Mys di Taranto faceva il pugile. Era stato un ragazzone grande e grosso, sicuramente di famiglia aristocratica (solo i nobili facevano sport, potendo permettersi di far lavorare altri al proprio posto), con l’aggravante di venire da una città ricchissima, coltissima e i cui abitanti avevano uno spiccato gusto per la ridondanza (era la capitale dell’oreficeria antica) e gli eccessi (pare che fosse terra di donne particolarmente spregiudicate). Era però quello che un neologismo non del tutto insanamente maschile e virilista definisce sfigato.
Perse tutte, ma proprio tutte le competizioni cui partecipò in carriera: Pitici, Nemei, Istmici, Olimpici – un disastro! La “nobile arte” detta boxe si praticava allora indossando sul dorso e sulle articolazioni delle mani i cesti, delle fasce di cuoio rigido imbottite di lana: un’arma formidabile per riempire la faccia dell’avversario di ferite lacero-contuse ed ematomi. Mys giunse a 40 anni senza avere mai vinto niente, forse a Taranto lo prendevano anche in giro, con quella faccia piena di pugni e tutti i sogni finiti male. Il suo volto era un po’ scimmiesco, ridotto a una maschera tragica e orrida da cicatrici, tumefazioni, fratture di zigomi, mandibola, setto nasale mal ricomposte, il labbro superiore infossato perché gli incisivi superiori erano stati spezzati da tempo. Un orecchio era completamente chiuso, malamente cicatrizzatosi il tessuto attorno al condotto uditivo, devastato dai colpi; l’altro era messo poco meglio. Il corpo era un fascio di muscoli ancora tonici, di nervi ancora reattivi. La barba ne diceva l’età e nascondeva altri segni delle sue sconfitte.
La sua fotografia in bronzo a grandezza naturale fu fusa dal più grande scultore antico di tutti i tempi, Lisippo, l’icon-maker ufficiale di Alessandro Magno e l’amico di Aristotele, che a lui dovette l’intuizione del kairòs. Mys di Taranto ebbe la sua statua in bronzo nella sua città, forse nell’agorà. Nel 272 a.C. è probabile che i Romani l’abbiano portata a Roma come bottino di guerra. Fu ritrovata nelle Terme di Caracalla, soggetto ideale per un luogo di gaudenti e palestriti: è nota come “Pugile delle Terme di Caracalla”, infatti, ma Paolo Moreno, un grande storico dell’arte antica, lo ha riconosciuto con certezza, a dispetto di increduli, dubitosi di professione e micchi.
Lisippo lo aveva ritratto nell’istante – kairòs rivelatore di verità di zolliana densità – in cui seduto, sfinito, stordito, volgeva il viso verso i giudici perché, sordo com’era diventato, doveva leggerne il labiale per conoscere il verdetto. Erano le Olimpiadi del 340 a.C. o giù di lì. Mys le vinse. Aveva 40 anni.
Da quel giorno nacque l’espressione “fare come Mys a Olimpia”, per significare “arrivare al successo quando è ormai dato per impossibile”.