Nel frattempo, però, mi riporta sulle tracce di Omero perfino una lodevole manifestazione “vacanziera”, che nobilita non poco la stagione estiva della Liguria. Si sta infatti attuando un progetto del regista Sergio Maifredi, intitolato Odissea. Un racconto mediterraneo, che tocca varie località della Riviera di Levante e Ponente, e il cui programma completo è visibile sul sito dei “Teatri possibili” della Liguria. Si tratta della lettura pubblica (e gratuita) di alcuni passi dell’Odissea, con alcune varianti locali, ma che vede coinvolti pezzi da Novanta del nostro teatro, da Giuseppe Cederna, a Maddalena Crippa, ad Ascanio Celestini, a Paolo Rossi, a Moni Ovadia a Corrado d’Elia; e altri seguiranno in futuro, perché l’idea è quella di arrivare a una recita completa del poema.
Io ho assistito a tre di queste splendide letture ad Albisola Superiore, e in particolare a quella di Giuseppe Cederna (I Feaci), Maddalena Crippa (Penelope) e Moni Ovadia (La gara dell’arco), e ho avuto l’impressione di partecipare a un vero e proprio “rito civile”. Un “rito” come quello officiato da Giovanni Boccaccio che leggeva e commentava la Commedia nella sua Certaldo, emulato secoli dopo dal bravo Roberto Benigni. Un “rito” che ha avvicinato alla grande poesia, e alle sue altrettanto grandi emozioni, anche turisti un po’… naif, anziani, e soprattutto molti bambini e ragazzi.
E proprio i ragazzi ho visto – ad esempio durante la lettura della Gara dell’arco – passare da una iniziale indifferenza (l’aria era quella di “ma quando finisce ‘sta solfa…”) ad un’attenzione inquieta, come se fossero anche loro lì, nel bel palazzo di Itaca, ad assistere alla straordinaria performance del paziente, astuto e luminoso Odisseo, finto mendicante che sbaraglia i giovanotti arroganti che gli vogliono scippare moglie e regno. E, forse, si saranno sentiti come il forte Telemaco, poco più grande di loro, cresciuto in fretta per provare a proteggere la madre, la saggia Penelope, dai pretendenti, e appena tornato da un viaggio a Sparta presso il biondo Menelao per cercare notizie del padre.
Sarà che le letture sono avvenute tutte in riva al mare (quello che Omero chiamava mare colore del vino, una sorta di “seconda casa” di Odisseo); sarà che il testo omerico è di per sé straordinario; sarà che gli attori (talora anche commentatori o interpreti non banali) sono tutti bravissimi, ma alla fine di tutte le letture cui ho assistito avevo il groppo alla gola; e sono sicuro di non essere stato il solo, perché l’emozione collettiva davanti a uno spettacolo è una cosa della quale si accorgono attori e spettatori.
Ho allora pensato al libro di Nucci, da cui sono partito, il quale sostiene che il pianto sia una delle più genuine manifestazioni eroiche; e che Odisseo, Achille, Agamennone piangono perché è un gesto vitale, come amare, adirarsi o combattere il nemico in battaglia. Di certo nessuno, ad Albisola, singhiozzava come Odisseo che, ogni mattina sull’isola di Ogigia, piangeva perché voleva tornare a casa, rifiutando l’immortalità offertagli da Calipso; ma certamente molti dei presenti si sono lasciati travolgere da emozioni non consuete, dalla sensazione di essere nel bel mezzo di una storia senza fine, cominciata nell’VIII secolo a.C. ma sempre nuova ogni volta che la si ascolta.
Ho anche pensato alla recente versione di latino di Maturità classica, che ho già commentato su queste colonne, dove Quintiliano, otto secoli dopo la loro stesura, proponeva ancora i poemi omerici come modello letterario insuperabile: forse aveva ragione il vecchio retore latino – mi sono detto – nonostante in quell’articolo l’avessi un po’ preso in giro…
Da ultimo ho pensato alle enormi potenzialità aggregative della cultura, proprio guardando all’insperabile adunata di famiglie, anziani, e ragazzi accorsi a sentire Omero. Certamente in una bella sera di luglio quasi tutti costoro – scrivente compreso – sarebbero andati anche alla sagra del pesce azzurro oppure – stavolta senza lo scrivente – alla serata del ballo liscio. Eppure, una volta ogni tanto, le Autorità di alcuni Comuni liguri, col fattivo contributo della Regione Liguria e di altri sponsor, hanno scelto di buttare il cuore oltre l’ostacolo, di pensare in grande, insomma, e di proporre l’Odissea. E la gente ha risposto con favore, a dimostrare che i nostri concittadini non sono del tutto refrattari alla cultura, né del tutto insensibili al fascino di quel mondo classico che ha ancora un fortissimo valore identitario. Davanti a Odisseo che solca il mare sulle navi nere sì per tornare a casa, ma anche per conoscere il mondo sconosciuto, per ascoltare il pericoloso canto delle Sirene, per sfidare con la ragione la bestialità di Scilla e Cariddi o del Ciclope, anche noi “non possiamo non dirci greci”. Lo sapeva Dante, che pure il greco non conosceva e che è costretto a mettere il pagano Ulisse all’Inferno: chiunque vorrà, in ogni tempo, divenire del mondo esperto e seguir virtute e canoscenza, dovrà essere come l’eroe omerico e navigare senza sosta. Lo sapeva Foscolo, per cui l’esule inquieto di tutti i tempi è – come Ulisse – bello di fama e di sventura. E più di recente ce lo ha ribadito il sublime poeta neoellenico Costantino Kavafis, che in una sua famosa poesia del 1911 – Itaca – ha paragonato al viaggio di Odisseo la vita di ogni uomo, cui ricorda:
Se per Itaca volgi il tuo viaggio,
fa’ voti che ti sia lunga la via,
e colma di vicende e conoscenze.
Non temere i Lestrìgoni e i Ciclopi
o Posidone incollerito: mai
troverai tali mostri sulla via,
se resta il tuo pensiero alto, e squisita
è l’emozione che ti tocca il cuore
e il corpo. […]
(trad. F. M. Pontani).
Insomma, il nostro viaggio potrà essere reale o solo mentale; potrà durare dieci anni come quello del protagonista dell’Odissea o un solo giorno come quello di Leopold Bloom nell’Ulysses di Joyce; potrà essere lieto o tempestoso: ma non viaggeremo soli se – pur protesi verso il futuro – ci guarderemo alle spalle. Ci troveremo Odisseo, l’archetipo dell’uomo in perenne ricerca di sé, che con la sua métis (astuzia) potrà darci preziosi consigli; e se l’eroe dirà di non essere lui e di chiamarsi Nessuno, lasciamoci ingannare: sarà un inganno dolce, in un tempo dove molti nessuno si spacciano per eroi…