Nel secondo dopoguerra il fumetto aveva avuto un grande sviluppo in Giappone. Nel 1976 si era costituito un gruppo internazionale, Progetto Gen, per diffondere nelle scuole la storia di Gen dai piedi scalzi, di Keiji Nakazawa (tradotta in italiano con il titolo di Gen di Hiroshima), la drammatica esperienza della bomba atomica vissuta dall’autore quand’era bambino.
Ormai i manga sono così diffusi che vengono utilizzati anche per far giungere particolari contenuti al pubblico più giovane. È il caso, ad esempio, del libro Che santo è? Iconografia dei santi in stile manga, a cura di Paolo Linetti, Studio Ebi, Brescia 2009, in cui le immagini dei santi, destinate soprattutto ai ragazzini, sono comunque rappresentate su solide basi iconografiche e accompagnate da schede scritte da esperti.
Per conoscere la situazione attuale, incontriamo nuovamente Alessandro Del Linz, membro della redazione di Comicus e precedentemente collaboratore di Mangaitalia, che già ci ha accompagnato alla scoperta del mondo dei Supereroi (Nuvole di carta #2 – Arrivano i Supereroi).
Che impatto ha avuto sul pubblico italiano, negli anni Novanta, l’arrivo dei primi manga e come sono stati accolti?
Negli anni Settanta e Ottanta erano già arrivati in Italia i cosiddetti anime. All’epoca non c’era però una vera e propria conoscenza del prodotto: erano semplicemente cartoni animati per ragazzi. Poi negli anni Novanta sono arrivati anche i fumetti dalla terra del Sol levante, conosciuti con il termine manga [漫画], e da quel momento sono cambiate molte cose. Inizialmente le pubblicazioni furono poche e vennero presentate da case editrici come Glénat e Granata Press e dai Kappa Boys.
Alcuni dei primi titoli ad arrivare in Italia furono la versione cartacea degli stessi cartoni animati che venivano trasmessi negli anni Ottanta in tv e che avevano fatto sognare una miriade di ragazzini, giusto per citarne un paio ricordiamo I Cavalieri dello Zodiaco e Ken il Guerriero. Di lì a poco fu una vera e propria invasione e il cambiamento fu tale che non si tornò più indietro: anni e anni di fumetti di produzione giapponese furono sdoganati e si riversarono nel nostro paese. Poco alla volta altre case editrici italiane si avvicinarono a questo mondo, avendo la possibilità di scegliere il meglio del meglio da un immenso catalogo di opere. I titoli pubblicati furono sempre di più e il pubblico italiano venne attirato, inizialmente, dai personaggi che in gioventù avevano conosciuto in televisione, per poi appassionarsi ed estendere le proprie letture verso altre opere. Fu un vero e proprio boom. Gli appassionati italiani di fumetto, divisi più che altro fra letture supereroistiche e italiane, ora avevano una nuova scelta dall’appeal alto e dal prezzo popolare. Fu come la scoperta di un nuovo mondo dalle risorse preziose e numerose. Per la cronaca, ci furono alcuni casi di pubblicazione di manga in Italia che possiamo definire pionieristici, antecedenti gli anni Novanta, da parte di Fabbri Editore e Garzanti, ma si trattò solo di casi isolati.
Qual è la caratteristica che distingue maggiormente i manga dagli altri fumetti?
Senza ombra di dubbio il senso di lettura da destra verso sinistra: in questo modo si comincia a leggere da quello che per noi italiani sarebbe la fine del volume arrivando a quello che consideriamo l’inizio. Si tratta di una caratteristica che può confondere all’inizio, ma bastano poche pagine per prendere dimestichezza.
Poi ci sono altre particolarità che caratterizzano i manga, le quali però possono essere comuni ad altre tipologie di fumetto. Nella quasi totalità dei casi sono in bianco e nero e sono serializzati su rivista, per poi essere raccolti in volume (tankobon 単行本) se hanno successo. Sono ideati e realizzati dall’autore (mangaka 漫画家), che di solito si occupa sia dei testi che della parte grafica. Quando la sua opera, che può andare avanti per anni, volge al termine, di solito il mangaka si dedica a un nuovo progetto: diversamente dunque da quanto accade alle testate supereroistiche americane, ad esempio, o ad altre opere seriali, in cui la storia continua ininterrottamente con lo stesso eroe come protagonista, ma cambiando gli artisti nel corso del tempo.
E poi c’è la tradizione. Molti manga sono radicati nella tradizione giapponese, presentando la storia, le leggende e le usanze nipponiche. Tanti lettori italiani sono stati attratti da questa caratteristica, che li ha fatti appassionare a una cultura così diversa dalla nostra.
Ovviamente i manga hanno anche uno stile diverso [rispetto ai fumetti di altri paesi, N.d.r], che risalta in special modo nella tecnica di narrazione e di impaginazione, ma esistono così tanti manga, diversi tra loro per tematiche e tecniche di disegno, che è difficile parlare di un vero e proprio disegno “in stile manga”.
Altro punto importante è che di solito i dialoghi sono brevi, e si tende più a mostrare che a spiegare. Il dialogo viene messo in secondo piano rispetto al movimento che, grazie all’utilizzo di diverse inquadrature quasi si trattasse di un film, dona dinamicità e una perfetta comprensione delle scene e della storia anche senza l’ausilio di didascalie o dialoghi. In questo modo diventa quasi una sorta di fumetto-animato, riprendendo alcune caratteristiche prettamente cinematografiche. Osamu Tezuka è stato un pioniere in questo campo.
In che modo Osamu Tezuka ha influito sulle tecniche di realizzazione dei manga?
Nel secondo dopoguerra in Giappone, durante il periodo di occupazione americana, ci sono stati molti prodotti occidentali che hanno influenzato gli artisti giapponesi, in special modo i film e i cartoni Disney. Tezuka era un ammiratore di queste opere e ha ripreso le caratteristiche dell’animazione trasportandole nei suoi manga. È stato quindi un pioniere della tecnica cinematografica adattata ai fumetti, rappresentando le vignette come immagini di un film e creando una sorta di dinamismo visivo che ha influenzato i mangaka negli anni a venire.
Tezuka ha inserito anche la caratteristica dei cosiddetti “occhioni” prendendo ispirazione da uno dei suoi film d’animazione preferiti: Bambi. Sempre ispirandosi a questo film ha realizzato Kimba, il Leone Bianco. Da notare, per curiosità, che più di trent’anni dopo la stessa Disney ha preso ispirazione (anche se molti parlano di plagio) dai lavori di Tezuka realizzando Il Re Leone.
Ci hai parlato dell’ordine di lettura da destra a sinistra. Ma per quale motivo, anche se tradotti, i manga mantengono l’impaginazione tradizionale?
Non tutti i manga pubblicati in Italia mantengono l’ordine di lettura originale. Alcuni vengono ribaltati, “occidentalizzati”, direbbe qualcuno – in questo modo le tavole risultano capovolte come se le guardassimo riflesse in uno specchio. Soprattutto all’inizio, negli anni Novanta, c’era questa abitudine. Qualcuno colorava anche le pagine per farli assomigliare di più a una pubblicazione occidentale. Con il passare del tempo invece si è presa sempre più consapevolezza dell’origine del prodotto, e anche il lettore è stato educato a leggere i manga nell’impaginazione originale. Senza contare il fatto che c’è meno lavoro da fare per l’editore se si evita il passaggio di ribaltamento. In più, ribaltare le tavole del manga comporta delle conseguenze. Come prima cosa si ammira un’opera non come è stata creata dall’artista, bensì al contrario.
Oltre a questo, nell’adattamento si verificano altri problemi che si possono ripercuotere sulla storia. Facciamo un esempio per essere più chiari. Immaginiamo un manga storico dove, abitualmente, dei guerrieri brandiscono la spada con la mano destra: in un manga ribaltato saranno quasi tutti mancini. Qualsiasi informazione riguardante lo spazio sarebbe errata, e a volte bisognerebbe mettere mano anche ai testi originali modificandoli. Un samurai è stato ferito al braccio destro e qualcuno gli chiede “Come sta il braccio destro?”: per miracolo, nel disegno ribaltato il braccio colpito è il sinistro! Allora, o cambiamo il testo, o manteniamo l’ordine di lettura come nell’opera originale. Non per niente in passato sono stati frequenti gli “errori”, visto che la traduzione letterale non combaciava con l’immagine capovolta.
A chi si rivolgono preferibilmente i manga e cosa raccontano?
Per rispondere in modo semplice e chiaro si può dire che si rivolgono a tutti. Al contrario di alcuni paesi, dove il prodotto fumetto è visto come un passatempo per ragazzini, in Giappone c’è una cultura della nona arte completamente diversa. Così si possono trovare manga di tutti i generi per qualsiasi tipo di lettore. Senza entrare troppo nello specifico, possiamo dire che ogni genere è caratterizzato da elementi particolari ed è chiamato in un certo modo. Un manga per ragazzi, in cui domina l’azione in chiave spesso fantastica, è catalogato con il nome di shōnen manga [少年漫画]. Gli shōjo manga [少女漫画] sono invece indirizzati a un pubblico di ragazze, e l’elemento preponderante è quello amoroso. Poi ci sono i seinen [青年漫画], destinati a un pubblico maturo, dove vengono affrontate tematiche più adulte e profonde. Esistono tanti altri generi, e a volte gli stessi elementi che caratterizzano un genere si mescolano con quelli di un altro. In più, nonostante abbiano un target di pubblico specifico, è comunissimo vedere ragazze che leggono shōnen, o al contrario ragazzi che leggono shōjo, e così via anche per gli altri generi.
Cosa raccontano? Raccontano praticamente di tutto, e il limite è solo la fantasia dell’autore.
Hanno avuto riflessi nella produzione occidentale?
Le influenze più marcate dei manga si possono trovare soprattutto nei giovani autori occidentali, che sono cresciuti in un contesto in cui la produzione a cui hanno potuto attingere è stata molto più vasta e varia rispetto a quella offerta agli autori del passato. Frank Miller già negli anni Ottanta aveva preso molti elementi della tradizione nipponica mescolandoli a quella occidentale.
Oggi si verificano molte più collaborazioni con autori originari di altri paesi, ad esempio la Marvel ha molti disegnatori europei, tra i quali diversi italiani. A volte vengono realizzati veri e propri progetti in cui un autore di un certo paese si mette all’opera su un’icona di un’altra scuola di fumetto, come in Wolverine: Snikt!, serie che ha per protagonista il mutante canadese disegnata e scritta dal mangaka Tsutomu Nihei.
Il mondo del fumetto è un mondo in continua evoluzione e produzioni di diverse nazioni si sono influenzate a vicenda pur continuando a mantenere gli stilemi classici. I grandi autori prendono spunto dalle migliori opere in circolazione, presenti e passate, facendo propri i punti di forza senza badare alla nazionalità. Una sorta di varietà genetica del mondo della nona arte. Un’evoluzione che mescola vari elementi vincenti e che porta il fumetto a perfezionarsi, a diventare qualcosa di diverso, permettendo di creare opere innovative, ma con solide basi radicate nel passato.
Qual è il rapporto autore-fumetto in Giappone, e quali sono gli autori più importanti e più diffusi?
Come dicevo parlando delle caratteristiche dei manga, il mangaka è di solito un autore completo che si occupa a 360° della sua opera. Si occupa dei disegni, dei dialoghi, della creazione della storia e di tutto il resto. Può avvalersi di collaboratori, ma è lui la mente principale. I mangaka lavorano su opere di loro creazione e non su personaggi inventati da altri, e spesso le serie, se di successo, continuano per anni e anni, legando il nome dell’artista in modo indissolubile a quello della sua opera. C’è chi riesce a essere regolare nelle pubblicazioni, presentando in modo costante gli episodi, e c’è chi invece fa attendere mesi se non anni i suoi lettori per svelare il prosieguo della storia.
Considerando la vastità di titoli delle pubblicazioni giapponesi è difficile citare il nome degli autori più importanti e più diffusi, si rischierebbe sicuramente di scordare qualcuno. Abbiamo già nominato Osamu Tezuka (Kimba, il Leone Bianco, Astro Boy), e non si può non citare Hayao Miyazaki (Nausicaa della Valle del Vento, Il mio vicino Totoro, Porco Rosso tra gli altri), Go Nagai (Devilman, UFO Robot Goldrake). Altri autori che hanno avuto successo e sono molto diffusi soprattutto in Italia sono Akira Toriyama, con il fantastico Dragon Ball, Eiichiro Oda con il piratesco One Piece, Takehiko Inoue con lo storico Vagabond e il manga sul basket (ma non solo) Slam Dunk, Katsuhiro Otomo con il suo fantascientifico Akira, Kentaro Miura con il dark-fantasy Berserk, Naoki Urasawa con gli imprevedibili Monster e 20th Century Boys.
Si potrebbe andare ancora molto avanti con l’elenco, nella consapevolezza di aver saltato qualche autore sia per limiti di spazio che di memoria corta. Ad ogni modo, chiunque volesse avvicinarsi a questo mondo, con i soli nomi appena citati, avrebbe già un bel po’ da leggere.