Luoghi della memoria e diritti umani

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La maggior parte degli Stati europei ha istituzioni il cui compito è preservare la memoria della Shoah e delle sue vittime. Molti offrono programmi educativi che si estendono oltre, spingendo i visitatori, in particolare gli studenti, a riflettere sul rispetto o sulla violazione di diritti umani nel mondo di oggi. Dal Dossier del numero 17 de «La ricerca».
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Memoriale dei Martiri della Deportazione, a Parigi.

La casa di Anne Frank ad Amsterdam ha aperto ufficialmente le porte come museo nel 1960 e ora attira un milione di visitatori all’anno. La sua filosofia è stata messa a punto da Otto Frank, il padre di Anne Frank e unico sopravvissuto delle otto persone che si nascosero a Prinsengracht durante la Seconda Guerra Mondiale. Otto decise che l’eredità di Anna doveva essere usata come messaggio universale contro l’intolleranza e per promuovere i diritti umani.

Oggi il museo definisce la sua missione come triplice: tenere aperto al pubblico l’alloggio segreto della casa di Amsterdam, far conoscere la storia di Anna Frank in tutto il mondo e incoraggiare a riflettere sui pericoli dell’antisemitismo, del razzismo e della discriminazione e sull’importanza della libertà, dei diritti e della democrazia.

Circa il 95% del programma educativo si svolge fuori dal museo, per lo più fuori dai Paesi Bassi, ed è legato direttamente alla promozione educativa dei principi stabiliti dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. A essere sottolineata in particolare è l’idea che l’ascesa al potere dei nazisti e la tragedia dell’Olocausto abbiano rappresentato un processo di graduale negazione dei diritti fondamentali non solo per ebrei ma per tutti gli uomini, a partire dal diritto umano fondamentale, il diritto alla vita.

Il museo insiste sulla diretta connessione tra la fine della Seconda guerra mondiale, e quindi la fine dell’Olocausto, e i processi con cui il mondo ha elaborato questa terribile eredità storica: il processo di Norimberga, la creazione dell’ONU e la firma della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani.

Forse l’esempio più chiaro del collegamento fra la storia dell’Olocausto e la contemporaneità portato avanti è Free2choose, iniziato nel settembre del 2005 come mostra interattiva installata all’interno del museo e oggi portato in più di 15 Paesi come progetto pensato per le scuole e per la comunità. Al centro vi è lo scontro tra la difesa dei diritti fondamentali e la protezione della democrazia nelle società moderne. Il punto di partenza, tenuto conto dell’eredità di Anna Frank e della negazione dei diritti umani avvenuta durante il periodo nazista, è il principio per cui nelle società democratiche attuali ai cittadini sono garantiti alcuni diritti umani fondamentali, quali la libertà di parola, il diritto alla privacy e la libertà religiosa. Tuttavia, una domanda rimane aperta: tali diritti dovrebbero essere assoluti e privi di restrizioni? Cosa succede quando questi (o altri) diritti fondamentali sono in conflitto tra loro o quando la sicurezza di una società democratica è sotto minaccia? In quali casi è giusto agire contro la legge?

Piuttosto che a fornire risposte come «sì» o no», «giusto» o «sbagliato» Free2choose incoraggia i giovani, attraverso la discussione e il dibattito, il pensiero critico e la riflessione, a formarsi opinioni personali.

La casa di Anne Frank ha anche prodotto una serie di filmati che riguardano questioni attuali ma direttamente legate alla storia dell’Olocausto: ai neonazisti dovrebbe essere permesso marciare di fronte a una sinagoga? Dovrebbe essere permesso comprare il Mein Kampf? È giusto tutelare il diritto di negare l’Olocausto su Internet?

Il Museo di Buchenwald

Il campo di concentramento di Buchenwald (1937-1945), il più grande sito commemorativo su un campo di concentramento, è diventato un sinonimo dei crimini nazisti. Ma tra il 1945 e il 1950, le autorità occupanti sovietiche lo hanno usato (Campo Speciale n. 2) come campo di internamento di ex nazisti e oppositori politici. Dopo il 1958 il governo della Germania dell’Est lo ha convertito in «luogo di memoria nazionale».

Il concetto educativo del sito è finalizzato a sensibilizzare i partecipanti al principio della convivenza. I visitatori entrano in contatto con le violazioni dei diritti umani avvenute nel campo attraverso le storie di vita, i documenti e i manufatti trovati nell’ex campo. L’obiettivo è aiutare i partecipanti a riconoscere i meccanismi sociali usati per escludere e discriminare nel contesto della storia del campo, sensibilizzandoli così a riconoscere e a prevenire le violazioni dei diritti umani attuali.

La «Giornata sui Diritti umani», l’evento educativo principale, dura circa otto ore. Al motto di «viva la diversità», si apre con una discussione sulle questioni legate all’identità dei partecipanti. Gli studenti esaminano le loro identità e il loro rapporto con la storia. Si esplora la diversità nel gruppo e nella società e si continua con un dibattito sugli aspetti universali dei diritti umani e delle ideologie che, sia nel passato che nel presente, minacciano tali diritti.

Il tema centrale della giornata verte sulla storia dei campi di concentramento, sulle leggi che facilitavano la detenzione, e affronta il tema del rapporto dei cittadini della vicina città di Weimar con il campo. Questi aspetti sono trattati durante la visita al luogo, alle mostre, all’archivio e alla collezione digitale.

Il Memoriale della Shoah in Francia

Aperto al pubblico a Parigi il 27 gennaio 2005, il Memoriale della Shoah è un centro di ricerca, di informazione e di sensibilizzazione sulla storia del genocidio degli ebrei durante la Seconda guerra mondiale. Attivo in Francia e in tutta Europa, ma anche in Africa e in Sud America, offre un archivio di più di 36 milioni di articoli, migliaia di mostre, programmi culturali e scientifici, attività didattiche per le scuole, per gli insegnanti, per le associazioni della società civile e per i funzionari pubblici (polizia, militari, giudici, ecc.).

Il quartier generale della polizia di Parigi ha svolto un ruolo importante nella collaborazione tra il regime di Vichy e gli occupanti tedeschi tra il 1940 e il 1944. Alla vigilia della sconfitta francese, la maggior parte degli ebrei francesi viveva a Parigi e nei suoi sobborghi e decine di migliaia di uomini, donne e bambini di tutte le età furono arrestati dalla polizia e consegnati ai tedeschi. Gli archivi sono rimasti chiusi a lungo, ed è stato in Germania che i rapporti della polizia francese agli occupanti furono trovati e tradotti in tedesco.

Nel 2005 è stato firmato un accordo per lo scambio di questo materiale, inclusa una piccola parte degli archivi della polizia recuperati nel caos della liberazione. Fu quindi deciso che il nuovo personale di polizia di Parigi dovesse essere informato dell’atteggiamento tenuto dalla loro istituzione durante l’occupazione, ragion per cui al Memoriale della Shoah fu affidato il compito di gestire un corso di formazione per gli ufficiali di polizia. Nei primi anni, l’enfasi cadeva sulla responsabilità della polizia francese nel rastrellamento degli ebrei, ma oggi si è trovato un equilibrio tra questo aspetto e l’aiuto diretto o indiretto fornito agli ebrei da alcuni membri della polizia che hanno disobbedito agli ordini ricevuti.

Gli agenti sono accolti dal direttore del centro e da un agente di polizia, che spiega brevemente lo scopo della giornata di lavoro. Viene mostrato un film documentario intitolato «La polizia degli anni bui», seguito dalla testimonianza di un ex deportato ebreo. La sessione termina con la visita alle pareti del Centro su cui sono incisi i nomi delle vittime e dei Giusti tra le Nazioni, alla cripta e alla mostra permanente.

Uno degli aspetti più interessanti e inaspettati di questa esperienza è che gran parte del nuovo personale di polizia è composto da donne e da individui provenienti dei territori d’oltremare o da altri Paesi non europei, che molto probabilmente hanno fatto esperienza almeno una volta nella vita di qualche forma di discriminazione religiosa o razziale. Questi ufficiali di polizia partecipano attivamente ai dibattiti e le loro domande rivelano un intenso grado di riflessione sulla loro professione e sui problemi della democrazia. D’altra parte anche i sopravvissuti hanno preso la partecipazione al programma molto seriamente; per molti è stato il primo incontro con la polizia francese dai tempi del loro arresto.

Lo Holocaust Centre del Regno Unito

Beth Shalom, chiamato anche National Holocaust Centre and Museum, è un centro commemorativo dell’Olocausto vicino a Laxton, nel Nottinghamshire, in Inghilterra. Si tratta sia di un memoriale sia di un centro che fornisce materiale didattico e risorse educative per persone di ogni background sulla storia e sulle implicazioni dell’Olocausto: due mostre permanenti e «Il viaggio» , un programma rivolto ai più giovani che esamina l’esperienza dei bambini ebrei nell’Europa nazista (lo stesso che dovette frequentare il Principe Harry dopo essere stato criticato per aver indossato una fascia nazista a una festa in maschera).

Il Centro è situato all’interno di alcuni giardini commemorativi, un sereno contrappunto al contenuto emotivamente intenso delle mostre, e ospita anche la fondazione Aegis per la prevenzione del genocidio, creato nel 2000 per elaborare progetti di prevenzione primaria (commemorazione e formazione scolastica), prevenzione secondaria (ricerca su genocidi attuali o potenziali) e prevenzione terziaria (programmi educativi in società in cui il genocidio è avvenuto per aiutare a prevenirne il ripetersi).

La crisi del Kosovo scoppiata nel 1999 ha rafforzato l’approccio educativo preventivo dei fondatori del centro. Se per i media il conflitto si era acceso quasi inaspettatamente, l’esperienza dell’Olocausto dimostrava che il genocidio nazista era stato preparato da un lungo periodo di incubazione della violenza.

James Smith, uno dei fondatori del Centro, ha paragonato il genocidio a un problema di salute pubblica: «Se nel XX secolo fossero morte 200 milioni di persone, non per uno sterminio di massa appoggiato da uno Stato ma per qualche nuova malattia, quanto avremmo investito nella medicina preventiva?». Oggi Aegis lavora soprattutto per gestire l’eredità del genocidio del Ruanda e nel 2004 ha aperto il Kigali Genocide Memorial Center nella capitale del Ruanda, Kigali, che vanta un Archivio del genocidio di 1.500 registrazioni audiovisive e di oltre 20mila documenti e fotografie sul bagno di sangue di almeno 800mila persone (in maggioranza appartenenti all’etnia Tutsi) massacrate dal 6 aprile alla metà di luglio del 1994.

Centro per l’eutanasia di Hartheim, Austria

Dal 1940 al 1945, il castello di Hartheim, nei pressi della città di Linz, è stato uno dei sei centri di eutanasia nazista. Qui furono uccise circa 30.000 persone fra disabili fisici, malati mentali e individui affetti da malattie incurabili. Successivamente furono qui assassinati anche i prigionieri giudicati ormai inabili al lavoro provenienti dai lager di Mauthausen, Gusen, Dachau, Ravensbrück e da altre località. Si stima che il numero di vittime al termine dell’intero programma fosse di circa 70.000 persone.

Nel 1995 è stata creata la Hartheim Castle Society con l’obiettivo di creare un luogo adeguato di retrospezione, memoria e dibattito collettivo. Con il sostegno finanziario dell’Alta Austria, il castello è stato aperto nel 2003. Oggi ospita un luogo della memoria e la mostra “Il valore della vita”. Il progetto didattico del centro ruota attorno alla ricostruzione dell’eutanasia nazista come strumento per affrontare la questione universale del valore e della dignità dell’essere umano. Prima della visita, il centro invia un DVD con cinque brevi filmati che descrivono la vita attuale delle persone disabili in Austria, utilizzando l’esempio di sei persone alle quali è stato chiesto di compiere il viaggio al Memoriale con i trasporti pubblici. La connessione tra le vicende storiche e quelle attuali si concretizza in questioni come qual è il valore di una vita? Può esserci una vita senza valore? Come vengono classificate le persone nella società moderna? Quali opportunità e pericoli si nascondono, per esempio, nell’ingegneria genetica e in altri sviluppi scientifici e medici? I visitatori possono riflettere su questi problemi visitando la mostra «Il valore della vita», che ripercorre le attitudini verso le persone con disabilità dall’industrializzazione ai giorni nostri, la nascita dell’antropologia e del razzismo e gli sviluppi della medicina moderna e delle questioni etiche che solleva.

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Installazione permanente presso il Memoriale della Shoah di Berlino.

Living History Forum, Svezia

Dopo che alcuni sondaggi hanno rivelato che molti ebrei svedesi hanno paura di mostrare il loro essere ebrei, il governo svedese ha intensificato gli sforzi per insegnare l’Olocausto ai giovani come mezzo per combattere l’antisemitismo.

Il Living History Forum è un’autorità pubblica costituita in Svezia nel 2003 per «promuovere la democrazia, la tolleranza e i diritti umani usando l’Olocausto come punto di partenza». Mostre, attività culturali, seminari per insegnanti e una vasta gamma di materiali per le scuole sono una parte importante delle sue attività. La metodologia usata consiste nell’utilizzare metodi creativi per stimolare la discussione e la riflessione tra i giovani.

La Germania nazista non è stata sola a percorrere il sentiero che ha portato a un’ideologia razzista; si inseriva in uno spirito del tempo che affondava le sue radici nelle dottrine razziste del 1800 e che in Svezia negli anni Venti e Trenta si concretizzò nell’accettazione generale e nel sostegno politico di pratiche eugenetiche. In termini pratici, ciò si è concretizzato nella sterilizzazione di decine di migliaia di individui, principalmente donne, e, nel 1934, nell’approvazione di una legge sulla sterilizzazione forzata abolita solo nel 1975.

The Living History Forum approfondisce questo aspetto del passato svedese, ponendo particolare attenzione al contesto storico e al dibattito giuridico e politico in cui si è sviluppato. Allo stesso tempo presenta le storie di diversi individui, sia quelle dei medici che hanno portato avanti le idee eugenetiche sia quelle delle donne sterilizzate.

Sulla base di questa storia, i visitatori hanno l’opportunità di riflettere sul proprio tempo. Sono affrontate questioni spinose sulla situazione di persone con disabilità e di gruppi esposti a pregiudizi e intolleranze, ad esempio Rom e Sinti. Altre domande sollevate riguardano la terapia genica, la diagnosi fetale e l’etica scientifica.

Museo di Majdanek, Polonia

Il Museo statale di Majdanek, istituito nel novembre del 1944, è il museo più antico d’Europa creato su un ex campo di concentramento tedesco. Dal 2004 include anche il Museo-sito commemorativo di Belzec, uno dei campi di sterminio istituiti dal Terzo Reich.

Attraverso archivi, pezzi da museo, registrazioni audio e video e collezione di libri, ma anche artefatti autentici (camere a gas, crematori, bagni e baracche dei prigionieri), il Museo porta avanti programmi educativi sulla memoria e l’educazione interculturale. Il progetto polacco-tedesco «Impariamo dal passato per modellare il futuro» organizza scambi tra giovani polacchi e giovani provenienti dalla Germania, dall’Ucraina e dalla Bielorussia. Lo scopo è ridurre i pregiudizi tra loro, pregiudizi che spesso si basano sulle esperienze e le narrazioni storiche. Conoscendosi l’uno con l’altro ed esaminando le differenti interpretazioni della storia, i giovani possono scoprire la loro prospettiva e rendersi conto che esiste più di un modo d’interpretare il passato. Ciò può fornire opportunità per nuove interpretazioni e una comprensione delle prospettive di altre persone.

Gli studenti rimangono assieme per una settimana parlando inglese. All’inizio della settimana, lavorano in gruppi misti su temi che riguardano i pregiudizi e svolgono assieme attività sportive. L’ultima parte della settimana, trascorsa presso il museo, è impiegata esaminando e studiando la loro storia violenta comune. Oltre a partecipare a visite guidate, svolgono le loro attività negli archivi del museo e incontrano superstiti.

Gli studenti, stimolati ad adottare una prospettiva interculturale pluralistica, sono introdotti alla storia di Majdanek, dei suoi prigionieri polacchi, ebrei e bielorussi. Viene fatto loro conoscere il diario di Jadwiga Ankiewicz, una ragazza polacca di diciassette anni che fu prigioniera nel campo per alcuni mesi. Gli studenti lavorano adottando la prospettiva dell’autrice del diario, e si focalizzano su aspetti specifici della vita a Majdanek, ad esempio le condizioni di lavoro forzato o la quotidianità. Gli studenti utilizzano documenti, oggetti, lettere, testimonianze, e libri forniti dal museo. Alla fine del progetto, guidano altri studenti in luoghi del campo menzionati nel diario, raccontano ai loro compagni di classe quello che accadde a Jadwiga e la storia del campo. Gli studenti sono accompagnati da un educatore che parla della storia del campo e fornisce informazioni essenziali.

In un altro programma, lavorano utilizzando fotografie del campo scattate negli anni Quaranta del Novecento. Le immagini sono associate a testimonianze, e gli studenti cercano i luoghi descritti nel campo. In questo modo, scoprono cosa manca e cosa è cambiato nel campo. Spesso, a conclusione del progetto, compongono una poesia, un poster, un libricino, o un disegno che vengono conservati dal museo.

Museo della Conferenza di Wannsee Germania

La conferenza di Wannsee su «La soluzione finale della questione ebraica» ebbe luogo a Berlino il 20 gennaio 1942 nella villa di un industriale ebreo sequestrata e utilizzata tra dalle SS come dimora per gli ospiti. Nel 1992 è diventata una casa museo e un centro didattico che offre programmi educativi per piccoli e grandi, corsi di formazione per gli educatori e seminari sull’Olocausto per adulti focalizzati sul ruolo e sul comportamento che il loro gruppo professionale adottò durante l’Olocausto.

La Casa Museo, inoltre, ha sviluppato un approccio didattico per gli studenti che appartengono a minoranze etniche basato sull’ascolto delle loro storie. Dopo aver parlato delle loro esperienze, i giovani visitatori mostrano una migliore disposizione mentale ad ascoltare la storia della villa. Solo chi sente riconosciuta la propria sofferenza, infatti, è in grado di provare empatia verso la sofferenza altrui.

La direttrice del centro didattico Elke Gryglewski, studiosa della pedagogia del ricordo specializzata nella percezione del nazismo da parte dei giovani berlinesi di origine arabo-palestinese e turca, la definisce una «pedagogia del riconoscimento»: nelle società multiculturali, sostiene, l’insegnamento della memoria e della storia non può essere univoco; per essere assimilato realmente da studenti europei, arabi, africani, americani vi è prima bisogno che sia riconosciuta e discussa la storia delle differenti comunità e minoranze che oggi coabitano su un medesimo territorio nazionale. Per la stessa ragione è stata messa a punto la cosiddetta «valigia multiculturale» che contiene una selezione di documenti storici coevi al periodo nazionalsocialista (1933−1945) provenienti da tutti i Paesi e che testimoniano teorie razziste relative a diversi gruppi, pratiche di sterilizzazione e ideologie eugenetiche, mostrando che i temi dell’intolleranza e della xenofobia non riguardano solo l’Europa ma anche il resto del mondo.

Tratto da: Human rights education at Holocaust memorial sites across the European Union:An overview of practices, a cura di FRA – European Union Agency for Fundamental Rights, 2011. 

Traduzione di Francesca Nicola.

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