Il regista russo Andrey Zvyagintsev, con la stessa sensibilità con cui si era avvicinato al complesso groviglio delle relazioni familiari nei precedenti film (Il ritorno, premiato con il Leone d’Oro alla Mostra del Cinema di Venezia del 2003, ed Elena, del 2011), questa volta volge lo sguardo alle dinamiche di una coppia in crisi, rappresentando il milieu familiare come microcosmo esistenziale d’incontro e di scontro.
La vicinanza e l’intimità fisica non sempre vanno di pari passo con la comprensione e l’amore, e la sensibilità cinematografica di Zvyagintsev è attratta proprio da questa schizofrenia emotiva tra vicino e lontano, presenza e assenza, amore e odio. Nella sua poetica, la famiglia non è solo il luogo degli affetti primari e indissolubili, ma anche d’incomprensioni e conflitti. Non sempre il matrimonio è il coronamento della passione e dell’amore: a volte nasce dal desiderio di fuggire dalla famiglia d’origine, dall’opportunità sociale, da modelli di vita ereditati dai genitori, da una gravidanza imprevista.
Come nel caso di Zhenya e Boris, che dopo dodici anni trascorsi insieme senza mai amarsi, hanno finalmente deciso di divorziare. Nonostante tutti e due si stiano ricostruendo una nuova vita, Zhenya con un ricco uomo d’affari e Boris con una ragazza che già aspetta un figlio, la fase finale della loro relazione è dominata dalla rabbia e dal rancore. Resta ancora un problema da risolvere: chi si prenderà cura di Alyosha, figlio non desiderato e mai amato? Durante l’ennesima lite tra i due, Alyosha ascolta tutta la conversazione, e il giorno dopo scompare. Comincia così una vana ricerca, che porterà a galla le verità nascoste, i dubbi e le angosce di due adulti immaturi ed egoisti.
Le desolate inquadrature iniziali di alberi spogli, in un algido e silenzioso panorama invernale, ci introducono subito nel clima del film. L’atmosfera di gelo e solitudine non appartiene solo al triste paesaggio, ma avvolge anche l’animo dei protagonisti. Il piccolo Alyosha soffre l’assenza d’amore, mentre Zhenya e Boris s’ignorano come due estranei, ormai logorati da antichi risentimenti.
La scomparsa di Alyosha sembra rappresentare per i genitori solo l’ennesima seccatura, un elemento di disturbo che sottrae tempo al lavoro e ai nuovi amori. La lucida freddezza dei personaggi è sottolineata a livello iconografico dal rigore spietato di una regia che costruisce la narrazione con inquadrature dalla composizione gelidamente impeccabile.
Il film trasmette un senso di afasia emotiva, esibita con tale scontata naturalezza da diventare raggelante. Le indagini della Polizia sono solo formalità da sbrigare più velocemente possibile, per lasciarsi tutto alle spalle e cominciare una nuova esistenza. Forse questa è la verità inconfessabile: tutti e due avrebbero voluto sbarazzarsi del figlio, di quell’errore di gioventù, colpevole ai loro occhi della loro infelicità. L’orrore di questo desiderio affiora disturbante alla superficie dei loro pensieri.
Nessuno dei due sembra voler fare veramente i conti con le proprie responsabilità e le nuove relazioni sono solo un vano tentativo di fuga da un’esistenza che non sembra fornire vie d’uscita alla condizione d’umana infelicità.
Una storia intima e drammatica che non lascia spazio alla possibilità di redenzione e perdono. Attraverso gli occhi di Zhenya e Boris, chiamati all’obitorio a riconoscere un bambino che potrebbe essere Alyosha, noi spettatori ci ritroviamo a condividere una terribile sensazione di pena e d’insostenibilità: l’orrore morale dei loro sentimenti si specchia brutalmente in quel piccolo corpo martoriato e sfigurato, tanto da non poterlo guardare, neppure per un istante, né loro, né noi.
Loveless
Un film di Andrey Zvyagintsev
Con Maryana Spivak, Aleksey Rozin, Matvey Novikov, Marina Vasilyeva, Andris Keiss, Aleksey Fateev, Varvara Shmykova, Daria Pisareva, Yanina Hope, Maxim Stoianov
Durata 128 minuti
Produzione: Russia, 2017