L’invasione dei genitori elicottero

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Nei Paesi anglofoni l’espressione helicopter parenting viene utilizzata oramai da decenni per descrivere quei genitori che ronzano perennemente sopra la testa e la vita dei propri figli. Una sorta di iper-presenza non solo fisica ma anche psicologica, che, avvisano gli esperti, rischia di produrre più danni che benefici.

Nei Paesi anglofoni l’espressione “helicopter parenting” viene utilizzata oramai da decenni per descrivere quei genitori che ronzano perennemente sopra la testa e la vita dei propri figli. Una sorta di iper-presenza non solo fisica ma anche psicologica, che, avvisano gli esperti, rischia di produrre più danni che benefici.

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Che nel mondo occidentale, e ora anche nei Paesi emergenti, si facciano meno figli è cosa risaputa. Molte le ragioni del calo demografico. Di certo essere genitori è diventato estremamente oneroso. Non si tratta solo di un impegno economico, ma anche di un iper-investimento di tempo, energie ed emozioni.
Per riferirsi a questo modo di crescere i figli, in inglese si usa l’espressione colloquiale helicopter parents (“genitori elicottero”), a indicare quei papà e quelle mamme che, proprio come gli elicotteri, pattugliano i loro figli dall’alto, senza mai perderli di vista, cercando di provvedere ai bisogni e ai problemi dei piccoli, spesso ancor prima che si presentino.
Una brava mamma, oggi, è impegnata in una costante stimolazione delle potenzialità cognitive e intellettuali del proprio figlio: lo porta al museo, lo iscrive e segue da vicino in un numero impressionante di attività extrascolastiche, legge tutta la letteratura che esiste sulle migliori strategie educative, fa perfino volontariato a scuola.
Le cose non sembrano molto diverse per i padri, che come racconta Maurizio Quilici nell’articolo sull’alienazione parentale, rivendicano l’accesso a spazi tradizionalmente riservati alle donne: papà affettuosi, che non hanno paura di mostrare i propri sentimenti e desiderosi di essere presenti in tutti gli aspetti della vita dei figli.

Genitori o scienziati?
Sono cambiamenti sociali e culturali di cui, da qualche anno, si occupa anche il mondo accademico. In particolare, presso l’Università di Kent, in Inghilterra, è stato fondato nel 2007 un Centro di ricerca di Parenting Culture Studies, ovvero di studi sulla cultura della genitorialità. Gli analisti che ne fanno parte, per lo più sociologi, hanno coniato un termine specifico, intensive parenting (“genitorialità intensiva”), e hanno stilato un manifesto di ricerca: al primo punto, capire meglio il processo di scientizzazione della genitorialità, ovvero il modo in cui questa relazione informale, tradizionalmente istintiva e intuitiva, è divenuta satura del vocabolario della scienza.
Secondo obbiettivo, indagare i costi sociali e i pericoli di questa tendenza. Ridurre il genitore a oggetto passivo d’insegnamento da parte dell’esperto, sostengono, rischia di farci sprofondare sempre di più in quella che il filosofo Ivan Illich chiama “Disabling professions society” (Società delle professioni disabilitanti), una società nella quale l’emergere di alcune caste professionali, che a volte costruiscono un monopolio a partire da un lessico e da un insieme di procedure tecniche altamente specializzate e incomprensibili alla gente comune, fa sì che i cittadini vengano espropriati non solo delle possibilità di agire per il proprio bene, ma addirittura della stessa capacità di decidere che cosa sia bene. Nell’affidare la cura e il destino dell’educazione dei figli e del loro rapporto di coppia ai “professionisti del settore”, vi è il pericolo di una deresponsabilizzazione che spinge il cittadino a estraniarsi dallo stesso compito di prendersi cura di se stesso.

Paranoia genitoriale
Un tema particolarmente approfondito da Frank Furedi, autore di un testo, Paranoid Parenting, diventato un punto di riferimento per chi si occupa di paternità e maternità oggi. La tesi del sociologo inglese è che la società contemporanea ha sviluppato un’ideologia schizofrenica sul ruolo e sulle responsabilità sociali dei genitori: da una parte il loro istinto naturale è, come abbiamo detto, esautorato dal sapere tecnico di esperti e di politici. Dall’altra i genitori vengono costantemente informati dall’opinione pubblica che il loro modo di educare non è solo importante, ma addirittura determinante in ogni dimensione della vita dei futuri cittadini.
Il rischio, sottolinea Furedi, è che diventi egemonico un certo “determinismo educativo”, ovvero la tendenza a considerare tutti i problemi della società come il risultato di una cattiva genitorialità, trascurando le responsabilità politiche e collettive del disagio sociale. Ma i danni non sono solo sociali. Molte le conseguenze psicologiche preoccupanti di una genitorialità intensiva, sia per i genitori che per i figli.
La vita dei genitori elicottero è estremamente faticosa. Sono padri, ma soprattutto madri, ansiosi, consunti dall’essere costantemente in prima linea, senza tregua. Un’ansia che si riverbera anche su tutti coloro che mettono in pratica un’educazione diversa, per esempio i migranti o molti genitori con un background socio economico medio-basso.

L’ansia della mamma chioccia
L’antropologia ha dimostrato che non esiste un solo modo di concepire l’essere genitori. In molte culture, ad esempio, nella relazione fra adulti e bambini l’enfasi non è posta sull’emotività, quanto per esempio sul rispetto dell’autorità. Questo non significa che, in tali società, i genitori non siano affezionati ai figli.
Non occorrerebbe del resto andare troppo lontano per imbattersi in stili genitoriali diversi da quello attuale. Numerose ricerche storiche evidenziano come in Europa nei secoli passati, pur in presenza di un legame emotivo fra genitori e figli, questi ultimi fossero considerati in primo luogo una risorsa economica per i genitori, sia come forza lavoro che come assicurazione per la vecchiaia. Eppure la pressione sociale per un adeguamento degli stili di genitorialità al modello occidentale attuale è fortissima, e implica un altissimo costo psicologico per coloro che non vi si conformano.
Tutto questo acquista maggiore importanza alla luce del fatto che diversi psicologi, educatori e filosofi hanno da tempo acceso i riflettori sui rischi di questo stile educativo per gli stessi bambini.
Le madri elicottero sono esperte in atterraggi di emergenza, sono cioè in grado di alleviare sofferenze e frustrazioni ai propri bambini, anche quando sono già decisamente cresciutelli. Rendendo i loro figli “ragazzi per sempre”, impediscono loro di sbagliare, e quindi di acquisire una propria autonomia. Sono le madri e i padri “sindacalisti” di cui si parla sempre più spesso sui giornali, pronti a difendere a priori il proprio pargolo e ad allearsi con lui in una crociata contro tutte le istituzioni contenitive, prime fra tutte la scuola. Mamme e mammi chioccia che, come sottolineato da Massimo Recalcati in Cosa Resta del Padre, rischiano di allevare ragazzi ansiosi e incapaci di accettare qualsiasi principio di autorità e dunque qualsiasi futura assunzione di responsabilità. Del resto, ci ricorda lo psicoanalista, Sartre diceva che se i genitori hanno dei progetti per i loro figli, i figli avranno dei destini quasi mai felici. La giovinezza dovrebbe essere l’epoca del fallimento, o diciamo il tempo in cui il fallimento è consentito. Non c’è formazione senza fallimento.

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