Ovidio: la forza gentile di un classico

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Ho letto in parallelo, in questi ultimi giorni, due buoni libri: e questa è già di per sé una buona notizia. Uno è un romanzo, che Sellerio ha di recente ripubblicato (2017), e cioè “Il morto in piazza”, della bravissima Ben Pastor, della quale già ho scritto su queste colonne. L’altro è un agile saggio di Nicola Gardini, “Con Ovidio. La felicità di leggere un classico”, Garzanti 2017; anche di Gardini, tra l’altro, ho già recensito un volume uscito lo scorso anno, e cioè “Viva il latino”. 
La statua di Ovidio a Sulmona.

Due autori, due libri, un classico
Si tratta di due autori – pur nella diversità dei generi – eleganti e raffinati. L’una è una scrittrice che sa dare ai suoi romanzi di guerra, che vedono protagonista l’ufficiale nazista Martin Bora, quello spessore culturale, quel tono “letterario” (e per me è un complimento!) che li ingentilisce e li rende piacevolmente “colti” (senza nessuna spocchia, però). L’altro, pur essendo un accademico, scrive in modo chiaro e coinvolgente; ed è una cosa questa – complice il successo dei suoi libri – che qualcuno non gli perdona, riservandogli recensioni velenose: ma, si sa, il mondo dei classicisti è troppo spesso litigioso e diviso, e intanto i buoi scappano dalla stalla… (cioè: le discipline classiche rischiano la marginalizzazione).

Il lettore a questo punto si starà chiedendo con piena ragione dove voglio andare a parare; la mia risposta, però, non tarda a venire: voglio ricordare come Ovidio, l’autore di cui Gardini parla nel suo saggio, sia anche il “filo conduttore” spirituale del romanzo della Pastor. Proprio quell’Ovidio, le cui tristi opere dall’esilio (e non solo…) Gardini analizza con partecipata sobrietà e traduce con grande bravura, è una sorta di “nume tutelare” dell’avvocato Luigi Borgonovo, un monzese antifascista che da anni è al confino nell’immaginario paese abruzzese di Faracruci. Paese, questo, dove il tenente colonnello Martin Bora – la creatura prediletta di Ben Pastor – deve recarsi per cercare di recuperare alcune lettere che Mussolini avrebbe consegnato a Borgonovo prima di lasciare la prigionia di Campo Imperatore: siamo infatti nel giugno 1944.

Martin Bora e l’avvocato Borgonovo
Borgonovo legge e rilegge Ovidio, identificando se stesso nel poeta latino esiliato da Augusto nell’8 d.C. e Faracruci nella fredda e lontana Tomi. Ma anche Bora conosce il poeta latino, i cui Tristia aveva letto in Russia qualche anno prima, e che pertanto sono oggetto di un interessante scambio di battute con Borgonovo, che vale la pena di riportare (pp. 76-77):

– [Bora]: Ero abbastanza giovane e arrogante da apprezzare – e disgraziatamente fare miei – i versi dove Ovidio sostiene che la gloria di Ettore fu possibile solo attraverso la tragedia della sua patria. 
– [Borgonovo]: E ora?
– [Bora] Tre anni dopo aver messo piede in Ucraina, si potrebbe dire di me quel che Ovidio disse dei suoi peccati giovanili, che furono dovuti a stultitia, imprudentia, error e mai a timor. Mai. E sembra che nessuna gloria valga la pena di una tragedia nazionale

Lascio ai lettori il piacere di addentrarsi da soli nell’intricata vicenda bellica – pubblica, ovviamente… – nella quale si innesta un altrettanto intricato doppio omicidio privato; non tralascio però di sottolineare l’incredibile forma di humanitas che si viene a instaurare tra un militante antifascista e un alto ufficiale nazista, il cui credo sembra quasi vacillare quando menziona con tono dolente la tragedia nazionale.

La lezione di Ovidio
Il tutto avviene con la complicità, con la forza gentile, di un “classico” come Ovidio, e sembra quasi che i due nemici abbiano letto ciò che scrive Gardini a p. 21 del suo libro:

Leggendo un classico, compiamo il gesto più civile che un essere umano possa compiere: diamo ospitalità allo straniero; gli offriamo la nostra casa e ci mettiamo ad ascoltarlo. E lo straniero non viene senza doni. […] Negargli l’ascolto significherebbe favoreggiare quella violenza irrazionale – ma spesso irrazionale – che nei secoli ha disperso i quattro quinti della letteratura antica e che oggi, in vario modo, continua ad agire tra noi e nullificherà, se non ci opponiamo, molte delle nostre cose migliori. Noi dobbiamo opporci a quella violenza. Accogliendo l’antico, faremo simbolicamente resistenza a qualunque sopruso.

Borgonovo e Bora sembrano così sapere che davanti a un “classico” non ci si può sparare, e nemmeno odiare o insultare, perché è proprio il comune affetto nei suoi confronti che lo impedisce: rispettare lo straniero di duemila anni fa ci insegna anche a rispettare gli stranieri dei nostri tempi.

Ed è bello che a evitare la violenza – in questo caso – sia l’amore per Ovidio, un autore tradizionalmente considerato leggero e “superficiale”, del quale invece il libro di Gardini ha mostrato la complessità “metamorfica”; non a caso il suo capolavoro sono le Metamorfosi, un poema – scrive Gardini – basato sull’incertezza, la meraviglia, l’approvazione del cambiamento, valori lontani dalla mentalità augustea, e cause – insieme con la presunta “immoralità” dell’Ars amatoria – della relegatio senza rimedio del poeta di Sulmona.

Un autore, Ovidio, il cui dramma umano si può sintetizzare nel celebre verso scritto nella barbarica Tomi, e cioè barbarus hic ego sum quia non intellegor illis (“qui il barbaro sono io, perché nessuno mi capisce”, Tristia, 10, 37). Sì, qualche volta ci capita (a me, almeno, capita: sarà l’età che avanza?) di sentirci “barbari”, “stranieri”, nel professare il valore della cultura in un mondo che va in un’altra direzione e che non ci capisce. Insomma: ciascuno di noi ha – prima o poi – la sua Tomi, ma certamente libri come quelli dei quali ho parlato possono contribuire a rendere i nostri Tristia un po’ meno tali.

Un ultima considerazione: Ovidio era di Sulmona, quindi abruzzese come i nonni di Ben Pastor; Gardini è nato nel vicino Molise. Inoltre sia Ben Pastor che Gardini vivono gran parte del loro tempo lontano dall’Italia: negli USA la prima, a Oxford il secondo. Mi viene allora da pensare che per capire appieno Ovidio sia utile, se non necessaria, una qualche prolungata distanza dalla propria terra d’origine.

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Mauro Reali

Docente di Liceo, Dottore di Ricerca in Storia Antica, è autore di testi Loescher di Letteratura Latina e di Storia. Le sue ricerche scientifiche, realizzate presso l’Università degli Studi di Milano, riguardano l’Epigrafia latina e la Storia romana. È giornalista pubblicista e Direttore responsabile de «La ricerca».

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