Il documentario ha riscosso successo, tanto che è stato nuovamente programmato in molte sale cinematografiche. Personalmente mi aspettavo qualcosa di molto diverso. Mi immaginavo che Paolucci avesse più spazio e ci accompagnasse con la sua competenza e la sua piacevole conversazione in una visita ai Musei Vaticani. Musei al plurale, perché destinati per volontà dei papi a conservare tutta “l’umana artisticità”. Ed è sicuramente questo il filo conduttore scelto per il documentario: l’esaltazione dell’uomo creatore attraverso alcune delle opere più rappresentative conservate nei Musei.
Il Laocoonte emerge dalla terra e dalla nebbia del tempo, come quando fu scoperto nel 1506 sull’Esquilino. L’effetto dei particolari in 3D della scultura mi fanno ben sperare sul buon utilizzo di questa tecnologia – talvolta abusata – nel corso del documentario. Così come spiccano i dettagli sulla lorica dell’Augusto di Prima Porta, o pare di poter sentire la consistenza del marmo nel Torso del Belvedere, una delle sculture antiche più ammirate dagli artisti di tutti i tempi e la cui influenza è ben visibile nelle potenti anatomie realizzate da Michelangelo.
Dal calco della giovanile Pietà di Michelangelo conservato nei Musei Vaticani (eppure l’originale è poco lontano, nella Basilica di San Pietro), il film ci conduce alla Deposizione di Caravaggio, realizzata per la Chiesa Nuova (Santa Maria in Vallicella) di San Filippo Neri, oggi custodita nei Musei. Il documentario sottolinea come un particolare significativo – il braccio abbandonato di Cristo – possa viaggiare nel tempo ed essere ripreso da un artista all’altro: in questo caso, da Michelangelo a Caravaggio. Ma se volessimo andare indietro nel tempo, dovremmo rifarci ai bassorilievi antichi raffiguranti Il trasporto funebre di Meleagro, ripreso da molti artisti rinascimentali, fra cui Raffaello nel Trasporto di Cristo della pala Baglioni (1507) conservata nella Galleria Borghese di Roma; mentre dopo Caravaggio ritroveremmo ancora la formula del braccio abbandonato nella Morte di Marat di David, e siamo già nel 1793, o nel video Emergence di Bill Viola del 2002.
- Il Torso del Belvedere, Città del Vaticano, Museo Pio-Clementino
- Raffaello Sanzio, Pala Baglioni, 1507, Galleria Borghese, Roma
- Piero della Francesca, Il sogno di Costantino, 1458-1466, Basilica di San Francesco, Arezzo
- Bill Viola, Emergence, 2002
- Musei Vaticani 3D
Ma il passaggio in 3D dalla scultura alla pittura, sostenuto dalla produzione, è una forzatura. Se la scultura ne può acquistare in potenza e persino in materialità, la tecnologia 3D applicata alla pittura – che si tratti degli affreschi michelangioleschi della Cappella Sistina o delle Stanze di Raffaello – trasmette un forte senso di finzione. Mi viene da pensare ai libri pop up dei bambini, o al visore View Master di quand’ero piccola, con un dischetto di diapositive che permetteva una visione stereoscopica.
La tridimensionalità applicata alla pittura è fuorviante e toglie vigore alla sfida raccolta dai pittori di rappresentare la tridimensionalità su una superficie bidimensionale. Non da tutti i pittori, per altro. Se una riproduzione in 3D, per quanto infelice, potrebbe avere un qualche senso per pittori che hanno fatto della prospettiva il loro interesse principale – o la loro ossessione, penso a Paolo Uccello –, nulla ha a che fare con quegli artisti che non cercavano, o addirittura volevano negare la rappresentazione tridimensionale. Pericoloso, quindi, avventurarsi in interpretazioni tridimensionali di pittori contemporanei.
Il tempo scorre, sottolineato dal volare della polvere nell’aria, dalle variazioni degli elementi atmosferici, dalla presenza dell’acqua, dallo sbocciare di fiori in 3D, con un eccessivo compiacimento nell’utilizzo della tecnologia. Intermezzi che sono stati causa di delusione per alcuni spettatori, come scopro leggendo i commenti sulla pagina Facebook di Nexo Digital. Altro aspetto non molto gradito è la presenza (“inutile e noiosa”) dell’attore. Un unico attore a simboleggiare l'”artista”, l’uomo creatore e il gesto creativo, dal colpo di scalpello di Michelangelo all’atto pittorico di Caravaggio.
Non mi disturba la presenza dell’attore, funzionale al senso del documentario, ma scatto sulla poltrona del cinema quando sento definire La liberazione di San Pietro di Raffaello della Stanza di Eliodoro “il primo notturno” della storia dell’arte. La conquista della notte da parte dei pittori non è arrivata così, all’improvviso, con il genio di Raffaello. Gli artisti si erano già dovuti cimentare con la raffigurazione di scene bibliche ambientate nell’oscurità (la Natività, la Preghiera nell’orto degli ulivi, la Cattura di Cristo), accogliendo la sfida di rappresentare quel momento della giornata che limita o nega la visione e, quindi, la stessa pittura. Pensiamo ai notturni della pittura fiamminga o, per citare un esempio particolarmente significativo, al Sogno di Costantino di Piero della Francesca, parte del ciclo delle Storie della Vera Croce (1452-1466) di San Francesco ad Arezzo.
Con questa attenzione incentrata sui grandi protagonisti, l’idea che emerge dal documentario è quella dell’artista-genio e di un dialogo fra geni, punto di vista più adatto a un museo americano basato su highlights – capolavori estratti dal loro contesto –, piuttosto che alla situazione italiana, dove le opere di grande valore artistico, frutto dell’ingegno di straordinarie personalità, dialogano con un sorprendente patrimonio minore diffuso in tutto il territorio.
L’approccio emozionale proposto dal documentario è sottolineato dalla forte (a volte ingombrante) presenza della musica. Ed è proprio l’appello all’emozione l’elogio più frequente dei commentatori di Facebook, sicuramente rapiti dall’ingresso nella Cappella Sistina e dall’incalzante sequenza di particolari del Giudizio Universale. Questi lampi di emozione potrebbero così diventare lo spunto per approfondire una conoscenza appena accennata, e indurre negli spettatori il desiderio di andare (o di tornare) a visitare le collezioni vaticane, con curiosità e attenzione, perché, come ci ricorda Paolucci, i Musei Vaticani vanno percorsi lentamente.