Magnum alterius spectare laborem

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Il numero 23 de «La ricerca» parla di benessere e malessere nella scuola cross-Covid; salute mentale e giovani persone; dati del rapporto UNICEF; valutazione, bullismo, disturbi specifici dell’apprendimento; carriera alias, e le poesie di Massimo Gezzi. L’editoriale.

Ci poteva essere momento migliore (o peggiore, a seconda dell’accento che si vuol dare alle cose) per parlare di benessere a scuola?

Benessere come auspicio, o proposito, o antidoto al malessere trasudante da ogni mattone di aule studio in cui si sfregia, si molesta, si abborda, si bullizza, si deride, si scazzotta… tutto quasi sempre in favore di videocamera.

A scuola si sta male, sembra. E tanto.

Leggevo l’intervista a una psicologa che sostiene essere cresciuto del 70% il rischio di suicidio nei corridoi scolastici. Non so come interpretare il dato: 70% in più rispetto a cosa? A quando?

E come si quantifica il rischio? Intendo dire: posso fare statistica dei suicidi avvenuti e confrontarli con quelli passati. Ma come faccio a contare quelli solo immaginati, o desiderati, o minacciati senza essere giunti (fortunatamente) a compimento? E se il rilevamento misurasse invece soprattutto la maggiore sensibilità verso il fenomeno? Sarebbe una buona notizia (significherebbe che oggi, più che in passato, si monitorano i segnali di pericolo), ma non abbastanza da eliminare del tutto l’apprensione che provoca il crudo fatto che di tentazioni suicide si stia parlando. A scuola!

Noi de «La ricerca», quando in primavera abbiamo deciso l’argomento di questo numero, non immaginavamo un tale scoppiettante inizio di anno scolastico. Eravamo alla fine delle reclusioni pandemiche e ci aspettavamo che il ritorno alla normalità potesse essere foriero di tanti sospiri di sollievo e qualche disagio. Ci aspettavamo, soprattutto, che gli effetti del forzato isolamento imposto a tanti giovani e adulti potessero diventare un problema da gestire, alla ricerca di possibili mediazioni tra le nuove insicurezze e le incontrollabili esuberanze figlie della pandemia.

Beh, sembra che “ci abbiamo preso” al di sopra (o al di sotto, sempre per l’accento…) delle nostre aspettative. O meglio, e più probabilmente, sembra che abbiamo sottovalutato gli effetti nefasti del periodo su una delle due componenti: quella che immaginavamo più forte e strutturata. Come interpretare, altrimenti, le molestie della dirigente al ragazzo, la ciocca di capelli tagliata alla ragazza, la birra offerta dal docente alla minorenne, l’invito a denudarsi rivolto dall’insegnante alla studentessa, il commento omofobo rivolto al ragazzo supposto gay («la tua compagna è così sexy da farti cambiare sponda!»), il pugno nello stomaco dato dal giovane prof al ragazzo «scemo» (così, testualmente, la madre della “vittima”)?

Protetto dalla lontananza fisica e temporale che mi separa dal mio antico, amato mestiere, guardo ai miei ex colleghi con il misto di compassionevole sollievo suggerito da Lucrezio in un celebre incipit: «Bello, mentre la tempesta infuria sul mare aperto, standosene a terra, guardare l’immane fatica degli altri…».


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Sandro Invidia

Direttore editoriale Loescher.

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