Anche Ercolano, come la vicina Pompei, subì le conseguenze della terribile eruzione del Vesuvio del 79 d.C., durante la quale Plinio il Vecchio – scienziato e comandante della flotta romana – perse la vita nel corso di una rischiosa operazione di “protezione civile”.
La città venne infatti travolta da una massa di fango alta una ventina di metri, dovuta a piogge e smottamenti successivi al fenomeno eruttivo: questa si consolidò in tufo contribuendo così alla preservazione di edifici e oggetti fino ai nostri giorni.
Sappiamo così – alla luce di scavi iniziati già nel Settecento – che si trattava di un centro lontano dal fervore commerciale e dalla densità demografica di Pompei; Ercolano era infatti una piccola cittadina abitata da pescatori e artigiani, impreziosita però da alcune lussuose ville nelle quali la nobilitas romana amava trascorrere i propri momenti di otium.
La villa dei papiri di Ercolano
Tra queste vi è la celeberrima “villa dei papiri”, la quale fu edificata tra il 60 e il 50 a.C. in una posizione allora a strapiombo sul mare, ma che venne sottoposta a importanti restauri dopo il terremoto del 62 d.C.; appartenne a qualche prestigioso membro dell’aristocrazia romana, probabilmente a Lucio Calpurnio Pisone Cesonino, console nel 58 a.C., suocero di Giulio Cesare, nonché amico e patrono del filosofo epicureo Filodemo di Gadara (110 ca – 35 ca a.C.), che qui fu probabilmente spesso ospitato.
Straordinarie sono la raffinatezza delle decorazioni parietali e la quantità di opere d’arte reperite in quest’area – soprattutto statue marmoree o bronzee ispirate a Fidia o Lisippo – molte delle quali ammirabili oggi al Museo archeologico nazionale di Napoli: tra queste spiccano – ma l’elenco dovrebbe essere assai più esteso – i bronzi di gusto lisippeo dell’Hermes in riposo o dei Corridori, le Danaidi (o Danzatrici) care a Winckelmann, e l’imponente statua marmorea di Atena Promachos, copia di quella che proteggeva l’Atene di Pericle dall’altro dell’acropoli.
1.800 papiri carbonizzati, di (quasi) impossibile lettura
Ma veniamo ai papiri, che hanno dato il nome alla villa e che stanno vivendo – di questi tempi – una rinnovata popolarità. Si tratta di oltre 1800 rotoli papiracei (per lo più greci, pochissimi latini) che sono stati carbonizzati dall’altissima temperatura della lava che li coprì: carbonizzati, sì, ma non bruciati, anche se quasi impossibili da srotolare e dunque da leggere.
Dal XVIII secolo in poi gli studiosi, davanti a questi oggetti, sono stati quindi attanagliati da un grande dilemma: provare a srotolarli, di fatto distruggendoli, per leggerci qualcosa (pochino, in verità…) da trascrivere in fretta, oppure attendere un qualche deus ex machina che prima o poi riesca a leggerli senza distruggerli? In sostanza si è optato per una soluzione prudente: qualche forma di srotolamento è stata tentata, ad esempio con un’ingegnosa “macchina” inventata già nel Settecento dall’abate Antonio Piaggio (una specie di telaio…), ma è prevalso in linea di massima un doveroso rispetto nei confronti dei preziosi reperti, molti dei quali conservati nella “Officina dei Papiri Ercolanesi” presso la Biblioteca Nazionale di Napoli.
Nel 1969 si è inoltre costituito nella stessa città il “Centro Internazionale per lo studio dei Papiri Ercolanesi” che ora è stato intitolato a Marcello Gigante, il suo dottissimo fondatore.
Una biblioteca filosofica epicurea
Tante la dottrina, la cura, la passione che studiosi di tutto il mondo hanno profuso finora, ma con risultati – come anticipavo – non sempre all’altezza delle aspettative della comunità scientifica, convinta (e le premesse ci sono tutte) che si tratti di una delle maggiori biblioteche filosofiche dell’antichità (e comunque l’unica rimastaci per intero), ricca soprattutto di testi epicurei: tra l’altro nella villa è stato trovato un piccolo busto “segnalibro” proprio di Epicuro. Sicuramente ci sono tra i reperti alcuni libri della celeberrima opera del Maestro Sulla natura, così come testi di suoi seguaci, in primis il Filodemo già citato.
Non mancano però anche lavori di esponenti di altre scuole filosofiche, come quella stoica, rappresentata qui nientemeno che da quel Crisippo che ne fu tra i “padri fondatori”. E, comunque, molto di quello che c’è (anche di contenuto extra filosofico) è ancora tutto da scoprire…
Papiri e nuove tecnologie
Chi scrive non è un papirologo, anche se sostenne negli anni Ottanta l’esame di papirologia alla Statale di Milano con il grande studioso Guido Bastianini – ora professore emerito dell’Università di Firenze – che fece anche qualche lezione sui papiri ercolanesi. Ai tempi però non si favoleggiava neppure di quello che poi è parzialmente avvenuto, e cioè l’utilizzo di tecniche come la risonanza magnetica o la tomografia a raggi X per provare a leggere i papiri senza srotolarli. In effetti, dicevo, qualche risultato si è ottenuto, e si è pure prodotto un software che consente di “srotolare virtualmente” le immagini in 3D ottenute dalla tomografia, anche se talora la differenza cromatica tra il papiro carbonizzato e le tracce di inchiostro è troppo lieve perché si possa davvero decifrare il testo.
E ora arrivo alle ultime, molto incoraggianti, novità. Brent Seales, docente di informatica dell’Università statunitense del Kentucky, insieme con i suoi colleghi della Digital Restoration Initiative, si è ingegnato per provare a mettere l’intelligenza artificiale al servizio della decifrazione dei papiri, sviluppando un modello di apprendimento automatico in grado di rilevare le pur lievi differenze sulle superfici dei papiri: in poche parole, qualcosa che (qualcuno inorridirà per tanta superficialità dello scrivente…) “riconosca” le lettere in modo più sicuro.
La Vesuvius Challenge
Ma poiché l’intelligenza artificiale senza quella umana non va da nessuna parte, si è pensato di andare oltre la teoria, e mettere in pratica tutto ciò “chiamando alle armi” chiunque volesse mettersi alla prova. È nata così la Vesuvius Challenge, una competizione globale – finanziata da imprenditori della Silicon Valley (come Nat Friedman e Daniel Gross) e non solo – che offre generosi premi agli eventuali “decifratori” di alcuni papiri sottoposti alla pubblica attenzione e consultabili online. Qualcuno si è stupito, addirittura indignato, per questa “mercificazione” della ricerca scientifica. Certo, l’idea che tra i mecenati ci sia anche Elon Musk (e ho detto tutto…) potrebbe portarci a formulare conclusioni affrettate, e magari ipotizzare che il buon Elon – fallito l’incontro con Marc Zuckerberg in veste di gladiatore – voglia volare verso Marte su una nave spaziale e portare ai marziani (che ovviamente non si aspettano altro!) la decifrazione dei Papiri Ercolanesi… Eppure credo che la posta in gioco sia così alta da poter rispondere a queste obiezioni con la vecchia massima del leader cinese Deng Xiaoping, cioè: «Non importa se il gatto è bianco o nero, l’importante è che acchiappi i topi»! E poi – mi scuserete la banalità – il mecenatismo è una pratica diffusa fin dai tempi più antichi, senza la quale non avremmo tra l’altro la maggior parte dei nostri capolavori rinascimentali.
“Porpora” e premi
Ho comunque avuto anch’io il mio il mio momento di stupore, poiché – abituato ad una certa riservatezza (uso un eufemismo) dell’ambiente accademico – mi sono meravigliato della messa in comune da parte del team dell’Università del Kentucky di tutto il proprio il know how (dati, codici, metodologie…); segno, questo, di una concezione innovativa e globale della ricerca che non può che essere vista con favore.
Ma allora, qualche «topo» è stato davvero preso? Direi proprio di sì, se nel 2023 è stata assegnata la prima parte del montepremi totale di 1 milione di dollari a due concorrenti: Luke Farritor, studente universitario americano, e Youssef Nader, uno studente egiziano laureatosi in Germania; costoro hanno infatti individuato – autonomamente – alcune lettere di un rotolo papiraceo intatto, tra cui la parola completa πορφύραc (porfyras, cioè «porpora»). Più recentemente i due, insieme con lo studente svizzero Julian Schilinger, si sono aggiudicati un ulteriore premio (per un totale di 700mila dollari) per avere decifrato circa il 5% di un rotolo di argomento filosofico epicureo. La sfida comunque continua, con nuovi obiettivi e nuove ricompense: il principio che la sostiene è la tecnica della gamification, e cioè – in parole povere – l’idea che si stia partecipando a un ricchissimo e avvincente videogioco, che nel 2024 dovrebbe portare a leggere circa il 90 % dei testi finora proposti.
Enormi, future prospettive culturali
Insomma, chi – come me – ha superato i sessanta e ha una formazione culturale più tradizionale potrebbe (e forse il condizionale è un eccesso di zelo) sentirsi escluso da questa nuova frontiera di studio. È però vero che dopo la decifrazione serviranno una lettura attenta, un’edizione critica, un commentario e – perché no? – qualche traduzione dei “nuovi” testi; e qui potranno essere utili, questa volta, il “nostro” know how e la nostra esperienza di classicisti. Ad esempio, ci vorrà qualcuno che prima o poi spiegherà se quella «porpora» cui si fa riferimento sia davvero il colorante per i tessuti estratto dal murice, oppure se il termine sia stato usato metaforicamente, poiché – allora come oggi – alludeva al potere e alla regalità.
Ci sarà dunque, probabilmente, più possibilità di studio per tutti e un profondo rinnovamento di alcune discipline (filologia e filosofia antica in primis), nonché un’espansione dell’utilizzo dell’intelligenza artificiale nell’ambito di altri settori dell’antichistica. Infatti anche l’epigrafia greca e latina (discipline con le quali ho una lunga consuetudine) stanno già realizzando importanti sperimentazioni in tal senso: di particolare rilievo il progetto Ithaca, esito della collaborazione tra Deep Mind di Google, l’Università di Venezia Ca’ Foscari, l’Università di Oxford e l’Università di Atene, che ha già dato buoni risultati nell’integrazione di parti mancanti di iscrizioni greche attraverso l’uso di reti neurali addestrate su grandi data base epigrafici.
Quest’ultima frase mi fa ancora una volta sentire utile almeno un po’, dato che da molti anni collaboro con responsabilità di supervisione alla realizzazione del più aggiornato data base epigrafico latino italiano, cioè EDR Epigraphic Data Base Roma. Conoscendo la fatica, l’abnegazione, il rigore scientifico che chi ci lavora mette in ogni cosa (dall’indagine sul campo, alla ricerca bibliografica, alla compilazione delle schede) posso così affermare come dietro queste importanti innovazioni “artificiali” (si fa per dire) ci sia (e ci sarà sempre) l’umanissimo sudore di chi ha fotografato un monumento iscritto in un caldo pomeriggio estivo come pure il sonno arretrato di chi ha passato qualche notte a trascriverne il testo, schedarlo e renderlo così di pubblica consultazione.
E ora un’ultima osservazione, che ancora una volta mette realtà e artificio a confronto. Il magnate statunitense Paul Getty, petroliere collezionista d’arte e amante dell’archeologia, ha costruito proprio sull’ipotetica pianta della famosa villa ercolanese “dei papiri” la propria villa californiana di Malibu, divenuta dal 1974 sede del notissimo Getty Museum. Se fosse ancora vivo, credo, non mancherebbe qualche suo finanziamento alle ricerche di cui abbiamo parlato.