può segnalare, chiedendo magari un consiglio per far di meglio. Avere per le mani un testo di cui sai chi è l’autore aiuta. Il nome del file dovrebbe già riportarne l’indicazione, per quel che si è detto sopra, però può darsi che il prof decida di stampare il documento, e allora il nome non comparirebbe più.
In ogni caso – questo vale sempre – far circolare dei testi propri senza apporvi il nome è come dipingere un quadro e non firmarlo: un lavoro incompiuto.
5. numera le versioni successive del file (per esempio: VB_Rossi_Sole_2, VB_Rossi_Sole_3)
Spesso gli studenti cambiano il nome del file man mano che ci lavorano, spesso chiamandolo all’inizio con un anonimo “Tesina” – come se nell’universo esistesse solo la loro! – per poi passare per la successiva revisione a un ingenuo “Tesina def”, pensando che il fatto di averci messo una volta sopra le mani renda quel testo definitivo: un testo che probabilmente, se fanno le cose per bene, sarà modificato molte e molte volte ancora. Capita così di leggere il ridondante “Tesina defdef”, o lo scomposto “DEFINITIVA”, o il patetico “Tesina def7”, che non hanno nulla a che fare con un professionale “VB_Rossi_Sole_7”.
6. inviando versioni successive, correggi e tieni conto degli errori che ti sono stati segnalati
Prima di inviare nuovamente il tuo testo rivisto già una volta, assicurati di aver tenuto conto delle correzioni e delle indicazioni già mandate dal docente. Se per qualche motivo ritieni di non volerne tener conto, segnalagliene le ragioni, ma fagli capire che non ha lavorato per niente. A volte, soprattutto quando erano richieste parecchie modifiche, è bene apportarle, verificare che non ci siano altre cose da sistemare, dormirci sopra, e il giorno dopo rileggere tutto e spedire. La notte mette un po’ di distanza dal testo, e quando lo si rilegge si scoprono spesso difetti o imprecisioni che il giorno prima non si notavano.
Vi sono, infine, un paio di cose da non fare assolutamente:
– mettere il testo nel corpo della mail che invii
I messaggi di posta elettronica sono pensati per uno scambio di informazioni rapido e informale, perciò non sono adatti al tipo di lavoro che avviene nella correzione di un testo come quello che vuoi mandare. Sarà perciò il caso di lavorare con un programma di word processor e di allegare il file finale alla mail.
– mandare un frammento senza dare indicazioni dell’intero di cui esso è parte
Questo per evitare che, mancando il contesto, il lettore si perda, fraintenda o suggerisca inutili agganci già previsti – o, semplicemente, che ti mandi al diavolo perché non capisce cosa sta succedendo, cosa vuoi dire e cosa ti aspetti da lui.
Neanche a dirlo, tutto questo è ciò che, solitamente e per lo più, “funziona”: con ogni probabilità i docenti apprezzeranno gli studenti che seguono queste indicazioni, e potranno lavorare meglio. Resta però fermo che il mondo è ricco di pratiche insolite, usi peculiari, preferenze speciali, idiosincrasie che è impossibile prevedere, e perciò è sempre utile essere adattabili, rispettando le esigenze proprie di chi, in fondo, lavora per voi.