Il museo, in questi anni, sta riconsiderando il proprio ruolo, le proprie pratiche, il proprio codice etico e la propria definizione per rispondere alle nuove sfide poste dai tempi: la sostenibilità e il cambiamento climatico, la decolonizzazione culturale, l’innovazione, il rispetto delle diversità e il rapporto con le comunità.
A queste sfide si è aggiunta anche quella rappresentata dalla pandemia del Covid-19, che ha costretto i musei a elaborare forme di gestione a distanza e a riproporsi online, con risultati più o meno positivi, per non perdere il contatto con i visitatori durante i periodi di chiusura e apertura contingentata.
Una riflessione di grande interesse riguarda il modo in cui i musei hanno iniziato a interrogarsi e a confrontarsi con il proprio passato coloniale, con gli oggetti esposti, con le modalità della loro acquisizione e con quelle della loro presentazione all’interno del percorso espositivo.
Uno strumento fondamentale in tal senso è il Codice etico dell’ICOM per i musei, codice deontologico di autoregolamentazione professionale che stabilisce valori e principi per i musei e il loro personale. Il codice è composto di otto princìpi suddivisi in vari articoli sulle pratiche da applicare nei musei:
- I musei assicurano la conservazione, l’interpretazione e la valorizzazione del patrimonio naturale e culturale dell’umanità.
- I musei conservano le loro collezioni a beneficio della società e del suo sviluppo.
- I musei custodiscono testimonianze primarie per creare e sviluppare la conoscenza.
- I musei contribuiscono alla valorizzazione, alla conoscenza e alla gestione del patrimonio naturale e culturale.
- Le risorse presenti nei musei forniscono opportunità ad altri istituti e servizi pubblici.
- I musei operano in stretta collaborazione con le comunità da cui provengono le collezioni e con le comunità di riferimento.
- I musei operano nella legalità.
- I musei operano in modo professionale.
Alcuni articoli affrontano esplicitamente il problema della provenienza degli oggetti esposti, stabilendo che i musei, prima di acquisire un oggetto offerto in vendita o in dono, in prestito o in scambio, devono accertare con ogni mezzo possibile che la sua provenienza sia lecita.
Questa attenzione riguarda anche gli oggetti acquisiti nel passato, tanto più che sono sempre più frequenti le richieste di restituzione di beni culturali giunti in un museo a seguito di conquiste coloniali e di oggetti sacri e resti umani rivendicati dalle comunità di origine.
Molti importanti musei occidentali, infatti, hanno arricchito le proprie collezioni grazie a politiche imperialistiche e colonialistiche. Uno degli esempi più noti di rivendicazione di opere d’arte viene dalla Grecia, con la richiesta di restituzione dei marmi del Partenone esposti al British Museum di Londra, dove giunsero al seguito del diplomatico britannico Lord Elgin all’inizio del XIX secolo, quando la Grecia era sotto la dominazione ottomana (Mauro Reali, Lord Elgin e il naufragio dei suoi marmi, 19 agosto 2021). Lo stesso Lord Byron si era fermamente opposto alla rimozione delle opere, denunciando l’azione di Elgin in The Curse of Minerva e nel secondo canto di Childe Harold’s Pilgrimage.
Dalla nascita del moderno Stato greco il paese ha chiesto più volte la restituzione dei marmi, sempre negata dal British Museum in quanto ormai considerati patrimonio universale. La battaglia per la restituzione delle opere fu fortemente sostenuta dall’attrice e politica greca Melina Mercouri anche nella sua veste di ministro della Cultura negli anni Ottanta del Novecento. Nell’ambito di un incontro organizzato dall’Oxford Union, nel 1986, dichiarò: «Dovete capire cosa rappresentano i Marmi del Partenone per noi. Sono il nostro orgoglio. Sono i nostri sacrifici. Sono il nostro più nobile simbolo di perfezione. Sono un tributo allo spirito democratico. Sono le nostre aspirazioni e il nostro nome. Sono l’essenza stessa della grecità».
Interessante anche scoprire che nel film Phaedra (Fedra), 1962, di Jules Dassin, futuro marito di Melina Mercouri, l’attrice incontra il protagonista maschile Anthony Perkins proprio al British, fra i marmi del Partenone (Elena Franchi, L’immagine del museo al cinema #3).
Proprio in relazione alle pressanti richieste della Grecia, sostenute da buona parte dell’opinione pubblica britannica e internazionale, nel 2002 diciannove importanti musei europei e nordamericani (fra cui il Louvre, l’Hermitage, il Prado, il Rijksmuseum di Amsterdam, i musei di Berlino, il Metropolitan Museum di New York, il Museum of Fine Arts di Boston, il Paul Getty Museum di Los Angeles e, per l’Italia, l’Opificio delle Pietre Dure di Firenze) hanno diffuso la Declaration on the Importance and Value of Universal Museums (Dichiarazione sull’importanza e il valore dei musei universali), per opporsi al rimpatrio di oggetti e collezioni nei paesi d’origine.
La Dichiarazione iniziava condannando il traffico illecito di beni culturali, ma sottolineando al tempo stesso che il sistema di valori del momento storico in cui erano stati acquisiti oggetti e opere era completamente diverso da quello contemporaneo, e ricordando che la presenza di quelle opere nei musei aveva permesso a tutto il mondo di conoscere la grandezza delle civiltà che le avevano create. Per i firmatari, la restituzione dei marmi poteva rappresentare un pericoloso precedente anche per altri musei, che rivendicavano il proprio ruolo nel promuovere la conoscenza e la reinterpretazione degli oggetti esposti, ormai entrati a far parte del patrimonio culturale della nazione che li ospitava.
Fra le varie iniziative per la restituzione dei marmi alla Grecia possiamo citare l’International Association for the Reunification of the Parthenon Sculptures, nata nel 2005 dall’incontro fra dodici associazioni internazionali, e la campagna online Bring them back che si propone di raccogliere 1.000.001 firme per esporre la questione al Parlamento europeo.
Nel maggio 2020 la Grecia ha avanzato una nuova richiesta di restituzione dei marmi, sostenuta dall’International Association for the Reunification of the Parthenon Sculptures e dal ministro della cultura greca, l’archeologa Lina Mendoni. Come ha ricordato nell’occasione Lina Mendoni, il Museo dell’Acropoli è stato creato proprio per accogliere tutti i reperti archeologici dell’area.
La posizione della Gran Bretagna, però, non è cambiata, e Boris Johnson ha dichiarato quest’anno che il paese non intende restituire i marmi alla Grecia, in quanto legalmente acquisiti dal British Museum in base alle leggi dell’epoca. Da parte sua, il British, sottolineando il suo ruolo di world museum, espone le proprie ragioni direttamente sul suo sito.
Se dal punto di vista legale la Grecia non sembra avere molte possibilità, la sensibilità contemporanea nei confronti del contesto originario delle opere e della restituzione del patrimonio culturale ai paesi di origine continua ad alimentare un acceso dibattito.
(Continua)