Ma davvero siamo tutti realisti?

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Il libro di Franca D’Agostini, Realismo? Una questione non controversa (ne ho già parlato qui), pare scritto apposta per aprire un nuovo dibattito su cosa voglia dire “realismo”. Per questo, sarebbe stato forse meglio aggiungere “per ora” al sottotitolo. Rispetto al passato, il libro costituisce un nuovo evento nella controversia sul realismo, in barba al titolo. Ce ne si rende conto se si è letto in questi ultimi anni anche solo qualcosa del dibattito sul nuovo realismo, come è probabilmente capitato al mio lettore.

 

Del resto, Il caso nuovo realismo di Raffaella Scarpa, nel suo bilancio, parla di più di mille contributi tra stampa, radio e web usciti in due anni (8 agosto 2011 – 8 agosto 2013, cfr. p. 15). Come si fa dunque a dire che il realismo non è questione controversa, visto che i molti contributi sono tra loro variamente in polemica? Per parte mia, ho poi assistito di persona al “duello cavalleresco” udinese tra Maurizio Ferraris e Pier Aldo Rovatti, organizzato da “Vicino/lontano” nel maggio 2012 e sono perciò un testimoniare oculare che la questione è controversa. Come interpretare allora la tesi (boutade?) della D’Agostini?

Mi pare che la cosa si spieghi, osservando la definizione di realismo sulla quale l’autrice si appoggia. Si articola in tre tesi: “1. qualcosa è reale, o anche: esistono fatti; 2. c’è una sola descrizione vera dei fatti; 3. possiamo a volte formulare descrizioni vere dei fatti e riconoscere come vera o falsa una data descrizione” (p. 166). A non accettare nessuno dei tre si è nichilisti. Non è poi possibile accettare 2 e 3, ma non 1. Infine, accolto 1, si è ineffabilisti se si rifiuta solo 3 (e forse 2), e realisti relativisti se si rifiuta solo 2. Questo è il quadro delineato dall’autrice. Assumo che per D’Agostini gli ineffabilisti siano comunque realisti, confortato da alcuni passi in cui ciò pare ammesso implicitamente (non trovo un passo in cui l’autrice lo dica esplicitamente, ma forse m’è sfuggito). Sembra dunque che basti dire che qualcosa è reale per essere realisti. Messa così, è ovvio che il realismo smetta di essere una questione controversa. Ciò avviene però unicamente perché D’Agostini intende il realismo in modo tale che ben difficilmente, stando alla sua comprensione, ci si possa non dire realisti. Chi infatti si sognerebbe di asserire seriamente che non ci sono fatti? Beh, a dire il vero qualcuno c’è, ma sono posizioni estreme e facili da neutralizzare. Insomma, D’Agostini non riconosce il senso e forsanche l’esistenza di un dibattito tanto importante, solo perché ha una comprensione troppo debole del realismo. Per lei quello che si è svolto è un dibattito in cui tutti erano d’accordo, forse senza rendersene conto. Il “forse” è d’obbligo per il sospetto che l’autrice insinua: «lo strepito sul “nuovo realismo” […] è un’abile mossa per far proseguire il vecchio, spacciandolo per nuovo» (p. 45). D’Agostini probabilmente ha in parte ragione, ma non mi sembra che la cosa sia liquidabile dicendo che è tutta una farsa. Ci sono delle ragioni teoretiche per pensare che dietro ai “più di mille contributi” in due anni ci sia della sostanza.

Peccato, infatti, che D’Agostini non abbia ripreso in mano il dizionario che ho curato con Luciano Floridi, a cui lei diede un importante contributo, come membro del comitato scientifico. La voce “realismo” fu scritta da Pietro Salis. La cito per la parte qui rilevante: “Tesi ontologica ed epistemologica per cui la realtà esiste indipendentemente dalla mente e dalla conoscenza del soggetto. Il R sostiene cioè che le proprietà del mondo sono a esso intrinseche, oggettive, e in qualche misura conoscibili” (p. 162). Si vede, alla luce di questa definizione, che il dibattito sul nuovo realismo riacquista tutto il suo senso: i postmoderni non accetterebbero quanto definito da Salis, ma accetterebbero che esistono fatti, magari da interpretare o da decostruire e su cui esercitare il gioco ermeneutico.

Se, per concludere, D’Agostini col suo realismo crede di essere assertiva, sostenendo che il realismo consiste almeno nel ritenere che “qualcosa è reale” o che “esistono fatti”, allora non pare aver dato alcun vero pugno sul tavolo, o perlomeno il gesto era tanto debole da risultare quasi caricaturale. Il suo realismo non si distingue in modo chiaro dall’idealismo e da molte delle posizioni del postmoderno. è vero che l’autrice, quasi in un ripensamento, scrive in nota che si deve dare per assodato che se x è un fatto, allora sussiste indipendentemente dai discorsi e pensieri che ne parlano. Il passaggio però è nascosto sotto il tappeto, in nota, mentre andava affrontato centralmente e comunque concettualmente non è contenuto in 1, “qualcosa è reale, etc.”. Detto di passaggio, che la nota rimandi al § 9.3, non è di aiuto, perché in quel paragrafo si confrontano il realismo aletico e il realismo metafisico, ma una tale discussione non fornisce il supporto teoretico sufficiente alla causa realista. Mi pare, peraltro, che tutto il fascino della questione metafisica del realismo stia proprio nella parola “indipendente”, tanto usata nelle definizioni classiche (come quella di Salis), quanto discussa ancora in maniera insufficiente dagli studiosi, tra cui D’Agostini.

Grazie comunque a Franca D’Agostini per il suo libro spesso acuto e sempre ben informato. Tra i suoi pregi vi è che spinge il dibattito sul realismo a un nuovo livello, a una discussione sofisticata che vuole lasciarsi alle spalle tanto del vintage postpostmoderno che ha caratterizzato molte delle controversie passate tra realisti e antirealisti.

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Gian Paolo Terravecchia

Cultore della materia in filosofia morale all’Università di Padova, si occupa principalmente di filosofia sociale, filosofia morale, teoria della normatività, fenomenologia e filosofia analitica. È coautore di manuali di filosofia per Loescher editore. Di recente ha pubblicato: “Tesine e percorsi. Metodi e scorciatoie per la scrittura saggistica”, scritto con Enrico Furlan.

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