Il racconto si sviluppa seguendo la traccia della registrazione di una lunga intervista inedita, considerata perduta e ritrovata in una cantina. Un bel montaggio in cui si alternano i volti e le testimonianze dei famosi artisti di cui Peggy Guggenheim amava circondarsi, gli interventi di critici e curatori contemporanei − ma anche di Robert de Niro, figlio di artisti −, immagini di opere d’arte e locandine pubblicitarie, brani di vita familiare e ricordi di una vita fuori dagli schemi, narrati dalla stessa collezionista.
Scopriamo così una donna non bella, complessata da un naso importante, ma dall’intensa vita sessuale e sentimentale, fra matrimoni e fugaci relazioni, raccontata con naturalezza e sincerità; così come ci viene narrata con semplicità la storia familiare, costellata da delusioni, difficili relazioni personali e profondi dolori. Ne emerge l’immagine di una donna insicura e persino un po’ timida, diversa da quella figura stravagante ed eccentrica (comunque vera) a cui siamo abituati.
La vita di Peggy Guggenheim si intreccia con alcuni momenti fondamentali della storia dell’epoca, a cominciare dal naufragio del Titanic in cui perse la vita l’amato padre, che aveva preferito lasciare il posto sulla scialuppa a donne e bambini. Nipote del fondatore del noto museo newyorkese Solomon R. Guggenheim (con cui non ebbe mai buoni rapporti), nel 1921 Peggy si trasferisce da New York a Parigi, nello stimolante mondo bohémien popolato dai maggiori artisti e intellettuali del periodo.
Senza una vera preparazione, Peggy Guggenheim, autodidatta, aveva un fiuto straordinario per scegliere le persone a cui affidarsi. Sarà in particolare Marcel Duchamp a introdurla all’arte contemporanea, presentandole i maggiori artisti e consigliandole le opere da acquistare.
A Londra, Peggy apre la galleria Guggenheim Jeune, completamente dedicata agli artisti del suo tempo, da Kandinsky a Jean Cocteau. Fra le varie mostre ospitate dalla galleria, anche quella, estremamente innovativa, dedicata alle opere dei bambini, fra cui quelle della figlia, Pegeen Vail Guggenheim. Non è un caso, probabilmente, se anche la Collezione Guggenheim di Venezia ha ospitato le creazioni di bambini delle scuole elementari.
Allo scoppio della Seconda guerra mondiale, a Parigi, Peggy Guggenheim riesce ad acquistare un’opera al giorno, a prezzi stracciati: oggetti che formeranno la base della sua straordinaria collezione, come Uccello nello spazio di Brancusi. Sono gli stessi artisti a cercarla, per guadagnare qualcosa in quel momento di estrema difficoltà, presentandole le loro opere anche di mattina, quando lei era ancora a letto. È così che acquistò, ad esempio, un piccolo dipinto di Salvador Dalì.
Era però giunto il momento di lasciare la città. Il Louvre, impegnato a mettere in salvo le sue opere d’arte dai rischi della guerra, decide di non accogliere anche quelle della collezionista, considerate non all’altezza dell’arte del passato. Nel dopoguerra sarà una grande rivalsa, per Peggy Guggenheim, vedere le sue opere, prima disprezzate, esposte proprio al Louvre.
Le opere vengono spedite di nascosto, come merce qualunque, negli Stati Uniti, dove la collezionista riesce a far giungere anche molti artisti in fuga. Ormai il centro dell’arte contemporanea si è trasferito in America, dove Peggy inaugura la galleria Art of This Century e lancia Jackson Pollock.
Al suo rientro in Europa si stabilisce a Venezia, dove contribuisce a rilanciare la Biennale, e riesce finalmente a realizzare il proprio sogno: un museo di arte contemporanea a Palazzo Venier dei Leoni sul Canal Grande, dagli anni Settanta parte della Fondazione Solomon R. Guggenheim. È ancora in quel palazzo, Peggy Guggenheim, sepolta nel giardino del suo museo, vicino alle sue opere e ai suoi amati cagnolini.